Gianni Pardo

ALESIA È IN POLONIA

Ci sono delle battaglie che segnano il destino di una guerra e della storia. Una di queste è la battaglia di Alesia (Borgogna) che pose fine alla rivolta dei Galli e consacrò il genio militare di Cesare. Le vicende dell’assedio, del soccorso portato da oltre duecentomila Galli agli assediati, e dell’esito della battaglia vinta dai romani su due fronti, sono note. Ma quel che interessa è un particolare atroce e tuttavia significativo.
Vercincetorige cercava di evitare lo scontro frontale con l’esercito romano, perché ne riconosceva la superiore organizzazione. Così una volta, trovandosi a mal partito, si rifugiò con i suoi in una cittadina facile da difendere, perché posta su una collina e, prima che i romani avessero il tempo di rendere ermetico l’assedio, mandò dei messi a chiedere aiuto. Ciò fece particolarmente perché, valutando le riserve di cibo, e considerando che già i suoi soldati soltanto erano circa ottantamila, gli era apparso chiaro che Alesia non avrebbe potuto resistere a lungo.
Aveva visto bene. Infatti, prima ancora che arrivassero i soccorsi, le riserve di granaglie cominciarono ad esaurirsi e il capo militare si rese conto che non c’era cibo per tutti. Così adottò una decisione crudele ma l’unica – a suo parere – capace di permettere la resistenza: fece espellere dalla città vecchi, donne e bambini, cioè chiunque non potesse portare armi e contribuire alla difesa, sperando che Cesare li accogliesse. Ma Cesare fu irremovibile, anche se quelli si offrivano come schiavi. I poveretti perirono di stenti.
Questo episodio è indimenticabile. Da settanta e passa anni noi viviamo in un’epoca di pace e di buonismo e il comportamento di Vercingetorige ci appare semplicemente orribile. Né molto meglio giudicheremmo Cesare. Ma considerando che cos’è la guerra, e che cos’era a quei tempi, quando era normale rendere schiavi tutti i vinti, ma anche passarli a fil di spada a migliaia (a volte inclusi anche donne e bambini) il calcolo di Vercingetorige era semplice: se avesse fatto nutrire tutti, la sconfitta era sicura per tutti e le conseguenze inimmaginabili. Comunque negative. Con quel provvedimento c’era più che il pericolo di far perire la popolazione civile ma anche la possibilità di vincere la battaglia e forse la guerra contro i romani. Meglio la seconda soluzione.
Altro episodio. Caterina Sforza era assediata a Forlì e gli assedianti avevano catturato i suoi figli, due o tre, non ricordo. Così le fecero sapere che li avrebbero uccisi se lei non si fosse arresa e la città non si fosse consegnata. Caterina, salita sugli spalti, gli gridò che potevano impiccarli lì stesso, dinanzi a lei, che lei non si sarebbe arresa. E quanto ai figli disse – sollevandosi la gonna e mostrando il suo pube – che aveva “lì” di che farne quanti ne voleva, di figli. La storia ci dice che gli assedianti non uccisero i suoi figli, ma ciò che importa è chiedersi: Caterina era una madre indegna?
Non lo era affatto: soltanto viveva in un’epoca di ferro (è il tempo in cui Machiavelli scrisse il “Principe”, per intenderci) e dunque sapeva benissimo che arrendendosi gli assedianti avrebbero potuto lo stesso ammazzare i suoi figli, ed anche lei, e chissà quanta parte della popolazione di Forlì. Dunque la spacconata di invitare gli assedianti ad impiccare i suoi figli dinanzi a lei fu, per così dire, “gratuita”. Nel senso che forse un altro comportamento sarebbe stato ugualmente tragico per lei e i suoi figli. Dunque l’orgoglio e il buon senso le consigliarono quel gesto indimenticabile. Sia detto di passaggio: Caterina era intelligente, bella, colta, coraggiosa, abile politicamente e perfino forte fisicamente. Un gigante dinanzi al quale togliersi il cappello.
Ma questo genere di considerazioni valgono solo per la guerra delle Gallie, per gli innumerevoli conflitti del Rinascimento, o per sempre? La risposta è ovvia e ne abbiamo un esempio sotto gli occhi: l’autocrate (a quanto dicono) della Bielorussia, Alessandro Lukashenko, per fini che conosco male e che comunque qui non interessano, ha incoraggiato migliaia di aspiranti emigranti ad andare in Bielorussia (in aereo, nientemeno, e questo la dice lunga sull’indigenza di costoro) per entrare poi nell’Unione Europea attraverso il confine polacco.
Improvvisamente la Polonia vede apparire al di là del confine est questa massa enorme di gente che intende entrare nel suo territorio con le buone o con le cattive. Siamo in autunno e le temperature, in quella zona, non incoraggiano certo il campeggio. Deve dunque decidere come comportarsi e pensa: “Se faccio entrare costoro, si capirà che la Polonia è la porta d’ingresso dell’Unione. Ad ammettere che facciamo entrare ventimila persone ne arriveranno poi altre ventimila e altre ventimila e altre ventimila. Non è ovvio che arriverà il momento in cui diremo basta? E se allora saremo criticati per non avere fatto entrare gli ultimi arrivati, non è meglio essere criticati non facendo entrare i primi arrivati? A costo di farli straziare dal filo spinato, di congelarli con i getti d’acqua, di ricoprirli di lividi a manganellate, schierando sulla frontiera, se necessario, l’intero esercito polacco. Meglio risolvere il problema alla radice”.
Il ragionamento è talmente invincibile che la Polonia, benché il buonismo internazionale abbia tentato di darle la colpa (insieme a Lukashenko) delle sofferenze di quella povera gente, non ha sentito ragioni. Del resto, poteva sempre ribattere: “Chi li ha invitati? Chi mai gli ha detto che si può entrare in casa d’altri se il padrone di casa non è d’accordo? Delle loro sofferenze è responsabile soltanto Lukashenko il quale su queste sofferenze ha contato per ottenere dei vantaggi politici a nostre spese. Lui li ha fatti venire, lui è il responsabile di tutto”. E mentre il mondo non sapeva se condannare la Polonia, se voltarsi dall’altra parte, se dare il torto a Putin o chissà che altro, Varsavia ha resistito fino al punto che Lukashenko ha dovuto offrire un riparo contro il freddo agli emigranti e favorire il loro rientro alla base. Ovviamente così ha perso la partita e di questa crisi già non si parla più. La Polonia ha ragionato “militarmente” ed ha vinto.
Sul fronte sud dell’Unione Europea le cose sono andate diversamente. Qui tutti hanno detto che se degli incoscienti salgono in cento su un gommone per traversare il Mediterraneo e poi rischiano (come è normale e prevedibile) di lasciarci la pelle, la colpa è di coloro che non sono andati a “salvarli” prima che annegassero. Ragionando così, non sarebbe meglio organizzare un servizio gratuito di traghetti, dichiarandosi disposti ad accogliere centinaia di milioni di africani? Bisogna essere coerenti.
Il Tevere, la Senna, il Reno sono posti dove il buon senso non prospera. Per questo pare sia emigrato sulla Vistola.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
25 novembre 2021

ALESIA È IN POLONIAultima modifica: 2021-11-27T09:18:35+01:00da
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