Gianni Pardo

COBNTRACCOLPI DI UNA CRISI DI GOVERNO

Quando riceviamo una notizia che sconvolge la nostra vita, la nostra coscienza la colloca su due piani: il primo è quello puramente informativo, il secondo quello delle conseguenze che l’avvenimento avrà per noi. Sono note le cinque fasi del dolore al ricevimento di una notizia terribile come: “Hai il cancro, morirai fra quattro mesi”. Eccole: il rifiuto, la collera, il patteggiamento, la depressione e infine l’accettazione. Dico tutto questo perché le dimissioni di Mario Draghi mi hanno colpito come una legnata che mi ha lasciato stordito. Non mi era mai successo in passato. Ché anzi ricordo un caso opposto: quando cadde il secondo governo Prodi accolsi la notizia con un tale giubilo, che ci misi un paio di giorni a smaltirlo.
Oggi no, oggi sono triste e scoraggiato. E non perché mi sia innamorato di Mario Draghi ma perché, anche dopo avere ascoltato per ore dibattiti di competenti, non sono riuscito a farmi un quadro chiaro di tutti i guai cui andiamo incontro. Intendiamoci: l’Italia merita tutto quello che soffrirà, ma è il mio Paese; e ci abitano tutte le persone cui voglio bene. Persone corrette che in nessun modo hanno collaborato alla decadenza della nazione, e che tuttavia forse la pagheranno più cara dei colpevoli.
Mi tengo sulle generali proprio perché mi fa paura l’enumerazione dei problemi che ci aspettano. In campo economico, sociale, internazionale, militare e perfino di tenuta della democrazia. “Ovunque il guardo io giro”, come avrebbe scritto il Tommaseo, non vedo che guai. E per questo, per non affliggere il prossimo, ne descriverò soltanto uno. Che forse è quello centrale.
Il governo di unità nazionale presieduto da Mario Draghi è stato uno dei migliori da molti decenni a questa parte. Per cominciare perché nella maggioranza c’erano tutti i partiti – in un certo senso persino Fratelli d’Italia – e questo ha impedito le rincorse demagogiche a chiedere l’impossibile. I partiti si sono comportati, almeno formalmente, come dovrebbero comportarsi tutti e sempre, in un Paese civile. E a me è parso di sognare.
Ma la speciale caratteristica di questo governo non è stata il comportamento positivo dei partiti, ma il fatto che non hanno potuto impedire a Draghi di governare. Hanno scalciato e recalcitrato ma hanno finito col piegarsi alla sua volontà. E qui è il centro del problema.
“Supermario” non è affatto super. Decine di economisti, potendo, avrebbero scelto gli stessi provvedimenti, se fossero stati al governo. La differenza è stata nel fatto che Draghi ha potuto imporli. Ed ha potuto farlo per una situazione speciale e irripetibile.
Il M5s ha avuto il 32,6% dei voti, nel 2018, e un corrispondente numero di eletti. Ma nel corso degli anni ha governato così male che le prospettive di rielezione, per dei giovani disoccupati ora parlamentari, sono divenute insignificanti. Inoltre i pentastellati hanno imposto la riduzione dei parlamentari, e questo ha ancora accentuato le prospettive di scomparsa. Dunque per gli eletti di questo partito una cosa soltanto è stata essenziale: che il governo non cadesse (per continuare a percepire lo stipendio) e che la legislatura non si interrompesse prima che loro avessero maturato la pensione di parlamentari. Così, quando Draghi reputava giusto un provvedimento, diceva: “Questione di fiducia. O me la confermate o cade il governo e voi tutti andate a casa”. E il Presidente si è ritrovato ad avere i poteri di un dittatore. Ne ha approfittato per il bene dell’Italia, e gli diciamo grazie, ma quanti altri si sono ritrovati a governare con i poteri di un dittatore? Nessuno.
Ecco perché sono triste. Perché Draghi ha potuto condurre in porto piccole riforme, come quella Cartabia, che senza il ricatto della fine della legislatura non sarebbero mai passate. E lo stesso vale per un’enorme quantità di leggi e decreti – per esempio per continuare a meritare i finanziamenti del Pnrr che in altri momenti mai e poi avrebbero superato la prova del Parlamento.
In altri termini con Draghi non cade un Presidente del Consiglio particolarmente bravo (anche se Draghi particolarmente bravo lo è) ma un Presidente del Consiglio che ha potuto governare. Né ci si può stupire che sia caduto oggi. Per la protesta di Giuseppe Conte? Perché ha imposto il termovalorizzatore di Roma? Per qualche altra ragione simile? Assolutamente no. I Cinque Stelle hanno dato libero corso alla loro natura di sfasciatutto nel momento in cui hanno fatto questi conti: siamo a metà luglio. Se il governo cadesse oggi, si voterebbe fra 45/60 giorni. Minimo fine agosto. Ma una campagna elettorale in agosto è impensabile. In più, anche a tenere le elezioni al più presto, poi passerebbe del tempo per formare il nuovo governo. In altri termini, checché accada, se facciamo cadere il governo ora, da un lato ci presentiamo agli elettori riverniciati a nuovo (dopo avere partecipato a tutti i governi dal marzo 2018!) e dall’altro non perdiamo il vitalizio. Ora o mai più. Quanto valido sia questo ragionamento poco importa.
Ecco perché sono triste. Sapevo che, caduto Draghi, l’Italia sarebbe stata di nuovo ingovernabile e pronta a fare le migliori cattive figure in campo internazionale, ma avevo sperato che ciò avvenisse fra qualche mese. Solo qualche altro mese, ma sempre meglio di niente. Ora invece mi trovo ad “elaborare il lutto”, a capire quante cose andranno male, e non riesco nemmeno a fare il conto.
Sono così triste che vi racconto una barzelletta. Un tizio muore e, poiché in vita è stato cattivo, finisce all’inferno. All’inferno gli danno un calcio e lo fanno cadere in una palude di merda calda in cui è immerso fino al collo. Dopo un po’ lui dice al vicino: “Piacevole non è, ma temevo di peggio”. “Non hai visto tutto”, gli risponde asciutto l’altro. Infatti poco dopo passa volando un diavolo che con grandi manate sulle teste spinge sotto i dannati ripetendo: “Fine della ricreazione, fine della ricreazione, fine della ricreazione…”
giannipardo1@gmail.com

COBNTRACCOLPI DI UNA CRISI DI GOVERNOultima modifica: 2022-07-15T08:05:29+02:00da
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