Gianni Pardo

LA SOLUZIONE STRATEGICA

Marcello Zacché, sul “Giornale” di oggi, affronta correttamente il dramma del rincaro delle bollette. Scrive infatti che la soluzione non può essere quella degli interventi trimestrali. Se il problema, come sembra, è strutturale, si richiede una soluzione strutturale. Diversamente, aggiungo io, lo Stato potrebbe svenarsi per qualche mese e poi, costretto dalla necessità e dai nudi conti, sarebbe costretto a gettare la spugna. E il guaio che avrebbe risolto con grande spesa nel 2022 si presenterebbe ancor più forte e ancor più insolubile nell’anno 2023 e seguenti.
Secondo Zacché, si richiede dunque “una strategia di lungo periodo che permetta al Paese di soddisfare la propria domanda attraverso la stabilizzazione dell’offerta”. Perfetto. Ma quale potrebbe essere?
Una l’abbiamo sotto gli occhi. Non soltanto la Francia ha più di cinquanta centrali nucleari in funzione – e infatti l’impatto dell’aumento delle bollette lì è stato molto minore – ma progetta di crearne altre (cinque, credo abbia detto Macron) mirando ad un obiettivo non inverosimile: l’affrancamento totale della Francia dai combustibili fossili. Ma da questa soluzione noi siamo lontani anni luce.
Che cosa è invece concepibile, per l’Italia, secondo Zacché? Per cominciare il nucleare pulito, ora che con la sua “tassonomia” l’Unione Europea lo ha sdoganato. Poi lo sblocco del gasdotto dalla Russia alla Germania lungo il Mar Baltico, denominato Nord Stream II. Infine la riattivazione dei “giacimenti di metano dormienti”.
Io rimango perplesso. Se un tizio sta morendo di sete, non si può programmare di portargli l’acqua fra un mese. Perché fra un mese sarà morto da almeno tre settimane. Per questo le soluzioni prospettate mi sembrano inverosimili.
Non c’è dubbio che qualche centrale nucleare potrebbe, almeno in parte, risolvere i nostri problemi. Ma a parte il fatto che il cosiddetto “nucleare pulito” non è ancora perfettamente a punto, e a fortiori industrialmente operativo, quanto tempo ci vuole per costruire una centrale nucleare, per farla funzionare e per immettere l’energia prodotta nella rete elettrica? Non vorrei che noi nel frattempo avessimo fatto la fine dell’assetato.
Molto più serio è il Nord Stream II, se l’Europa ne consentirà l’uso e se la Russia aprirà generosamente il rubinetto. Ma questa soluzione incontra delle difficoltà. La prima è strategico-militare: l’apertura di quel gasdotto è tanto più facile quanto più concreta è la soluzione incruenta del problema ucraìno. Perché se invece la Russia invadesse l’Ucraìna, l’Europa bloccherebbe il gasdotto quali che possano essere i costi per noi, e sarebbero dolori per tutti. Naturalmente, sempreché i fatti fossero coerenti con le parole fino ad oggi dette. Questa è una soluzione su cui attualmente non si può contare.
E c’è di peggio. Anche nell’ipotesi migliore, quella cioè che il problema ucraìno si risolva senza spargimento di sangue e che il gasdotto Nord Stream II ci inondi di gas a buon prezzo, sarebbe una soluzione? Certamente no. Perché la Russia, quadruplicando il prezzo del gas (o facendolo quadruplicare dal mercato, offrendone di meno in vendita) ha anche dimostrato che, salvo la Francia, tiene tutta l’Europa in ostaggio. E l’Europa, se non fosse pazza, dovrebbe ad ogni costo impedire che il fatto possa ripetersi. Per l’energia una soluzione va trovata anche se ci mettiamo d’accordo con la Russia. O noi diversifichiamo le fonti dei nostri approvvigionamenti, o una volta o l’altra ci ritroveremo di nuovo in braghe di tela.
L’ultima ipotesi di Zacché è quella di estrarre gas dal territorio italiano. O anche dai mari che ci circondano. Cose possibili, chi dice di no, ma una cosa è certa: non si possono realizzare da un giorno all’altro. Ad ammettere che ci sia il gas nell’Adriatico, è ovvio che, per l’appunto, ci vuole il tempo di trovarlo. Poi di prelevarlo e di farlo arrivare a terra. Costruendo i metonodotti e tutte le strutture che servono. Ma in quale quantità sarà, questo gas? E quanto tempo richiederà, tutto questo?
La verità è che non ci siamo preparati a questa evenienza e proprio per questo, nel breve termine, non disponiamo di nessuna valida risposta. Dunque non capisco la richiesta che il giornalista formula a Mario Draghi, l’uomo giusto, per questo, di “decidere cosa vuole fare e annunciarlo al pubblico globale”. Perché lui è perché è credibile, perché è l’uomo del Solo perché una volta ha detto: “Whatever it takes”?
Anch’io stimo Draghi, ma non al punto di credere che possa camminare sull’acqua. E infatti condanno il suo ottimismo quando dice di star preparando “un intervento di ampia portata” per risolvere il problema. Perché un simile intervento, a debito, non risolve un bel niente. O risolve la situazione per due mesi. Facciamo tre. Ma al quarto mese?
Quanto al “Whatever it takes”, che cita l’articolista del “Giornale”, quando Mario Draghi l’ha detto ha funzionato perché la Bce si è messa a stampare forsennatamente denaro, e i mercati non hanno perso la fiducia. Ma l’Italia può fare altrettanto? In quell’occasione Draghi aveva dietro di sé la Bce, oggi ha dietro di sé l’Italia: è la stessa cosa?
Personalmente preferirei che il nostro Presidente dicesse: “Signori, il governo non può far fronte a questo disastro. Se la situazione cambia, bene; diversamente il governo non può farci niente. Forse, se il Parlamento fosse d’accordo, potremmo lanciare un piano di austerità in cui, per così dire, ci tassiamo tutti, stringiamo la cinghia, riduciamo i consumi, spegniamo i lampioni, cambiamo completamente registro e magari ci facciamo rivoltare le giacche come durante la Seconda Guerra Mondiale. Il governo non può estrarre sangue dalle rape. Se qualcuno è capace di farlo, lo dimostri e io gli cedo il posto. Diversamente cercate di parare la botta come potete”.
E invece sentiamo dire quello che sentiamo dire. Possibile che non siamo andati oltre le preghiere e le favole?
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
10 febbraio 2022

LA SOLUZIONE STRATEGICAultima modifica: 2022-02-11T09:01:45+01:00da
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