Gianni Pardo

ARRENDERSI?

Quando è il caso di arrendersi, in una guerra? Domanda semplice, risposta complicata. Innanzi tutto bisogna vedere la situazione sul terreno, poi chi è il nemico e quali sono le sue intenzioni (almeno quelle previste) e infine sperare di non sbagliare.
Nessuno si arrenderebbe mai se reputasse di essere sul punto di vincere. E viceversa il problema non si pone se non si è in grado di difendersi ulteriormente. Durante la Seconda Guerra Mondiale l’Italia – contrariamente a quanto la gente sostiene il 25 aprile – ad un certo punto è arrivata ad un tale stato di caos, debolezza e impotenz, da accettare la “resa senza condizioni”. Non ha “contrattato” questo passo (“Mi arrendo a condizione che”) ma è come se avesse detto: “Fate di questo Paese assolutamente quel che volete. Tanto non posso impedirvelo”.
Il problema della resa si pone quando ancora si ha il diritto di essere in dubbio: “Ci arrendiamo o continuiamo a combattere?” E ovviamente la risposta dipende dalle prospettive.
Alla fine della Prima Guerra Mondiale ad un certo momento gli Imperi Centrali si resero conto di avere “tecnicamente” perso la guerra. I loro eserciti erano ancora sul fronte, nessun soldato inglese o francese calpestava il suolo germanico, e tuttavia essi compresero che il prosieguo della guerra – col suo costo di morti e feriti – si sarebbe inevitabilmente concluso negativamente per loro. Dunque fecero cessare le ostilità. Cosa che molti neppure compresero, e che dette poi luogo anche al “revanscismo” tedesco. Fino a firmare la resa della Francia, nel 1940, nello stesso vagone ferroviario in cui la Germania aveva firmato la sua, nel 1918.
Questa “resa” tecnica è la migliore immaginabile. Quando, in un incontro di pugilato, i secondi gettano al centro del ring un asciugamano (quello che si usa chiamare “gettare la spugna”) interrompono il combattimento perché è chiaro che il loro assistito sta subendo una punizione troppo severa, fino a poterne riportare danni, senza nessuna speranza di vittoria. Meglio evitare sofferenze e lesioni inutili. Ma questo perché il pugilato è uno sport, e il match spesso si conclude con un abbraccio fra i due pugili. La guerra è un’altra cosa. Può essere uno scontro leale e può essere sleale, può riguardare la titolarità di un territorio ma può anche avere come scopo l’annichilamento dell’avversario. Nell’antichità il conflitto poteva anche concludersi con l’uccisione di tutti gli uomini e la vendita delle donne e dei bambini come schiavi. Quando non con lo sterminio indiscriminato di tutta la popolazione. Dunque la “resa tecnica” va subito proposta, se il nemico è “civile”; se viceversa il nemico è un barbaro, conviene combattere fino alla morte, anche quando non si ha più nessuna speranza, perché è meglio morire con le armi in mano che essere sgozzati come agnelli. Problemi, questi, ampiamente dibattuti da Tucidide, qualche anno fa.
Nella realtà, dunque, l’alternativa fra resa e prosecuzione del conflitto va posta tenendo conto di queste variabili: qual è la situazione sul terreno? Quali le prospettive? Che cosa dobbiamo aspettarci dal nostro nemico?
Ecco perché, a proposito della guerra in Ucraina, la tesi che viene proposta da più parti secondo cui Kiev farebbe meglio ad arrendersi – perché comunque cesserebbero le distruzioni, l’esodo dei profughi e soprattutto le morti dei soldati – è semplicemente sciocca. Essa non tiene conto delle conseguenze ulteriori per quella nazione. L’amputazione può essere la soluzione giusta, ma non è la prima cui il buon medico pensa.
In conclusione, qual è la situazione sul terreno, in Ucraina? Nessuno può dire che la Russia stia vincendo, come nessuno può dire che l’Ucraina stia vincendo. Dunque non disponiamo di nessun dato risolutivo. Quali le prospettive? Alcuni direbbero che i russi non possono che vincere, ma è sicuro? E se l’Occidente fornisse armi migliori agli ucraini? E se i militari russi avessero tendenza a ribellarsi agli ordini di Mosca? O più precisamente di Putin? Se la popolazione russa insorgesse, a fronte del crescente numero di morti (come avvenne nel 1917), e in piazza scendessero non centinaia ma milioni di persone?
In una sola frase: non sarebbe meglio lasciare agli interessati la scelta di ciò che è meglio per loro, invece di indicarglielo noi dall’alto della nostra poltrona in un talk show?
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
28 marzo 2022

ARRENDERSI?ultima modifica: 2022-03-28T12:37:25+02:00da
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