Gianni Pardo

E DOPO L’ASTENSIONE?

Immaginate di avere un figlio drogato. Le avete provate tutte, ma ormai ne siete certi: per nessuna ragione rinuncerà a drogarsi. Pur di avere la droga, vi ha ricattati in mille modi, soprattutto minacciando il suicidio. La minaccia era a vuoto, ma il suicidio lui lo sta commettendo realmente, con la droga: è magro da far spavento e comincia ad avere ogni sorta di malanno. Da quando avete provato a negargli i soldi per drogarsi, prima si è prostituito, poi, visto che il suo aspetto era tutt’altro che allettante, si è dato alle rapine, fino ad ora per fortuna senza essere arrestato. Insomma avete davanti un quadro tragico e siete nell’impossibilità di fare qualcosa per salvare una persona che fino a qualche anno fa meritava tutto il vostro amore. Per giunta sapete benissimo che una società superficiale e crudele è pronta ad accusarvi di non averlo salvato. Anche se nessuno sa dirvi come avreste dovuto fare.
A questo punto è comprensibile che smettiate di attivarvi. Di fronte ad una situazione senza sbocco, non facendo nulla quanto meno sfuggite al rimprovero di aver fatto la cosa sbagliata. Non per tutti i problemi c’è una soluzione.
Questo parallelo si attaglia perfettamente alla situazione politica dal punto di vista del popolo. Gli italiani non sono ciechi e vedono che il Paese ha troppi sprechi, troppe magagne, troppe malattie incancrenite. Si parla tanto di riforme, e non se ne fa mai nessuna: per esempio, non si può dire che la riforma Cartabia sia una cosa seria. Ha soltanto messo una pezza a colori all’abominio dell’abolizione della prescrizione.
Qui è necessaria una parentesi: l’immobilismo italiano non dipende dal governo. È il popolo italiano che è conservatore, quando si tratta di conservare il peggio. Anche riguardo alle cose patentemente sbagliate e che esso stesso condanna. Le riforme le vorrebbe gratis, senza disturbare nessuno, senza prezzi e senza controindicazioni. Così da decenni non si cava un ragno dal buco e sul Paese aleggia la disperazione.
Purtroppo, la disperazione è cattiva consigliera. Sui giornali ogni tanto leggiamo di casi dolorosi di omicidio-suicidio: il padre anziano teme di morire lasciando il figlio gravemente malato di mente senza nessuno che lo accudisca e per questo lo uccide e si uccide, in modo da risolvere drasticamente il problema. Almeno lui personalmente morirà tranquillo. Suona tremendo ma quando la situazione è tragica si prendono in considerazione le soluzioni più drastiche.
E questo è avvenuto progressivamente in Italia. Agli inizi nessuna persona ragionevole poteva prendere sul serio il Movimento 5 Stelle, e tuttavia di elezione in elezione i suoi consensi aumentavano. Perché aumentava il numero di coloro che, pur di ottenere “un cambiamento”, avrebbero votato per chiunque fosse radicalmente nuovo e diverso. Questa marea ha trovato il suo culmine nel 2018, quando il Paese si è “suicidato” dando al Movimento oltre il 32% dei voti e facendone il partito di maggioranza relativa. Il cittadino si è detto: ”Tutti i medici, inclusi i luminari di altre città, mi hanno dato per spacciato. A questo punto, non mi rimangono che le medicine alternative, prima di andare da un guaritore o a Lourdes”.
Atteggiamento comprensibile ma sbagliato. Se non possono guarirti i migliori medici, non ce la farà certamente il guaritore. Ed è quello che è avvenuto col Movimento 5 Stelle che ha dato continue prova di incompetenza, di inefficienza, di costosa demagogia. Così è arrivato a deludere quelli stessi che l’avevano votato e a convincerli che il guaritore non la sapeva più lunga del luminare. Infatti a partire dal 2018 il Movimento ha cominciato a squagliarsi e sono curioso di vedere la percentuale che raccoglierà nel 2023.
Ma lo sgonfiarsi della “disperata speranza” costituita dal Movimento non è drammatico soltanto per quel partito. Per il popolo significa anche che veramente per questo Paese non c’è alcuna soluzione. E dunque si convince che, per chiunque voti, non cambia niente. E per logica conseguenza che non val la pena di votare per nessuno. Da questo il drammatico astensionismo che leggiamo sui giornali.
Se a Roma si è astenuto il 40% degli elettori, e Gualtieri ha ottenuto il 60% dei voti espressi, è il sindaco del 24% dei romani. Uno su quattro. È una legittimazione, questa, o piuttosto una dichiarazione di totale sfiducia nell’istituzione?
Siamo dunque di fronte ad un’autentica crisi del sistema democratico. Il popolo mostra di crederci sempre meno, anche se non è affatto in grado di proporre un’alternativa. Né sembra disposto a rinunziare ai suoi vecchi vizi. Infatti chiediamo sempre più servizi allo Stato, meravigliandoci del fatto che poi esso ci sovraccarichi di tasse e imposte. Oppure fa aumentare le dimensioni di quell’immensa bomba a orologeria che è il debito pubblico. Né il nostro livello morale migliora: ci lamentiamo della corruzione della nostra società ma tutti cercano favori e raccomandazioni. E fin troppa gente sogna di vivere a sbafo, a spese dello Stato. Il Reddito di Cittadinanza docet.
Ovviamente qualcuno dirà, per consolarsi, che quelle recenti erano soltanto elezioni amministrative. Ma se i cittadini disperano di avere un sindaco capace di far raccogliere la spazzatura, quante speranze ci sono che possano credere in qualcuno che riformi la Pubblica Amministrazione e il sistema giudiziario?
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
19 ottobre 2021

E DOPO L’ASTENSIONE?ultima modifica: 2021-10-19T12:09:31+02:00da
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