Gianni Pardo

IL METAFISICO, IL ROMANTICO E IL RIVOLUZIONARIO

Non ho nessuna simpatia per Alessandro Di Battista. E tuttavia, se lo consideriamo esemplare di una certa inadeguatezza esistenziale, il soggetto è interessante. Parole reboanti? Diciamo che il giovanotto è un perfetto esempio di mancato adattamento alla realtà com’è. Cosicché ora mi corre l’obbligo di precisare che cosa intendo per “realtà com’è”.
Cominciamo con la più tremenda: la morte. Ognuno di noi vede questo fenomeno, ognuno di noi si rende conto che dei nati duecento anni fa non ce n’è nemmeno uno vivo, e tuttavia agli uomini morire dispiace talmente che negano l’evidenza. Moriamo ma non moriamo. Moriamo ma l’anima (la nostra autocoscienza) no. Essa non dà mai nessun segnale, e tuttavia “da qualche parte” sopravvive. Tanto che, in Chiesa, durante il funerale, il prete è capace di “parlare al morto” e nessuno chiama gli infermieri per farlo soccorrere.
Tutto questo perché sul dato evidente prevale il dato immaginario, il nostro desiderio di una realtà diversa in cui noi saremmo immortali. Non solo: si constata che la vita va avanti in modo meccanicistico (quando siamo in grado di comprendere come funziona) o a caso (quando non ne siamo capaci), ma ci piacerebbe pensare che qualcuno sovrintende a questo spettacolo sconclusionato e a volte crudele: e allora inventiamo Dio, la Divina Provvidenza o, per i più sprovveduti, il Destino. Insomma tutto ci appare andare avanti senza senso e senza ragione, ma abbiamo un tale bisogno di senso e di ragione che ci creiamo un Grande Direttore, un Grande Coordinatore, un Grande Potere superiore. Qualcuno che, per fini che non conosciamo , guida gli avvenimenti per il meglio. Per il meglio? Poi a volte la realtà va per il peggio, senza che il Grande Onnipotente intervenga minimamente, neanche ad Auschwitz. Troppo spesso questo Qualcuno appare distratto, forse assente, forse inesistente. Il temperamento metafisico – tutt’altro che raro – preferisce le sue idee e i suoi sogni a quello che osserva ogni giorno, ma non è affatto adeguato alla realtà, e questo gli provoca qualche scomodità mentale, se le sue illusioni non sono a tenuta stagna.
L’uomo “metafisico” si era appoggiato a lungo su una teoria indimostrata chiamata religione o analoghe credenze, finché il Settecento, con l’Illuminismo e con la scienza, non ridicolizzò questo genere di costruzioni mentali. Ma all’uomo ciò non bastò, perché il suo bisogno di salvezza era incompressibile. Così, disorientato se non disperato, decise che quello che vedeva “Non poteva essere tutto”, “Non poteva essere la sola verità”, “Ci doveva essere per forza qualcosa dietro”. E finì col darsi ad un astratto e confuso “Romanticismo”, cioè con l’essere malato di insoddisfazione (“le mal du siècle”). Quando addirittura non tornò al Cristianesimo, come Manzoni o Lamartine.
Il romantico soffre languidamente ma soffre e ciò malgrado è ben risoluto a non guarire accettando la realtà. Perché questo lo farebbe decadere al livello di un mammifero qualunque o, quel ch’è peggio, del suo vicino di casa. Il romantico si sentiva un re decaduto, e rimaneva fedele all’interrogativo di Pascal: “Chi potrebbe sentirsi un re decaduto, se non un re?”
Questa posizione è ovviamente assurda, ma ha il vantaggio di esentare dal dovere di rispondere a qualche domanda scomoda: “Ammesso che la vita vi sembri prosaica, stupida, insignificante e volgare, chi vi dà il diritto di esserne delusi? Chi mai vi ha promesso che essa sarebbe stata diversa? La realtà è quella che è, e non cambierà”. Purtroppo il vero romantico questo scadimento non può accettarlo: come dimostrò Werther.
Ma nella vita c’è posto per posizioni diverse. A fronte di colui che si crogiola nel suo taciuto e tenebroso dolore, c’è colui che, tutto all’opposto, è pronto a combattere per far combaciare la realtà con l’idea che lui ne ha. E che si crede in diritto di imporre agli altri. Per il loro bene, naturalmente. Costui è il rivoluzionario: colui che immagina di essere capace di cambiare la mentalità del prossimo, i rapporti sociali, i modelli di produzione, gli usi e i costumi.
Questo individuo pericoloso rischia costantemente di scontrarsi con l’immutabile natura umana e il risultato finale è spesso la violenza individuale. E naturalmente, al livello statale, la dittatura. Anche il piccolo Di Battista, nella sua mentalità fumosa, vorrebbe cambiare il mondo ma, agli occhi di un vecchio saggio, è patetico. Perché questa della rivoluzione sociale è una panzana eterna e ricorrente che fa più danni di quanti problemi risolva. È una risposta attiva rispetto a quella passiva del romantico, è concreta rispetto a quella astratta del metafisico, ma in totale è sbagliata quanto le altre e per giunta è più dannosa.
Chi è dunque il più vicino alla realtà? Semplicemente colui che non si fa illusioni in nessun campo. Che riconosce la democrazia come il meno cattivo dei regimi. Colui che accetta che morirà, che sarà dimenticato, che non conta oggi e non conterà in futuro, quando nemmeno esisterà. Colui che non prende sul serio perfino il successo: e infatti Kipling, nella (troppo) famosa poesia “If”, chiama il Trionfo e il Disastro “due impostori”. Colui che non dimentica mai che, finita la partita, il re e il pedone vanno nella stessa scatola. Colui che non spera né in Dio, né nel Destino, né nel Caso, né nella benevolenza dell’umanità. Colui che considera sé stesso un fallito, perché ha misurato il vero valore di sé in quanto essere umano, e tuttavia ha imparato ad essere felice di una felicità frugale, privata, delicata. Quasi poetica. Perché ha capito che il massimo che può offrire la vita è star bene in salute, leggere un buon libro e, alzando gli occhi, vedere una nuvoletta bianca nel cielo blu. Facendole silenziosamente una dichiarazione d’amore.
giannipardo1@gmail.com

IL METAFISICO, IL ROMANTICO E IL RIVOLUZIONARIOultima modifica: 2022-08-12T17:20:39+02:00da
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