Gianni Pardo

CHI SEMINA VENTO…

Il mondo intero è unanime nel considerare l’attacco a Rafah un errore,; qualcosa di contrario all’umanità; qualcosa da evitare ad ogni costo. La maggior parte delle dichiarazioni dà il fatto per ovvio. Chi invece spiega un po’ di più dice che ci sono un milione e mezzo di rifugiati (da altre parti della Striscia) che non saprebbero dove andare. L’argomentazione non sta in piedi. Dov’è andato il milione di gazawi che non è a Rafah? Sotto le tende. E sotto le tende possono andare anche gli altri. Ma parliamone seriamente.
Ammesso che questo sia il problema attuale, qual è la sua origine? L’origine è nel tipo di guerra che abbiamo a Gaza, dove si combatte casa per casa. Per così dire in un enorme agglomerato urbano. In questo caso i civili o si spostano o muoiono. In questo senso Gaza è un’enorme Stalingrado. Dal punto di vista militare, il combattimento casa per casa è estremamente dispendioso, in termini di vite di soldati, e per questo tutti i competenti lo sconsigliano. Ma Hamas – perfettamente al corrente di tutto questo – ha pensato di poter volgere la cosa a proprio vantaggio. In caso di guerra, Hamas era disposta a veder morire decine di migliaia di miliziani (delle vite altrui non le importa nulla) mentre sapeva benissimo che Israele questo non se lo poteva permettere. Dunque, il 7 ottobre ha attaccato presumendo che Israele non avrebbe osato invadere la Striscia che era piena di tunnel e di trappole di ogni tipo, anche nelle case civili, anche negli ospedali, anche nelle moschee. In secondo luogo pensando che, se Israele l’avesse fatto, l’avrebbe pagata comunque così cara che avrebbe dovuto pentirsene. Infine avendo la ragionevole certezza che gli altri Stati islamici sarebbero intervenuti nella guerra. Tutti questi calcoli si sono rivelati sbagliati, in quanto Israele ha accettato tutte le scommesse e tutte le sfide.
Invece di rischiare la vita dei suoi soldati in un combattimento casa per casa, ha distrutto tutte le case sospette; invece di scendere nei tunnel, saltando su ogni genere di mina o trappola, e combattendo un uomo contro un uomo, si è limitata a sigillare tutti i tunnel scoperti, fino a far rischiare ai miliziani di essere murati vivi. Infine, per avere campo libero, ha invitato la popolazione (nel suo stesso interesse) a spostarsi dalle zone di combattimento a quelle relativamente tranquille. Cominciando da Gaza City. Infine ha lucidamente accettato il rischio della morte di tutti i sequestrati, disinnescando la principale arma di Hamas. L’alternativa era concederle la vittoria. Così – tecnicamente – il combattimento casa per casa non si è avuto, nel senso che le case nemiche venivano distrutte dall’artiglieria o dai carri armati; le vittime civili sono state limitate, e le perdite israeliane sono rimaste molto basse.
In conclusione, se oggi ci sono centinaia di migliaia di rifugiati a Rafah è perché, spostandosi sempre più a sud, alla fine si sono scontrati col muro eretto dall’Egitto. E se ora devono spostarsi anche da lì è perché, se rimangono, o saranno uccisi dal fuoco incrociato o moriranno sotto le macerie del loro palazzo. Basta che un cecchino di Hamas spari da una finestra. Essi non devono spostarsi per fare una piacere a Israele, ma per salvare le proprie vite. E ciò senza dimenticare che è Hamas che ha voluto questa guerra, proprio in ambiente urbano, e non Israele.
In altre parole la strategia di Hamas si è rivelata un tremendo boomerang. Voleva rendere difficile e sanguinosa l’eventuale guerra a Israele, l’ha resa costosissima e sanguinosa per la popolazione di Gaza e per i suoi miliziani. È vero che per Hamas le vittime civili sono assets (partite all’attivo) non liabilities (partite al passivo), e che essa se si serve di loro, al prezzo delle loro sofferenze, per far leva sull’emotività internazionale, affinché faccia pressione su Israele. Ma neanche questo stratagemma funziona: perché i civili effettivamente soffrono e Israele invece tira diritto. Le parole del mondo intero non valgono ciò che può fare un singolo carro armato Merkava.
Ecco perché Israele non si può fermare dinanzi a Rafah: e se lo farà commetterà un gravissimo errore. Perché Rafah è l’ultimo tassello della sconfitta di Hamas. Ripulita Rafah (o distrutta, per Israele fa lo stesso), e avendo sotto controllo l’intera Striscia, Gerusalemme toglierà a Hamas la possibilità di dire che ha vinto la guerra: ribaltamento della realtà in cui i palestinesi sono del resto maestri. Non si può dimenticare che quando l’Olp fu espulsa dal Libano e dovette trasferirsi in Tunisia, Arafat si imbarcò facendo verso i fotografi il segno della vittoria con indice e medio. Quale fosse la sua vittoria non si è mai capito. Con questa gente dunque non si deve rischiare la minima concessione, perché la chiamerebbero vittoria.
Può dispiacere per i rifugiati di Gaza, perché vivere come gli altri rifugiati, sotto le tende, è da disperazione. Ma chi ha voluto la guerra? Chi l’ha voluta in una delle zone più intensamente popolate del globo? Chi l’ha voluta spietata, dal momento che lo stesso casus belli è stato un massacro spietato? Se chi legge queste righe sapesse che la propria figlia è stata brutalmente stuprata, magari mutilata da viva, per essere infine uccisa, siamo sicuri che sentirebbe una grande pietà, per i gazawi?
Non so come si dica in arabo chi semina vento raccoglie tempesta ma, se da quelle parti non hanno questo proverbio, è il caso che lo imparino.

CHI SEMINA VENTO…ultima modifica: 2024-03-28T07:33:28+01:00da
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