Gianni Pardo

L’ALTERNATIVA FRA LA RESA E IL CORAGGIO

Alternativa viene da “alter”, altro, o meglio “l’altro”. In italiano significa anche “diverso da sé”, come nel verbo alterare, e tuttavia bisogna stare attenti perché, secondo un libro di etimologia, “alter”, originariamente, significa opposizione fra due. Dunque non fra uno e molti (alius), ma fra uno da una parte e uno dall’altra. Così si può considerare un’alternativa quella fra “acceso e spento”, perché il senso della prima parola è opposto al senso della seconda. Mentre non è un’alternativa quella fra “acceso” e “guasto”, “caldo”, “verde” o “costoso”. Proprio perché “verde” o “costoso” non sono opposti ad “acceso”.
Se chiediamo a qualcuno l’alternativa a “ricchezza” ci dirà “povertà”; se chiediamo l’alternativa a “bellezza” ci dirà “bruttezza;” e se chiediamo l’alternativa a “guerra” ci dirà “pace”. Con ragione, certo. Ma con delle precisazioni di cui è necessario tenere conto.
Se il nostro Paese esita fra invadere un altro Paese o astenersene, effettivamente l’alternativa è fra pace e guerra. Ma se al contrario un Paese straniero comincia ad invadere il nostro territorio, noi non abbiamo la scelta fra pace e guerra, ma soltanto fra resa e guerra. In questo senso rimane indimenticabile ciò che disse Churchill dopo la Conferenza di Monaco, nel 1938: “Britain and France had to choose between war and dishonour. They chose dishonour. They will have war”, “La Gran Bretagna e la Francia dovevano scegliere fra la guerra e il disonore. Hanno scelto il disonore. Avranno la guerra”. Churchill intendeva che se il nemico ha delle pretese inaccettabili, bisogna resistere subito, anche con la guerra, perché l’esperienza insegna che, se si cede ad un prepotente su un punto, quello sarà incoraggiato a chiedere di più. Dopo i Sudeti, l’intera Polonia.
Queste piane osservazioni indicano che il pacifismo – “La guerra in nessun caso” – è una posizione teoricamente sbagliata. Essa avrebbe senso in un mondo di angeli in cui il primo dice “La guerra in nessun caso” e può contare che anche gli altri angeli applicheranno il principio: “La guerra in nessun caso”. Viceversa in un mondo che è lungi dall’essere composto da angeli quando si prospetta il rischio di una guerra bisogna avere le idee chiare.
Se il possibile aggressore è talmente più forte di noi che tentare di difenderci a noi costerebbe moltissimo, a lui costerebbe poco, e comunque vincerebbe lui, è meglio arrendersi subito. Come fece la Cecoslovacchia – soprattutto memore della lezione dell’Ungheria dodici anni prima – nei confronti dell’Unione Sovietica nel 1968.
Se invece siamo sufficientemente armati da potere resistere alla sopraffazione, o al meno da vendere cara la vittoria al più forte, è il momento di decidere se combattere o no. Dunque la vera alternativa non è tra guerra e pace, ma tra guerra e resa.
La scelta è difficile. Se fossimo tanto forti da essere sicuri di battere l’aggressore, probabilmente costui neanche proverebbe ad aggredirci. Se fossimo sicuri di essere una preda facile, tanto varrebbe non provare nemmeno a difenderci. Il problema si pone quando il risultato è incerto e il costo altissimo sia per l’aggressore sia per l’aggredito. In questo caso conta molto la risolutezza.
Se all’Ucraìna viene scippata la Crimea, sempre sperando che Mosca non voglia altro, Kiev può ragionevolmente decidere di tollerare la violenza. Ma se Mosca tentasse di invadere l’Ucraìna farebbe bene a mettere in conto la possibilità (non la certezza, la possibilità) che la vittoria sia costosa e che, persino dopo la vittoria, si possa innescare una tormentosa e interminabile guerriglia. Come quella che costrinse l’Unione Sovietica a ritirarsi dall’Afghanistan, nel 1989. Anche se il territorio è molto diverso.
Nel caso dell’Ucraìna, il problema si presenta molto difficile perché multilaterale e con troppe ricadute in troppi scacchieri. Un cosa è tuttavia certa: molto dipende dalla risolutezza. Se per gli Stati arabi è sconsigliabile attaccare Israele, non è soltanto perché quel piccolo Paese è ben armato; è soprattutto perché, avendo gli arabi ripetutamente dichiarato l’intenzione di sterminare tutti gli ebrei, gli aggressori devono aspettarsi che gli ebrei siano pronti a morire tutti con le armi in mano piuttosto che gasati come conigli. Una tale resistenza da rendere costosissima qualunque possibile vittoria. Per non parlare del rischio di una risposta atomica.
Tucidide ha spiegato più volte questo genere di fenomeni: chi è crudele si rende certo temibile ma la sua crudeltà può diventare un handicap perché trasforma tutti i nemici in eroi. Fino a non conseguire nessuna vittoria o fino a pagarla carissima. Mentre una fama di magnanimità potrebbe propiziare una pace dopo tutto vantaggiosa. Se gli americani e gli inglesi, durante la Seconda Guerra Mondiale sono stati accolti per le strade dagli applausi degli italiani è perché avevano la fama di portare e distribuire pane bianco, latte in polvere, uova in polvere e scatolette di carne. In quel momento, prima che buoni patrioti eravamo molto affamati e gli Alleati, con la loro generosità, fecero un affare. Non soltanto non incontrarono nessuna resistenza nella popolazione ma l’Italia divenne addirittura un fedele alleato degli Anglosassoni.
Se soltanto l’Europa non fosse stupida, litigiosa e imbelle, il problema ucraìno non si porrebbe. Basterebbe dire a Vladìmir Putin (tanto di cappello, sia detto al passaggio, per il modo come fa gli interessi del suo Paese): “Se l’esercito russo traversa la frontiera ucraìna da est, l’esercito europeo occidentale l’attraverserà da ovest”. Se si avesse questo coraggio, non ci sarebbe più nessuna minaccia di guerra.
In certi casi l’alternativa alla guerra è la resa, spesso l’alternativa alla resa è il coraggio.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
13 febbraio 2022

L’ALTERNATIVA FRA LA RESA E IL CORAGGIOultima modifica: 2022-02-14T14:39:19+01:00da
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