Gianni Pardo

LO STATO IN PACE E IN GUERRA

Se mi chiedessero di dire quando è nato lo Stato, e volessi essere serio, risponderei: “Non lo so”. Se invece dovessi dare una risposta brillante direi: “È nato quando è nata l’agricoltura”. Un cacciatore può difendersi da chi vuole rubargli la cacciagione. Invece un contadino lavora oggi per avere il frutto di questo lavoro parecchi mesi dopo e, se al momento del raccolto viene preceduto dai ladri, avrà lavorato per niente. Né si può concepire che, negli ultimi quindici giorni, egli non dorma mai e rimanga nel suo fondo, a sorvegliare il frutto della sua fatica. Dunque l’agricoltura in tanto è possibile in quanto regni un sufficiente ordine pubblico, tale da spingere il singolo a coltivare la terra con la ragionevole speranza di raccoglierne i frutti. E chi può assicurare questo ordine pubblico se non lo Stato?
Magari uno Stato embrionale, costituito dagli stessi contadini che a turno, invece di dormire la notte, vanno in giro per i campi ad uccidere i ladri, se li sorprendono. Lo Stato è caratterizzato dall’essere una forza impersonale. Infatti questi primitivi “vigilantes” non agirebbero soltanto nell’interesse proprio, perché opererebbero anche nei campi e nell’interesse dei terzi: dunque nell’interesse della comunità, sia pure ricavandone la speranza di veder difeso anche il proprio campo. Quando la mutualità si erge ad autorità armata e si trasforma in potere, ecco l’embrione dello Stato. Quante volte abbiamo visto nei film western – cioè in un ambiente in cui lo Stato era troppo lontano – i contadini che si coalizzano per resistere ai banditi o al signorotto prevaricatore?
Lo Stato è una triste necessità. Infatti dà al gruppo organizzato un potere di vita e di morte sugli altri membri della comunità. Vero è che nel nostro esempio il singolo è un ladro, ma in natura il furto non è un delitto. Perfino il leone, che tanti reputano simbolo della forza leale, quando può ruba alle iene la loro preda. E del resto avviene anche l’inverso. Chi può rubare ruba e basta, e dunque il ladro potrebbe sentirsi oppresso dallo Stato nascente.
Nel mondo primitivo vige la legge del più forte ma questa legge si evolve passando da “legge del più forte” in senso individuale a legge del più forte in senso collettivo, quando i più comandano sui meno. Oggi si chiama democrazia, ma il principio è quello. Dunque lo Stato, sia pure con le migliori intenzioni, è essenzialmente oppressione. Esso si impone sul singolo con la forza e non tiene conto della sua opinione. Esempio: la leva militare obbligatoria, col corollario della fucilazione dei disertori. Anche lo Stato democratico si sente in diritto di esigere perfino la vita dei suoi cittadini. Ecco in che senso è da ingenui meravigliarsi dell’oppressione dello Stato.
Molta gente si illude sullo Stato perché esso opera prevalentemente in tempo di pace. Cioè quando non ci sono emergenze, ed esso sembra essere soltanto l’entità che ripavimenta le strade, cura i giardini pubblici, paga la scuola dei ragazzi e amministra la giustizia. Ma quando le cose si mettono male, lo Stato esercita un potere illimitato. Gli ingenui parlano di tirannide o, secondo la moda italiana, di fascismo, ma questo soltanto perché ignorano totalmente la storia. Anni fa i “figli dei fiori” dicevano (o cantavano, non so): “Facciamo che dichiarino la guerra e nessuno ci vada”. Cioè vedevano la guerra come un party facoltativo. Loro ci avevano pensato, a non andarci, e i cittadini della Prima Guerra Mondiale che dovevano morire andando all’assalto, no. Rimane soltanto da scuotere la testa.
Ovviamente, se uno gliene parla, gli anarchici e le anime belle si dichiarano contro questo genere di Stato, ma dimenticano che la leva obbligatoria, anche se comporta la morte di milioni di uomini, è giustificata dalla necessità di respingere il nemico. Un nemico che nell’antichità era capace di passare a fil di spada tutti gli uomini, rendendo schiavi donne e bambini. E del resto è, ancora attualmente, la realtà in cui vivono gli israeliani. Meglio morire combattendo. È stata la lezione del Ghetto di Varsavia. Ma la gente chiude gli occhi su tutte queste cose.
Il potere dello Stato si esercita tanto più brutalmente quanto più è grave la minaccia. Se essa è minima, lo Stato parlerà sottovoce o addirittura si limiterà agli inviti. Se essa è grave, la risposta sarà imperiosa. Infine, se minaccia la vita, lo Stato risponderà con selvaggia violenza e senza guardare in faccia a nessuno. Se la maggioranza teme la morte ad opera della minoranza (per esempio, un contagio di peste) non soltanto è capace di esiliarla, ma anche di ucciderla. Necessitas legem non habet.
Ovviamente, dopo tre quarti di secolo di pace, noi reputiamo tutto questo arcaico ed inverosimile. E gli stessi governanti, se fossero obbligati dalla necessità, le obbedirebbero con mala coscienza: talmente essi stessi non sono più abituati ad usare la mano dura. Ma se il pericolo si fa concreto e innegabile, tutti imparano fin troppo presto.
E così andiamo al presente. La maggioranza teme il contagio e la minoranza, in nome della propria libertà, reclama il suo diritto a non vaccinarsi. E a contagiare la maggioranza, se capita. Poiché i morti in questi giorni sono un numero risibile, della cosa si discute. Se invece non ci fossero i vaccini, o non ci fossero posti in terapia intensiva perché tutti occupati dai non-vaccinati, o comunque se i morti si contassero a migliaia ogni giorno, si vedrebbe di che cosa è capace la maggioranza. Finché si scherza, passi; ma se i cittadini si sentono in pericolo di vita e identificano il colpevole di questo pericolo, Dio lo salvi: si trasformano in belve tali da far apparire il leone un grosso micione.
È per questo che la guerra lascia una traccia indelebile in chi l’ha vissuta drammaticamente. L’esperienza della violenza omicida rimane indimenticabile e irriferibile. Il reduce spesso tace, perché teme di non essere creduto. E così deve tenersi per sé un PTSD, post traumatic stress disorder, che a volte guarisce soltanto dopo anni, e a volte non guarisce.
Quand’ero bambino mi accorsi che in inverno non riuscivo più a ricordare come fosse l’estate, e in estate non riuscivo più a ricordare come fosse l’inverno. Mi sembra che gli uomini non riescano a ricordare che cosa sia l’uomo, se la situazione lo costringe a tornare allo stato di natura. Quello in cui, secondo Rousseau, era “buono”.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
14 agosto 2021

LO STATO IN PACE E IN GUERRAultima modifica: 2021-08-20T10:42:15+02:00da
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