Gianni Pardo

BERLUSCONI, DOPO L’ALLUVIONE

Nell’italiano ci sono delle espressioni popolari più o meno convergenti, come: “esserci portato”, “avere il bernoccolo di”, “avere un talento per”, “avere un dono” e via dicendo. Tutto per dire che qualcosa riesce a qualcuno meglio di quanto riesca agli altri. E infatti tutte quelle espressioni si possono volgere al negativo per dire che per certe persone, in certi campi, non c’è speranza. Nemmeno quando ce la mettono tutta. A scuola impera lo sconsolato: “non c’è portato”. Nel senso che per lui non sarà nemmeno la matematica, a costituire un ostacolo: basterà l’aritmetica, a partire dall’esoterico mistero della Tavola Pitagorica.
Io “non sono portato” per molte cose, e non vi dico quali per non togliervi tutte le illusioni sul mio conto. Ma una cosa la posso confessare senza arrossire: “non sono portato” per le celebrazioni.
Che cosa sono le celebrazioni? Secondo il dizionario, la celebrazione è “L’attuazione o lo svolgimento di riti religiosi o di cerimonie dirette a illustrare o esaltare fatti o personaggi”. Illustrare o esaltare, ecco due verbi che non mi convincono. Per “illustrare” è meglio un buon libro. Per esaltare, se la persona o il fatto lo meritano, non è necessaria la celebrazione. E, se non lo meritano, la celebrazione è soltanto il festival dell’ipocrisia.
Per questo io che già nel 1994 ho votato per Berlusconi, sono stanchissimo di questa alluvione di celebrazioni. In passato ho anche scritto che Berlusconi in Italia era “free game”, selvaggina non protetta contro la quale chiunque poteva sparare. E non se ne privava certo. Ed oggi dei suoi nemici sembra sia rimasto soltanto Marco Travaglio. Poco verosimile.
In passato ho trovato ignobile la caccia all’uomo scatenata contro Silvio Berlusconi. Ho trovato bestiale la pervicacia nella calunnia, la fantasia nelle accuse, anche quelle più inverosimili, come dare del mafioso ad un imprenditore milanese. O dello stragista a un uomo che la violenza forse non l’avrebbe usata nemmeno per colpire una pallina da golf. A un uomo che, caso mai, aveva il difetto di voler piacere a tutti, di voler essere amato da tutti. Come se questo fosse possibile. Io, che l’ho sempre apprezzato, potrei anche permettermi di parlare di ciò che poteva non piacere, in lui. E se non lo faccio è perché sarebbe inutile, e soprattutto perché, considerando la vita di Giulio Cesare, poi non lo si può criticare perché era calvo.
Io non riesco a vivere l’oggi della “celebrazione”, io sono fermo a ieri. A ieri, quando mezza Italia e forse più era antiberlusconiana e l’altra metà non osava dirsi berlusconiana. Esserlo suscitava il disprezzo, confessarlo l’indignazione, tutti si trasformavano in profeti dell’Antico Testamento che improvvisamente avevano incontrato un adoratore del Vitello d’Oro. Non può essere che in tanti oggi riconoscano la grandezza di quest’uomo, quando in vita troppi non gli hanno concesso nemmeno la dignità umana, quella che impone il rispetto del proprio simile. Quell’uomo che gli lanciò un oggetto di marmo, in piazza, rompendogli un dente, non era sano di mente, dissero i giudici. Ma io sul momento mi chiesi se non stessero commettendo il reato di oltraggio alla nazione italiana, dal momento che quel “pazzo” rappresentava milioni di connazionali, forse la metà egli italiani.
Francamente, io che l’ho apprezzato e l’ho difeso, non sento nessun impulso a celebrarlo. A me basta considerarlo oggi come l’ho considerato in passato. E, come in passato l’ho apprezzato ma non adorato, non comincerò ad adorarlo oggi, soltanto perché – come avveniva per alcuni imperatori nella Roma antica – dopo la morte venivano proclamati dei. Nessuno è un dio, né in vita né dopo il trapasso. Infatti Vespasiano – uomo di spirito sul letto di morte – disse ironicamente: “Sento che sto divenendo un dio”.
Berlusconi in vita non avrebbe preteso onoranze nazionali. Avrebbe amato avere il rispetto che lui aveva per i suoi collaboratori, per i suoi dipendenti, per il cameriere che lo serviva al ristorante. Avrebbe amato avere in ritorno anche il 50, il 40% dell’amicizia che offriva al primo venuto.
Dunque capisco gli amici intimi che approfittano di questa triste occasione per manifestargli il loro affetto e la loro amicizia. Loro hanno il diritto di esprimere i loro sentimenti. Capisco pure l’omaggio di alcuni avversari – Renzi, D’Alema, Bersani – che per loro temperamento non sono miserabili. Ma, quanto al frastuono nazionale no, quello no, non lo capisco e non lo condivido. Se l’Italia avesse mai pensato di Silvio Berlusconi quello che sentiamo dire in questi giorni, non si sarebbe comportata come si è comportata, con lui. E dal momento che invece l’ha fatto, o mentiva allora (e non lo credo per niente) o mente ora (ed è più che possibile).
A me rimane il dolore che niente e nessuno ha potuto o voluto compensarlo, finché è stato vivo, delle troppe ingiustizie di cui è stato vittima.

BERLUSCONI, DOPO L’ALLUVIONEultima modifica: 2023-06-13T14:40:22+02:00da
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