Gianni Pardo

HEGEL VISTO DA BERTOLDO

Un paio di giorni fa un articolo di Diego Gabutti, su ItaliaOggi, ha smentito il vecchio detto per cui “ogni giorno porta la sua pena” (Matteo, 6-34). Infatti le sue righe mi hanno dato una gioia: quella di sentir dire male di Wilhelm Fiedrich Hegel.
Lui l’ha fatto dottamente, chiamando a testimoni il libro di Roberto Massari (“Hegel, una mistificazione”, che recensiva) e saporite citazioni di Schopenhauer, Fries, Marx, Brecht, Russell, Popper e altri, fra cui spicca per saggezza e incisività Tito Lucrezio Caro. Io invece da sempre ne dico male a mano libera, cioè senza averlo nemmeno letto, tanto so che non l’avrei capito. E Gabutti mi dà ragione almeno per quanto riguarda la lingua dei filosofi. Infatti il suo testo è una critica feroce del parlare difficile, cioè dell’oscuro “filosofese” di moda da quando è nato l’idealismo.
Il parlare difficile puzza lontano un miglio di pensiero poco chiaro, per chi è in buona fede, e di intenzioni truffaldine per chi vuole darcela a bere. Chi ha Bertoldo come filosofo di riferimento rigetta tutti e due questi interlocutori: “Se vuoi che ti dia ragione o torto, parla chiaro. Diversamente non ti ascolterò neppure”. Che è poi la ragione per la quale non ho letto Hegel. “Troppa disinvoltura”, mi dirà qualcuno. “Come ti permetti di contestare un gigante come Hegel?” E costui non si accorge di usare contro di me un argomento – il principio d’autorità, ipse dixit – che persino Tommaso d’Aquino usò come sussidiario e senza troppa convinzione. Da quando l’umanità ha finalmente contestato Aristotele quel principio è andato a farsi friggere e nessuno è esentato dalla dimostrazione. In particolare quando è possibile sollevare l’obiezione detta “petitio principii”, letteralmente richiesta del principio.
La “petitio” – secondo Wikipedia – si oppone a un “ragionamento fallace nel quale la proposizione che deve essere provata è supposta implicitamente o esplicitamente nelle premesse”. Il mio maestro (Bertoldo) farebbe questo esempio. Il filosofo dice al catechista: “Non ti affannare a dimostrare la validità del Cristianesimo, dando per implicita l’esistenza di Dio. Se non dimostri l’esistenza di Dio è inutile parlare di Cristianesimo. Il principium di tutto, qui, è Dio. Comincia da quello”. Nello stesso modo a Hegel si potrebbe dire: “Prima di sviluppare un’intera filosofia partendo dallo Spirito, spiegami che cos’è lo Spirito, dimostrami che esiste e infine che ha le caratteristiche e le funzioni che tu dici. E fallo con parole chiare, adatte ad uno zoticone come me”.
Né si può dire che questa obiezione sia semplicistica, credendo così di annullarla. Un’obiezione si supera dimostrandola infondata, non squalificandola. Se non si riesce a smontarla non soltanto essa rimane valida ma distrugge la teoria. E qui abbiamo un esempio storico. Ammettendo che si semplifichi lo scetticismo nella tesi per cui: “Nulla si può affermare con sicurezza”. Ebbene, la gloriosa teoria è distrutta da questa semplice domanda: “Ne sei sicuro?” Infatti qualunque risposta distrugge lo scetticismo. Non bisogna mai giudicare superate con una scrollata di spalle le obiezioni che non si sono superate. Lo scetticismo teorico è indimostrabile: rimane valido soltanto quello sorridente e moderato di Michel Eyquem de Montaigne, che corrisponde per così dire alla semplice buona educazione nell’esposizione delle proprie idee. Chi dice: “È così” è come se aggiungesse: “E devi pensarla anche tu nello stesso modo”. Mentre: “La penso così” è l’inizio di una piacevole conversazione.
Come detto, tutta la filosofia di Hegel ruota intorno al concetto di “Spirito” (Geist) ed io ho chiesto ad un professore di filosofia: “In che modo Hegel dimostra l’esistenza dello Spirito?” Lui mi ha detto qualcosa che stava a metà strada tra “non l’ho capito” e “non lo dimostra”. “Ma almeno, ho insistito, mi sai dire che cos’è?” E lui ha più o meno cambiato discorso. Partendo da queste basi, come potrei prendere sul serio Hegel? Chi mi dice che, dopo avere letto centinaia e centinaia di pagine, non mi ritroverei con un pugno di mosche? È come nel caso del Cristianesimo. Hegel ha un bel parlare difficile: se prima non dimostra l’esistenza e l’operatività dello Spirito, tutta la sua filosofia è fondata su un atto di fede. Precisamente la fede di chi vuole essere hegeliano. E personalmente non ci tengo.
A proposito: non accetto nemmeno il procedere per tesi, antitesi e sintesi. Mi sembra un modo artificioso di ragionare, comunque applicabile – sempre che lo sia – al mirifico esempio che ne dà lo stesso Hegel. Ma non si può usare come strumento per raggiungere la verità in generale. Se “Dio esiste” è la tesi, e “Dio non esiste” è l’antitesi, la sintesi qual è: “Dio esiste un po’“? (“Principio del terzo escluso”).Non nego che esistano casi di tesi e antitesi che arrivano ad una sintesi, ma generalizzare il procedimento conduce a risultati comici.
Dolente, ma il parlare “difficile” non m’impressiona minimamente. Perché a me viene “facile” dire: “Non ho capito”, e tirare avanti in tutta serenità.
giannipardo.myblog.it
P.S. Temevo che Gabutti mi contestasse, ma mi ha invece scritto per ringraziarmi.

HEGEL VISTO DA BERTOLDOultima modifica: 2023-02-26T08:05:50+01:00da
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