Gianni Pardo

L’ASSOLUZIONE

L’ASSOLUZIONE COME CATASTROFE

Ogni processo penale si conclude con una condanna o con un’assoluzione. Salvo ad essere malevoli, di quest’ultima non si può essere che contenti. Si può essere delusi per il fatto che non si è trovato il colpevole ma bisogna che sia il reo, a pagare, non qualcun altro.

L’assoluzione è un fatto positivo per l’accusato e dimostra lo scrupolo con cui è amministrata la giustizia: ma è una sconfitta per l’amministrazione della giustizia in generale. Significa che la polizia e i vari magistrati che hanno lavorato al caso, fino a mandare l’imputato a processo, hanno operato male. Se fossero stati più accurati, più competenti, più scrupolosi, non avrebbero fatto perdere tempo ai giudici; non avrebbero fatto spendere un bel po’ di soldi allo Stato (i processi costano moltissimo) e soprattutto non avrebbero fatto pagare carissimo ad un cittadino innocente, in termini di denaro e in termini di angoscia, la loro inefficienza. L’assoluzione è un trionfo della giustizia ma una sconfitta dello Stato.

Purtroppo in Italia non solo si rinvia disinvoltamente a giudizio ma a volte si tiene l’accusato in carcere non tanto per evitare l’inquinamento delle prove o il pericolo di fuga – come dice compuntamente il codice – quanto perché “così un po’ di galera se la sarà fatta”. Il p.m. abusa della legge e si sostituisce al giudice naturale.

Tutto questo è già abbastanza drammatico ma negli ultimi decenni la situazione si è perfino aggravata. È fisiologico che il giudice assolva qualcuno: ma se questa assoluzione arriva dopo che si è accusato a lungo  una singola persona per molti reati, si ha contemporaneamente la riprova dell’accanimento dei requirenti e dell’inconsistenza dell’imputazione. Il risultato è che si delegittima la stessa magistratura.

Anche i sassi sanno che un gruppetto di magistrati avrebbe amato vedere Giulio Andreotti in galera. O quanto meno morto mentre era accusato di reati infamanti. Purtroppo per loro, il senatore è longevo ed è stato costantemente assolto. Qualcuno (uno scandalo giuridico) si è contorto per dichiararlo colpevole malgrado il proscioglimento ma gli italiani hanno capito una cosa: che se appena appena Andreotti fosse stato colpevole di avere sputato per terra, i giudicanti l’avrebbero stangato. Se non l’hanno fatto, è perché non sono disonesti. Ma la conseguenza è la perdita di fiducia nella giustizia. Se qualcuno oggi accusasse Andreotti, molti direbbero: ma lasciatelo in pace! Quand’anche stavolta fosse colpevole.

Un secondo esempio: coorti intere di magistrati sarebbero stati felici di veder condannato ed eliminato dalla scena Corrado Carnevale, il quale invece ha sempre vinto, in ogni stato e grado di procedimento, sia penale che amministrativo. Qualche requirente aveva messo da parte la bilancia e la spada per attentare alla vita professionale di un alto magistrato garantista: per fortuna esiste ancora una magistratura giudicante che non si presta a queste infamie. Ma, anche qui, che figura ci hanno fatto, gli accusatori?

Un esempio ancora è Silvio Berlusconi. Da quando è sceso in politica, la Guardia di Finanza, non certo per propria iniziativa, è entrata poco meno di cinquecento volte negli uffici delle imprese di Berlusconi alla ricerca di reati. Nientemeno, alla ricerca di reati: come se la magistratura fosse sfaccendata e dovesse cercarsi il lavoro. Il Cavaliere è stato fatto oggetto di una miriade di accuse e di processi, uscendone sempre assolto, col risultato che alla fine gli italiani hanno giudicato i magistrati inaffidabili, faziosi, politicizzati e peggio. Oggi, se Berlusconi fosse condannato, molti penserebbero: è solo che stavolta hanno organizzato meglio la calunnia. Il fatto che si possa pensare questo è una catastrofe.

Tutto questo senza parlare di Enzo Tortora, di Calogero Mannino e di tanti altri.

Gli accusatori dovrebbero capire che l’assoluzione dell’imputato non è un caso anodino: è la loro personale sconfitta. La prova che hanno lavorato male. Che si sono lasciati trascinare dall’istinto del cacciatore che corre dietro la preda non per motivi alimentari ma per il piacere di ammazzarla. Non ci si deve stupire se il prestigio dei magistrati è al suo minimo storico.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

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14 dicembre 2008

 

L’ASSOLUZIONEultima modifica: 2008-12-14T10:59:28+01:00da
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