LA TRAGEDIA DELL’AFGHANISTAN

La tragedia dell’Afghanistan può spingere una persona sensibile a piangere, pensando alla sofferenza di tante donne, di tanti bambini affamati, di tanti uomini sotto il giogo della religione più retriva e irrazionale immaginabile. Basti dire che – un po’ come i Cinque Stelle – sotto la ferula dei Taliban il Paese ha elevato l’ignoranza a valore morale. L’economia va a rotoli, le donne sono escluse dall’istruzione e sono ridotte al livello di vacche riproduttrici (soltanto con meno diritti) il disastro generale opprime 39 milioni di esseri umani, inclusi quelli che il disastro lo provocano. Perché non riflettono sulle conseguenze concrete di una “dottrina” che reputano giusta ed indiscutibile.
Dinanzi ad un simile quadro, qualcuno è tentato di chiedersi: “Ma non dovremmo fare qualcosa, per questa povera gente?” Domanda stupida. Che volete che ci facciamo? Gli americani e i loro alleati hanno speso per vent’anni sangue e denaro per portare gli afghani alla modernità, tanto per dire: ai tempi di Ottaviano Augusto o Marco Aurelio, e non è servito a niente. Gli afghani, veramente “resilienti”, come oggi è di moda dire, appena sono stati lasciati a loro stessi sono tornati al Settimo Secolo dopo Cristo, nel deserto arabico. Non soltanto non possiamo fare niente per loro e – cosa più importante – nemmeno per le loro donne, ma al contrario possiamo fare qualcosa per noi stessi: tenercene il più possibile lontani, seppure tentando di capirli.
Le grandi generalizzazioni sono tanto affascinanti quanto rischiose. Ma il rischio è soltanto quello di dire qualche sciocchezza, e quest’ultima si perderà nell’oceano delle sue sorelle. Dunque azzardiamo l’ipotesi che nel mondo esistano soltanto tre grandi mentalità. Quella mediterranea, quella orientale e quella islamica. Quella mediterranea, inaugurata dai greci, è caratterizzata dalla razionalità. Non solo i greci – se pure con i mezzi di allora – hanno fondato la scienza, fino a far sorgere il più grande scienziato dell’antichità (o forse di tutti i tempi, un certo Aristotele) ma perfino nella loro religione, o mitologia che dir si voglia, si ha la ricerca di una spiegazione del reale. La ragione fornita per l’alternarsi delle stagioni, col mito di Proserpina, ovviamente non sta in piedi ma, se non fornisce una teoria valida, dimostra almeno la voglia di averla. E da questa voglia è poi nata la scienza, nel XVII Secolo.
La mentalità dell’Oriente non ha avuto al centro la razionalità (considerata anzi con un filo di disprezzo) ma la filosofia del vivere. L’estetica del vivere. La saggezza. Forse, senza quel lembo di territorio che conclude l’Eurasia verso ovest, l’Oriente non avrebbe mai inventato la scienza, e soprattutto – ecco il punto – forse non ne avrebbe sentito la mancanza. Il vecchio cinese di ogni tempo avrebbe chiesto: “Sei più felice se vai da solo a cento all’ora su un’automobile, o a tre all’ora, su un calesse, con un caro amico?”
La terza mentalità è quella islamica, che non è né razionale né saggia, ma sembra dominata fino alla paralisi dallo schiacciante peso di una realtà insieme dura ed inflessibile. La mentalità che può dare la crudeltà del deserto. L’uomo del Vicino Oriente, dinanzi ad un mondo così difficile, e contro il quale le sue forze erano insufficienti, ha risolto il problema in modo metafisico: questa realtà l’ha voluta Dio; Dio è onnipotente; e se Lui l’ha voluta così, è segno che è bene sia così. Non ci rimane che rassegnarci.
Così la sua mentalità si è a poco a poco sganciata dalla realtà, su cui egli si è sentito poco influente, fino a divenire il campo esclusivo della religione e dei pregiudizi. Il Corano è divenuto non la massima, ma l’unica legge. Aggiungendole poi nei vari Paesi, con pari forza cogente, principi che in esso non sono contenuti, come la barba degli uomini o il burka delle donne. La caratteristica del mondo islamico è l’inerzia e il pregiudizio.
Ma c’è di più. Le prime due mentalità sono comunicanti, la terza no. L’Occidente, già nell’antichità, si è talmente interessato del “modo giusto di vivere”, che ha creato l’epicureismo e lo stoicismo, ed anche il tollerante, sorridente scetticismo. Mentre l’Oriente, da un secolo e mezzo, si è impadronito della scienza occidentale fino a farci concorrenza e possibilmente superarci. La terza mentalità invece, quella islamica, non soltanto si è dimostrata incapace di grandi progressi ma addirittura, come nel caso dell’Afghanistan, capace di grandi regressi. Forse non possiamo fare nulla per loro, se non tenerli lontani. Per il loro bene ma, soprattutto, per il nostro.
giannipardo1@gmail.com

