Gianni Pardo

LA DECADENZA

Oggi non scriverò l’articolo che vorrei scrivere ma lo schema dell’articolo che vorrei qualcuno, molto più colto di me, scrivesse. Qual è la causa della decadenza degli imperi e delle civiltà? L’argomento è infatti di ambito così generale che la somma di competenze richieste fa paura. E tuttavia sull’argomento in molti vorremmo saperne di più.
Per misurare quanto l’argomento sia difficile, basti pensare che, sulla decadenza dell’Impero Romano, il testo più noto è quello di Edward Gibbon, “The History of the Decline and Fall of the Roman Empire”. Si tratta di un tomo che, nell’edizione in cui l’ho letto io, consta di 498 pagine. Mi meraviglio io stesso se penso che l’ ho letto per intero, anni fa. E tuttavia oggi non saprei rispondere all’ingenua domanda: perché è caduto quell’Impero?
E se questa domanda è troppo difficile riguardo ad un solo Impero, e per giunta dopo avere raccolto le informazioni che può fornire un monumento della storiografia, figurarsi quanto sia arduo rispondere ad una domanda più generale: perché declinano le grandi civiltà? E in particolare, perché l’Europa subisce un declino così accentuato e grave, di cui i suoi abitanti non si rendono nemmeno conto?
Ecco perché non tento di scrivere l’articolo che vorrei leggere. Se scribacchio qualche idea è per gettare un sasso nello stagno e vedere che cosa ne pensano gli amici. Forse non caveremo un ragno da un buco, ma almeno non avremo parlato di pandemia.
Una prima ragione del successo di un impero può essere la sua superiorità tecnologica. I romani, per esempio, hanno messo in campo una perfetta tecnica militare, a cominciare dalla mentalità dei legionari, ai quali veniva insegnato più ad obbedire che ad essere temerari. L’esercito doveva essere una macchina da guerra, con una sola testa, non una falange di eroi. E la stessa preoccupazione dell’efficacia si vede nel corredo militare del fante: un grande scudo, per proteggersi soprattutto dalle frecce (come già avevano fatto gli opliti greci contro le miriadi di arcieri persiani) e poi il gladio, che a guardarlo oggi, sembra un giocattolo, soprattutto se pensiamo agli spadoni barbarici. Ma i romani avevano notato che una punta metallica che penetra nel corpo di un fante anche per pochi centimetri lo mette fuori combattimento, ed è più facile maneggiare un’arma corta e leggera che alcuni chili di inutile metallo. E non parliamo della poliorcetica, si pensi ad Alesia.
Ma la superiorità stessa ha i suoi pericoli, se induce un popolo a credersi imbattibile e definitivamente superiore. Perché la tecnologia si può anche copiare, e nessuna superiorità è definitiva. Gli indiani d’America all’inizio non conoscevano né il cavallo né le armi da fuoco. Ma poi li hanno conosciuti eccome. Per questo ha ragione il detto francese secondo cui “Si può fare qualunque cosa, con le baionette, salvo sedercisi sopra”.
Ma fra le cause del fiorire di una civiltà (e per converso del suo decadere) ve n’è una ancora più importante: il credere in sé stessi. Ho letto che una causa della grandezza di Roma, prima della decadenza, è stata che, in tutte le guerre ha contemplato un solo scenario: la vittoria. Poteva anche perdere una battaglia. Poteva subire dolorose battute d’arresto ma, per i romani, si trattava soltanto di un rinvio della vittoria. Al massimo si concepiva il proprio annientamento, non la resa, come si vide ad esempio dopo Canne. E quando è sembrato che si preferisse la pace alla vittoria (come nel caso della Caledonia o della Partia) è stato perché quei territori non erano importanti e il gioco non valeva la candela.
Quando una potenza è in ascesa, il popolo è cosciente di doversela conquistare con le sue mani, la gloria. Non pensa che il frutto cadrà dall’albero da solo, e al contrario è convinto di dover essere il protagonista di quell’epopea. I legionari romani, quando credevano nel loro “imperator”, erano disposti a combattere come leoni, e a credere nella vittoria anche quando tutto annunciava la sconfitta. In queste condizioni un impero è forte e si ingrandisce. Roma fu a lungo senza mura perché a lungo fu inconcepibile che qualcuno riuscisse a minacciarla così da vicino. Ma questo sentimento di intangibile serenità annuncia la decadenza. Quando il popolo smette di avere paura, è il momento di avere seriamente paura. Lo vediamo nell’Europa d’oggi, così convinta che nessuno verrà mai ad attaccarla, da essere poco e male difesa, oltre che disunita nel comando delle forze armate.
