Gianni Pardo

IL MERITO

L’istituzione di un Ministero della Scuola e del Merito fa già scorrere fiumi di saliva. La parola “merito” ha infatti fatto sobbalzare sulla sedia centinaia di migliaia di docenti e i loro sindacati. Per loro “merito” significa “possibilità di bocciare un alunno” e dunque – secondo la loro mitologia – possibilità di discriminare i ragazzi provenienti dalle famiglie disagiate e dai quartieri poveri. Senza dire che un ragazzo bocciato potrebbe riportarne traumi psichici difficilmente superabili. Sembra un delirio, ma è un delirio che dura da oltre mezzo secolo e dunque, prima ancora di discutere la fondatezza di una simile opinione, è utile definire il “merito”.
Secondo la Treccani, il merito è “Il fatto di essere degno di lode, di premio”; od anche, oggettivamente, un’“azione o qualità che costituisce un merito, un giusto motivo per avere stima, lodi e onori”. Ambedue le definizioni si riportano a un giudizio. In tanto si può avere la legittima aspettativa di una lode o di un premio, in quanto qualcuno giudichi che ci sia un “giusto motivo” per concederli. E questo giusto motivo distingue chi merita e chi non merita. Non se ne esce. I “buoni” reputano invece che giudicare sia un male e che la scuola dovrebbe promuovere anche gli asini. Ma è così?
Don Milani potrebbe citarci il Vangelo: “Non giudicate e non sarete giudicati”. Ma chiedetevi: “È giusto questo imperativo?” Perché se dite di sì, o se dite di no, avrete giudicato e avrete contraddetto l’imperativo stesso. Diverso sarebbe stato se, da buon liberale, l’evangelista avesse detto: “Siate tolleranti”. Perché si può evitare di essere intolleranti, ma non si può evitare di giudicare.
Tutto nasce da un equivoco. Molti reputano che il voto positivo, a scuola, sia un regalo che il docente fa o non fa. “Mi ha dato cinque, mi ha dato sette”, dicono i ragazzi. Non capiscono (e non capiva don Milani) che l’espressione giusta sarebbe: “Ho meritato cinque, ho meritato sette”. Nessuno direbbe: “Mi sono pesato e la bilancia mi ha dato settantasei”.
Il professore che promuove tutti non è un professore “buono”, è un professore “che non insegna” e al quale non importa se i ragazzi hanno imparato qualcosa o no. Le anime belle non capiscono che il somaro promosso diviene un inguaribile ignorante, un futuro disadattato convinto che il denaro cresca sugli alberi e che il mondo ce l’abbia con lui.
Il voto non è un’ingiustizia, è come la bilancia che ci dice: “Dovresti dimagrire”. Se dato onestamente, è la constatazione di uno stato di fatto. E comunque tutti giudichiamo, continuamente: quando scegliamo che cosa mangiare al ristorante, quando scegliamo da quale dentista vogliamo essere curati, quando decidiamo quale film andare a vedere o per quale politico intendiamo votare. Chi di noi non distingue i conoscenti fra colti e incolti, fra intelligenti e cretini?
In tanto si può sostenere che la scuola non deve giudicare, in quanto del suo “prodotto” non importi nulla a nessuno. Questa istituzione, per lungo tempo, ha avuto come oggetto “saper leggere, scrivere e far di conto”. Anche limitandoci a questo minimo (che è stato l’essenza della scuola, come l’ha vista e creata la Rivoluzione Francese) è ovvio che una scuola che non insegna a leggere, scrivere e far di conto è come una fabbrica di scarpe che non produce scarpe. Se promuoviamo un ragazzo insufficiente gli togliamo la possibilità, ripetendo l’anno, di acquisire la capacità che avrebbe dovuto avere per essere promosso. Se poi promuoviamo tutti e nessuno studia (come avviene anche nella Scuola Media Inferiore attuale) defraudiamo l’intera scolaresca della ragione per la quale passa quattro o cinque ore al giorno in un’aula. E abbiamo sprecato i soldi dei contribuenti. La bocciatura del singolo somaro è la confessione che riguardo a lui la scuola ha fallito, ma d’altro canto serve da efficace monito per tutti gli altri alunni. Nelle condizioni attuali, invece, la scuola promuovendo tutti fallisce con tutti, salvo i pochissimi ragazzi che amano lo studio.
Lo stesso principio che “è assurdo bocciare nella scuola elementare” non è valido. Non è vero che i bambini siano del tutto irresponsabili. Irresponsabili sono coloro che non li educano alla responsabilità, e a sapere che il loro comportamento può avere conseguenze positive o negative. Io ho affrontato con paura l’esame di terza elementare (sì, allora c’erano gli esami di terza elementare) ed ho seriamente temuto di perdere un anno a causa della guerra. E non ne ho riportato nessun trauma.
Ovviamente alla severità c’è un limite, ed ha ragione chi dice che in Giappone la scuola è troppo competitiva e pressoché inumana. Ma hanno anche ragione coloro che dicono che l’Italia alleva legioni di somari che tali rimangono anche dopo aver frequentato l’università. Perché non si riparano in tre anni i guasti di una scuola che ha segnato il passo per tredici ed ha promosso i “maturandi” al 97%. Siamo un popolo di santi, di navigatori e di giovani con la “scienza infusa”.
Purtroppo ormai anche i docenti escono da quella scuola. Forse non bisognava chiamare quel Ministero “della Scuola e del Merito” ma “Ministero della Scuola e dell’Impossibile”.
gpardoitaliaoggi@gmail.com

IL MERITOultima modifica: 2022-10-28T09:39:52+02:00da
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