Gianni Pardo

LA TRAGEDIA DELL’AFGHANISTAN

La tragedia dell’Afghanistan può spingere una persona sensibile a piangere, pensando alla sofferenza di tante donne, di tanti bambini affamati, di tanti uomini sotto il giogo della religione più retriva e irrazionale immaginabile. Basti dire che – un po’ come i Cinque Stelle – sotto la ferula dei Taliban il Paese ha elevato l’ignoranza a valore morale. L’economia va a rotoli, le donne sono escluse dall’istruzione e sono ridotte al livello di vacche riproduttrici (soltanto con meno diritti) il disastro generale opprime 39 milioni di esseri umani, inclusi quelli che il disastro lo provocano. Perché non riflettono sulle conseguenze concrete di una “dottrina” che reputano giusta ed indiscutibile.
Dinanzi ad un simile quadro, qualcuno è tentato di chiedersi: “Ma non dovremmo fare qualcosa, per questa povera gente?” Domanda stupida. Che volete che ci facciamo? Gli americani e i loro alleati hanno speso per vent’anni sangue e denaro per portare gli afghani alla modernità, tanto per dire: ai tempi di Ottaviano Augusto o Marco Aurelio, e non è servito a niente. Gli afghani, veramente “resilienti”, come oggi è di moda dire, appena sono stati lasciati a loro stessi sono tornati al Settimo Secolo dopo Cristo, nel deserto arabico. Non soltanto non possiamo fare niente per loro e – cosa più importante – nemmeno per le loro donne, ma al contrario possiamo fare qualcosa per noi stessi: tenercene il più possibile lontani, seppure tentando di capirli.
Le grandi generalizzazioni sono tanto affascinanti quanto rischiose. Ma il rischio è soltanto quello di dire qualche sciocchezza, e quest’ultima si perderà nell’oceano delle sue sorelle. Dunque azzardiamo l’ipotesi che nel mondo esistano soltanto tre grandi mentalità. Quella mediterranea, quella orientale e quella islamica. Quella mediterranea, inaugurata dai greci, è caratterizzata dalla razionalità. Non solo i greci – se pure con i mezzi di allora – hanno fondato la scienza, fino a far sorgere il più grande scienziato dell’antichità (o forse di tutti i tempi, un certo Aristotele) ma perfino nella loro religione, o mitologia che dir si voglia, si ha la ricerca di una spiegazione del reale. La ragione fornita per l’alternarsi delle stagioni, col mito di Proserpina, ovviamente non sta in piedi ma, se non fornisce una teoria valida, dimostra almeno la voglia di averla. E da questa voglia è poi nata la scienza, nel XVII Secolo.
La mentalità dell’Oriente non ha avuto al centro la razionalità (considerata anzi con un filo di disprezzo) ma la filosofia del vivere. L’estetica del vivere. La saggezza. Forse, senza quel lembo di territorio che conclude l’Eurasia verso ovest, l’Oriente non avrebbe mai inventato la scienza, e soprattutto – ecco il punto – forse non ne avrebbe sentito la mancanza. Il vecchio cinese di ogni tempo avrebbe chiesto: “Sei più felice se vai da solo a cento all’ora su un’automobile, o a tre all’ora, su un calesse, con un caro amico?”
La terza mentalità è quella islamica, che non è né razionale né saggia, ma sembra dominata fino alla paralisi dallo schiacciante peso di una realtà insieme dura ed inflessibile. La mentalità che può dare la crudeltà del deserto. L’uomo del Vicino Oriente, dinanzi ad un mondo così difficile, e contro il quale le sue forze erano insufficienti, ha risolto il problema in modo metafisico: questa realtà l’ha voluta Dio; Dio è onnipotente; e se Lui l’ha voluta così, è segno che è bene sia così. Non ci rimane che rassegnarci.
Così la sua mentalità si è a poco a poco sganciata dalla realtà, su cui egli si è sentito poco influente, fino a divenire il campo esclusivo della religione e dei pregiudizi. Il Corano è divenuto non la massima, ma l’unica legge. Aggiungendole poi nei vari Paesi, con pari forza cogente, principi che in esso non sono contenuti, come la barba degli uomini o il burka delle donne. La caratteristica del mondo islamico è l’inerzia e il pregiudizio.
Ma c’è di più. Le prime due mentalità sono comunicanti, la terza no. L’Occidente, già nell’antichità, si è talmente interessato del “modo giusto di vivere”, che ha creato l’epicureismo e lo stoicismo, ed anche il tollerante, sorridente scetticismo. Mentre l’Oriente, da un secolo e mezzo, si è impadronito della scienza occidentale fino a farci concorrenza e possibilmente superarci. La terza mentalità invece, quella islamica, non soltanto si è dimostrata incapace di grandi progressi ma addirittura, come nel caso dell’Afghanistan, capace di grandi regressi. Forse non possiamo fare nulla per loro, se non tenerli lontani. Per il loro bene ma, soprattutto, per il nostro.
giannipardo1@gmail.com

LA TRAGEDIA DELL’AFGHANISTANultima modifica: 2022-06-08T08:42:46+02:00da
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