LA TRAGEDIA DELL’AFGHANISTANultima modifica: 2022-06-08T08:42:46+02:00da gianni.pardo
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4 pensieri su “LA TRAGEDIA DELL’AFGHANISTAN

  1. Caro Roberto,
    reciprocità? Se l’immagina l’agnello di Fedro che convince il lupo ad adottare la reciprocità? Soprattutto se, come nel nostro caso, l’agnello è più forte del lupo ma è così vigliacco da far credere al lupo che è proprio lui il più forte?
    Il progetto di arricchire i musulmani mi seduce. E il Profeta è stato il più grande uomo che Dio ci abbia mandato. Maledetto sia – e possibilmente sia ucciso – chi osa dirne male o contestare la sua parola. Sono abbastanza musulmano? Per favore, cominci con l’arricchire me.

  2. Caro Nicola,
    l’aggettivo “sublime” ha un tale potenziale da non sopportare il superlativo. Ed io, che sono di bassa statura, rischio le vertigini. Sicché il meglio che posso fare è scherzarci sopra.
    Capire la mentalità dei talebani? E come potremmo, se ci separano tredici secoli? Già è uno sforzo immagine capire la mentalità romana (e dire che l’abbiamo studiata in tutte le salse) figurarsi questi beduini.
    No, la religione non gliela impongono. La loro – come del resto tutte le altre – è lo specchio, la sacralizzazione dei costumi di un dato gruppo umano. Certo che vedono come si vive in occidente, ma pensano di avere valori superiori al benessere. Certo che quella religione gli sta bene. Basti dire che la religione stessa gli predica che, anche se va malissimo “va benissimo, perché è la volontà di Dio”.
    Quanto ad imporre la loro mentalità a noi occidentali, non praevalebunt: gli manca la tecnologia. E i “guts”.
    Comunque noi la nostra vita l’abbiamo fatta e, per i più giovani, vale il principio che faber est quisque suae fortunae.

