Gianni Pardo

L’INTELLETTUALE IMPEGNATO

L’intellettuale – e in particolare il giornalista – hanno il dovere di fare politica? La risposta dipende dal momento storico in cui è formulata la domanda. Negli Anni Trenta del secolo scorso essa sarebbe stata semplicemente impensabile. Infatti nell’Unione Sovietica – cioè nella Casa Madre degli intellettuali di sinistra (tutti) – vigeva il dogma che l’intellettuale dovesse essere “organico” al “Partito”. Non doveva creare arte, od anche soltanto informazione, ma portare la sua pietruzza all’edificazione del paradiso socialista. E chi non era d’accordo era suo malgrado costretto a prendere posizione “contro”, col rischio di passare subito per fascista. Ma, come ha chiesto George Orwell, “Si può stare seduti a scrivere su un iceberg, mentre l’iceberg si sta sciogliendo?”
Da quel tempo molta acqua è passata sotto i ponti della Moscova e della Senna e la tensione si è allentata. Il paradiso comunista è stato chiuso dalla Verità e forse anche – essendo indecente – dalla Buon Costume. Anche se da quelle parti può darsi ci siano operai intenti a costruire un monumento di Vladimir Putin a cavallo. Comunque gli intellettuali sono acutamente coscienti di aver perso la Casa Madre e ne hanno la nostalgia. Fra l’altro non erano nemmeno abituati a pensare in proprio. Sono per così dire disoccupati. Non gli rimane che l’antiamericanismo, l’allarme contro il fascismo e l’impegno furioso per il Bene: il Bene è il sentimentalismo di sinistra; il Male è la razionalità e la stessa Realtà, colpevole di non pensarla come loro.
La distinzione però è fumosa. Bene, Male? Siamo sicuri di saperli distinguere? I comunisti degli Anni Trenta (almeno quelli in buona fede) sostennero Stalin pensando di sostenere il Bene ed oggi persino un “progressista” è costretto a non dir troppo bene di Stalin che qualche marachella – bisogna ammetterlo – l’ha pure commessa. E già questo crea una perplessità. L’intellettuale si accorge che un giorno o l’altro potrebbe inopinatamente trovarsi dal lato del Male. Soltanto per non avere percepito in tempo che il vento era cambiato.
L’intellettuale di sinistra ha un altro problema: quello del suo potere o, se vogliamo, della sua efficacia. Un tempo ciò che scriveva aveva il valore di oracolo, oggi anche i migliori sono ascoltati distrattamente. La maggior parte della gente non legge. La maggior parte è ignorante. I pochi che ancora leggono hanno già la loro idea e non la cambieranno leggendo l’articolo di un editorialista. Quelli che potrebbero cambiarla sono prevalentemente i liberali e sono così pochi che non pesano. Insomma, l’intellettuale scrive un articolo di fuoco e, avendo compiuto la sua “opera di denuncia”, si terge il sudore e crede di avere vinto una battaglia. Per poi accorgersi che nessuno ha badato a lui e il giorno dopo con quella pagina di giornale la gente incarta il pesce. O – dal momento che essa è antigienica – incarta la carta che incarta il pesce.
E allora che facciamo, non scriviamo più niente, chiudiamo i giornali, mentre sappiamo tutti che la stampa libera è uno dei pilastri della democrazia? Per l’amor del Cielo, no, non chiudiamo niente. Viva la stampa. Tuttavia bisogna distinguere il valore della stampa secondo che il Paese sia una democrazia compiuta o una democrazia in pericolo. In questo campo potremmo arrivare al paradosso (che Oscar Wilde forse non avrebbe osato formulare) secondo cui in un Paese democratico la stampa libera è quasi inutile, mentre in un Paese oppressivo la stampa libera sarebbe assolutamente necessaria, ma spesso non c’è. In realtà la stampa libera bisogna sempre averla sottomano per il momento in cui la democrazia fosse in pericolo e ci fosse ancora modo di salvarla.
Da questi dati l’intellettuale deve ricavare la valutazione del proprio valore. Un valore che è pressoché uguale a zero. Una società come quella italiana, onusta di gloriose tradizioni, ancora oggi consegna al Movimento 5 Stelle (al livello intellettuale di Masaniello) il 15% dei voti nelle elezioni politiche, mentre il centro di Renzi e Calenda, da cui si può dissentire ma almeno è politico, arriva appena alla metà di quei voti. Conte vale quattro Renzi, secondo il nostro elettorato. Del resto nel 2018 il Movimento ha avuto oltre il 32% dei voti. Per questo, quando vedo sulla “Stampa” l’articolo di un noto romanziere “impegnato”, dal titolo apocalittico: “Ma questa destra è un rischio europeo”, mi metto a ridere. In primo luogo perché non è vero; in secondo luogo perché, se fosse vero, non sarebbe quell’articolo che scongiurerebbe il rischio. E poi ci stupiamo che la gente non legga.
Tuttavia proprio nel fatto di predicare al vento l’intellettuale dovrebbe ritrovare la sua nobiltà. Il buon Dio, se fosse un artista, sarebbe l’autore di una delle cose più belle del creato: i tramonti. Allestisce questo spettacolo tutti i giorni e non bada al fatto che praticamente nessuno assiste allo spettacolo. Nello stesso modo l’intellettuale deve scrivere non perché “impegnato”, non perché creda di realizzare qualcosa, ma per amore della verità. Per il piacere di dirla e di dirla bene. In fin dei conti sono insignificanti tanto lo scrittore quanto il lettore.
giannipardo1@gmail.com

L’INTELLETTUALE IMPEGNATOultima modifica: 2022-10-11T10:38:47+02:00da
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