Gianni Pardo

L’EBREITUDINE

Chi è un ebreo?”, “Chi sono gli ebrei?”. A questo genere di domande tutti saprebbero rispondere. Ma la definizione – per esempio “una persona di religione ebraica” – è per sua natura una delimitazione, non una descrizione. In base ad essa sappiamo che una data persona non è buddista, non è shintoista e non è musulmana. Ma nulla di più. E in particolare non sappiamo che significhi essere ebrei.
Il problema è generale. Se qualcuno mi chiede dove abito, e gli do l’indirizzo, sarà in grado di ritrovare la casa anche in capo al mondo. L’indirizzo elimina ogni possibile equivoco ma nulla dice del tipo di abitazione. Se invece dico: “Vivo in una villetta monofamiliare, nel verde”, chi mi ascolta avrà una prima idea (descrizione) della mia casa, ma non saprebbe dove trovarla (identificazione, definizione). Se poi mostro una foto a colori, oltre che della casa vista da lontano, delle stanze, fornisco l’indirizzo, si ha fornito il massimo di dati. Ma l’unica vera conoscenza di una casa si ottiene visitandola personalmente.
Riguardo agli ebrei Wikipedia è evidentemente in imbarazzo, se se la cava con un trenino di due parole, “un gruppo etnoreligioso”, che poco dopo divengono tre: un’entità caratterizzata da un legame fra “etnia, nazionalità e religione”. Dunque ebreo sarà in primo luogo un ebreo la cui famiglia è ebrea da tempo immemorabile, di nazionalità israeliana e di religione ebraica. Giusto. Ma un ebreo polacco, che vive in Polonia, ed è polacco di nazionalità, non è forse ebreo pure lui? E quanto all’etnia, sono ebrei i falasha di pelle nera mentre i polacchi di religione ebraica sono di pelle bianca e magari biondi come gli altri polacchi. E allora? E se un ebreo si dichiara ateo, pur essendo di nazionalità israeliana e pur abitando a Gerusalemme, sarà o no un ebreo? Insomma, la definizione di Wikipedia mi convince fino ad un certo punto. E comunque, se limitassimo la definizione al dato religioso, dovrebbe essere considerato non ebreo chiunque dichiari di essere ateo, buddista o cristiano.
La mia definizione è diversa. Do per scontata la storia di Israele. Do per scontato il suo tormentato rapporto con i romani. Do per scontata la diaspora e do per scontato che, per i cristiani, gli ebrei sono stati per innumerevoli secoli il “popolo deicida”, avendo ucciso Gesù. E mentre i primi fatti sono storia, quest’ultima è una calunnia insostenibile.
Gesù è stato processato e condannato dai romani ed ha subito un supplizio romano. Su questo punto non ci sono dubbi, se non mi sbaglio il fatto è citato anche da Tacito. Se nei vangeli vengono rappresentate le autorità ebree e perfino il popolo ebreo (“Crucifige, crucifige!”) come colpevoli della morte del profeta, è stato per ingraziarsi i romani e rigettare la colpa sugli ebrei. Ciò dal momento che la nascente setta si è sviluppata a Roma più che a Gerusalemme o dovunque altrove. Ma questo, qui, poco importa. Più importante è la diaspora successiva ai drastici provvedimenti di Tito. Infatti a questo evento storico si fa risalire lo sparpagliamento degli ebrei in tutti i Paesi europei, del Vicino Oriente e del Nord Africa.
Purtroppo, questo fatto non spiega il fenomeno per il quale, secoli dopo, in Francia o in Inghilterra gli ebrei non sono diventati soltanto francesi o inglesi. A mio parere non lo sono diventati non perché loro fossero talmente orgogliosi di essere ebrei, o talmente attaccati alla loro religione da rendersi inassimilabili (l’Inghilterra ha assimilato ben altro) ma – al contrario – perché i popoli che li ospitavano li hanno sempre visti come nemici: non erano forse membri del popolo deicida? Non erano quelli che si rifiutavano di divenire cristiani? E infatti li consideravano irrimediabilmente ebrei. Potevano essere ricchi, potevano divenire importanti, ma nessuno dimenticava mai che erano ebrei. Io non so quale fosse la religione di Gladstone, di Pitt o di Churchill, ma so che era ebreo Disraeli. Non so quale fosse la religione di Niels Bohr ma so che era ebreo Einstein. Come lo so di Freud, di Mendelssohn e di tanti altri.
Gli ebrei non sono ebrei per qualche loro specifica, intrinseca caratteristica, ma lo sono perché sono ebrei per gli altri. Se un ebreo è ateo, lo cosa riguarderà lui e il suo biografo, se è un genio. Ma per i suoi vicini di casa è sempre stato e sempre sarà un ebreo. Del resto, non diciamo tutti che Woody Allen è un ebreo, pure se sappiamo che non è credente?
Non è che gli ebrei siano inassimilabili perché si rifiutano di essere assimilati, sono inassimilabili perché tutti i popoli li rigettano implacabilmente nella loro “ebreitudine”. Io miscredente invece ho avuto amici ebrei perché gli ebrei non li ho mai discriminati, né in positivo né in negativo.
Essere cristiani è cosa che può essere evitata, dichiarandosi atei; essere ebrei è cosa che non può essere evitata, perché sono gli altri a dare a quella religione un’importanza spropositata. Fino e farne qualcosa di ineliminabilmente inerente alla persona. I nazisti non avrebbero sospeso il rastrellamento (e la Endlösung ad Auschwitz) se qualcuno si fosse dichiarato ebreo non praticante o addirittura ateo. E infatti i tedeschi allora parlavano, se pure assurdamente, di “razza”. Perché la razza sì (se esistesse chiaramente) sarebbe inerente alla persona. Ma dallo svedese più sbiadito al senegalese più nero non ci sono che sfumature. Molti europei sono più bianchi di un senegalese ma più neri di un norvegese.
Così arrivo alla definizione finale. Che significa “essere ebrei?” Ecco la risposta: “Essere ebrei significa essere vittime del pregiudizio internazionale”. Di cui noi cristiani e noi europei dovremmo vergognarci.
Se nel mondo la smettessimo di considerare gli ebrei “diversi”, gli “ebrei” in quanto tali sparirebbero. Così come in Europa ci distinguiamo fra francesi, tedeschi ecc., non tra protestanti e cattolici, come nel XVI Secolo.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
12 gennaio 2022

L’EBREITUDINEultima modifica: 2022-01-14T11:05:34+01:00da
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