  3. Ma, il numero di moschee e “centri religiosi” in Paesi non islamici non potrebbe essere stabilito su basi di reciprocità? “100 tuoi qui da me, 100 miei lì da te”,
    Bello, no?
    Il fatto è che i “miei” sono suddivisi in varie “fazioni” cristiane, e i loro idem. E quindi come comporre il bouquet? Dovrebbero mettersi d’accordo tra le varie fazioni: buonanotte!
    E poi, stabilire e far rispettare criteri e limiti è roba da Stati, mica da sindaci e vigili urbani. E mentre gli Stati, da questo lato, preferiscono – secondo certi “principi universali” – tenersi lontani da questioni religiose, da “quel lato” gli Stati sono spesso impastatati con la religione, che anzi ne costituisce il “lievito”; quindi, i 100 “nostri” là ospitati dovrebbero comunque conformarsi ai precetti giuridicamente “religiosi”: se le femmine non possono andare a scuola e devono coprirsi e comportarsi sempre in un certo modo e cambiare religione – mai sia! – è reato, i “nostri” dovranno adeguarsi.
    Vero che anche qui certi divieti provocano sofferenza tra gli islamici, tipo il divieto di polgamia: “queste sono sue mogli? Noo, sono cugine”. Oppure “Le avete escisso il clitoride! Ma poverina, le era venuto un brufolo quanto una noce!”. “Ma l’ha messa incinta e ha 14 anni! Io? Noo, è stato quel tale che chiamate Spirito Santo, anche a una delle vostre, tempo fa, è successa la stessa cosa; io ho dovuto registrarlo come figlio mio per evitarle la vergogna”. Un vero dramma, insopportabile, vivere in uno Stato dittatoriale e non poter godere dei “diritti di un altro universo”.
    E quindi, da questo lato, per coerenza con i nostri principi, siamo costretti a “concedere” – palesemente o aum aum – certi diritti “personalente localizzati”.
    Però… una via d’uscita potrebbe esserci. Se è vero, com’è possibile, che l’origine dell’Islam sia quella indicata da Pardo (“una realtà insieme dura ed inflessibile” ecc.), allora … rendiamoli ricchi (diciamo benestanti…) e chissà che certe durezze non si ammorbidiscano. In Arabia Saudita, dal giugno 2018, le donne possono prendere la patente! Evviva! Visto che la ricchezza serve a qualcosa? Magari tra 50 anni (o anche 100) potranno perfino fare politica e diventare sindachesse. Ecco, arricchiamo gli islamici, e speriamo. E preghiamo.
    E l’Afghanistan? Nel frattempo, lasciamolo cuocere nel suo brodo, senza precluderci, eventualmente, la possibilità di importare petrolio, o grano o altro. Se certe “usanze” sono tradizionali, perchè tentare di convincerli ad adottarne altre? Sarebbe come tentare di convincere i napoletani ad abbandonare la pizza a favore del sushi: nazismo!

  4. Gianni, due articoli sublimi uno dopo l’altro, quello sui liberali e questo sui Talebani. Lei e’ come il vino, migliora invecchiando.
    A proposito dei Talebani, e dei musulmani in generale: non riesco a capire la mentalita’ di questa gente. Hanno l’Islam, e ne soffrono. Ora, quella religione viene loro imposta, o l’accettano spontaneamente? Forse tutto sommato gli si adatta bene? Perche’ non e’ che, di questi tempi, loro non abbiano modo di vedere come vive l’occidente. Perfino i selvaggi dell’ Amazzonia (ad esempio le tribu’ Tembe, Ayoreo, Guaranì) oggi hanno accesso ai telefonini, possono vedere la vita come va nel resto del mondo. Solo che gli sta bene restare nella foresta, in liberta’.
    I musulmani persistono nella loro arretratezza, per la maggior parte senza cercare di sfuggirvi. Non e’ che in Algeria o in Pakistan si vedano scene come quelle dei berlinesi che affrontavano la morte cercando di scavalcare il muro. Comincio a pensare che quella religione, dopotutto, gli stia bene. D’altra parte, ogni religione (cosi’ come il linguaggio, l’arte, la musica, la gastronomia, ecc.) rispecchia la mentalita’ dei popoli in cui nasce. Quindi, in definitiva l’Islam non viene loro imposto, e’ spontaneo in quei popoli.
    Ora, che questi popoli debbano accettare l’Islam per via della loro educazione, genetica, perversione mentale, o quello che sia, d’accordo; sono affari loro. Ma che poi un domani cerchino di imporlo a noi occidentali, questo e’ troppo. 2300 moschee in Francia, 1900 in Gran Bretagna, 2800 negli Stati Uniti. E le chiese chiudono! Forse tra poco l’Islam ci verra’ imposto a forza. Bisognerebbe fare qualcosa a questo proposito. Carlo Martello, dove sei?

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