E forse questo atteggiamento ha una radice più profonda e generale: il fatalismo. Sia il fatalismo positivo (“Nessuno ci attaccherà”) sia il fatalismo negativo (“Tanto non potremmo mai difenderci”). L’inerzia, sperando che, se patatrac deve essere, sia per domani e non per oggi. “Magari quando io non ci sarò più”.
Un’altra causa della decadenza degli imperi è la perdita dei valori. Quando qualcuno si mette a predicare – essendo per giunta molto ascoltato – che essere bianco è lo stesso che essere nero, che essere cristiano è lo stesso che essere musulmano, che essere uomo o donna od omosessuale non fa differenza, non sussiste più una ragione di combattere per “noi” ed anzi si è già abbassato il ponte levatoio per accogliere “loro”. Intendiamoci, qui non si sta predicando il razzismo: si sta sottolineando la differenza fra noi, qualunque tipo di “noi”, e loro, qualunque tipo di “loro”.
Porto un esempio: ho parlato poco fa di uomini, donne ed omosessuali. Ovviamente, per qualunque persona civile, deve essere inconcepibile la discriminazione di una qualunque di queste categorie. Ma questo non vuol dire che bisogna omologarsi. Che “siamo tutti uguali”. Le donne non devono rivendicare di essere “come gli uomini”, se poi, per essere “come gli uomini”, dicono parolacce, sono violente, si danno alla promiscuità sessuale, e via dicendo. Se ci sono valori in contrasto, devono essere donne in contrapposizione agli uomini, cercando di far prevalere i propri valori. La parità di diritti non corrisponde all’identità delle categorie. Del resto chi dice che le donne non siano superiori agli uomini? Se non è stato assurdo che per tanti millenni gli uomini si siano sentiti superiori alle donne, perché dovrebbe essere assurdo il contrario?
Magari questo discorso dei sessi è paradossale. Ma con quale coraggio tanta gente cerca di mettere sullo stesso piano la civiltà europea e la civiltà dell’Africa Nera? L’arte greca e gli sgorbi delle sculture su legno di certe tribù africane?
In questo senso – sempre per parlare di “gruppi in ascesa” e “gruppi in decadenza” – sono da applaudire gli omosessuali che, dopo essere stati stramaledetti per migliaia d’anni (e in Iran impiccati, ancora oggi) proclamano “l’orgoglio omosessuale”. Francamente non si vede di quale orgoglio intendano parlare, ma quello slogan indica che loro sono in ascesa, mentre la passività degli eterosessuali (che neppure ridono di quelle pretese, e certo non oserebbero mai proclamare “l’orgoglio eterosessuale”) dimostra che la maschilità e la femminilità sono in perdita di velocità. E infatti, proprio per affermarsi e dimostrare la propria vitalità, le femministe hanno esagerato, fino a rendersi ridicole. Ma se la battaglia femminista ha avuto successo, è stato perché le sue leader credevano in sé stesse e nel loro sesso.
Il cristiano che si scusa di essere cristiano, che si vergogna di essere credente, non è soltanto un pessimo cristiano, è anche un pessimo europeo, un pessimo francese, un pessimo italiano. Se il fatto che uno vada alla messa di mezzanotte, la vigilia di Natale, offende qualche musulmano, chi se ne frega? Io quando sono entrato nelle moschee mi sono tolto le scarpe senza la minima protesta, perché ero ospite io, nel loro mondo, e dovevo conformarmi ad esso. E altrettanto bisogna pretendere che loro facciano nel nostro.
E invece no, l’Europa si vergogna di sé. Come un uomo che si vergognasse di non avere il pube liscio come le donne, o come delle donne che si vergognassero di non avere il petto piatto come gli uomini. In queste condizioni l’Europa è condannata. Chi non si ama non è amabile, e chi aborre la difesa è condannato alla schiavitù.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
1° dicembre 2021

LA DECADENZAultima modifica: 2021-12-02T11:07:41+01:00da
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