Gianni Pardo

COLPEVOLI E INNOCENTI

Se un Tizio si introduce a Buckingham Palace, spara alla Regina Elisabetta e la manca, quid iuris? Ovviamente si tratta di tentato omicidio. Ma certo il Regno Unito non se ne occuperebbe certo come di un qualunque altro tentato omicidio. Assolutamente no. In altri tempi si sarebbe fatto morire l’attentatore fra i più atroci tormenti, e sono rimasti famosi quelli inflitti a Damiens – un attentatore alla vita di Luigi XV – che non poté subirli tutti perché dopo un paio d’ore morì. Anche i carnefici completarono lo stesso il programma sul cadavere. Oggi invece si manderebbe il colpevole da uno psichiatra, per sapere se è processabile. E soprattutto ci si chiederebbe: come è stato possibile che sia potuto arrivare, armato, a dieci metri dalla regina? Che servizi di sicurezza abbiamo? I fatti sono dunque importanti per due versi: in sé e per sé, e come sintomo.
Prendiamo il reddito di cittadinanza e consideriamo l’enorme quantità di truffe perpetrate contro lo Stato. Il fatto dimostra che in Italia ci sono molte persone disoneste ma questa non è una novità. Importante è il sintomo, perché quelle truffe dimostrano che il servizio è mal organizzato. I cittadini disonesti vanno stangati ma non può finire così. Coloro che hanno votato una legge tanto mal confezionata andrebbero accusati – se esistesse un simile reato – di “truffa colposa a danno dello Stato”, in quanto complici involontari. Con danni di miliardi, contando anche le truffe non scoperte.
Nella cronaca di oggi registriamo un fatto che costituisce un altro grave sintomo. “Ansa”: “Fabio Tuiach, …, è stato licenziato dall’Agenzia per il lavoro portuale del Porto di Trieste (Alpt) perché, nonostante fosse assente al lavoro perché in malattia, avrebbe tenuto un comizio pubblico. Tuiach, ex pugile, è stato uno dei protagonisti delle manifestazioni di protesta dei no Green pass”. Naturalmente il pover’uomo è disperato perché ha perduto il lavoro e non sa come sbarcare il lunario.
Dal punto di vista giuridico, il problema sarà risolto dal magistrato, ma il sintomo è che c’è differenza fra essere malati e “mettersi in malattia”. Tutti sanno che se si ha bisogno di un giorno libero, senza perdere la paga, basta che il medico amico firmi un pezzo di carta.
Naturalmente su scala nazionale, a parte lo scorno dei dipendenti onesti che lavorano anche per gli assenti, questo andazzo costa moltissimo. Per non parlare dei danni provocati all’impresa e agli utenti. Si pensi agli impiegati di un ufficio postale. Purtroppo in Italia tutto ciò è talmente normale che molti sarebbero sorpresi se fossero invitati a considerare la cosa dal punto di vista del codice penale. Non posso dimenticare una professoressa che spesso si assentava dal lavoro dicendo: “Oggi non mi sento di andare a scuola”. E non le è mai successo niente. Se uno non si sente di andare a lavorare, con quale cuore lo si potrebbe costringere?
Ecco perché il caso del portuale va esaminato da due punti di vista. Tecnicamente è un truffatore, è innegabile, ma in concreto – lo dimostra la sua disperazione – è una vittima del sistema. Se lo Stato permette a tutti di “mettersi in malattia” quando hanno bisogno di qualche giorno libero, con quale coraggio poi ne punisce uno tanto severamente da licenziarlo?
I parlamentari che hanno votato queste leggi sono stati realisti, competenti, previdenti? Se si lascia la carne incustodita ci si può stupire se il gatto banchetta? Così del singolo fatto è colpevole Tuiach, ma del malvezzo sono colpevoli il Parlamento, la politica, il sindacato, la demagogia. Ed anche l’insufficiente livello morale dei medici, che troppo facilmente si credono al di sopra delle leggi.
In questo campo costoro costituiscono uno scandalo a parte. Spesso li ho visti correre rischi assurdi. Per cominciare firmano tutti disinvoltamente certificati falsi. A me personalmente è capitato che un primario chirurgo, litigando con me che volevo mi pagasse una mia traduzione, mi trattò da ingrato, vantandosi per iscritto di avermi “operato gratis”, in ospedale. Con ciò stesso confessando che di solito lo faceva in seguito ad una consistente tangente. Non lo denunciai, pur avendo la prova documentale del misfatto. Infatti, essendo un medico, ai miei occhi beneficiava dell’“infermità mentale in campo giuridico”.
Ricordo anche la triste vicenda di un genio della cardiochirurgia catanese, Mauro Abbate, che per un caso del genere fu condannato a sei anni di carcere. È vero che lui esagerava, ma lo faceva con la placida convinzione di esercitare un diritto.
Accanto al punto di vista astrattamente giuridico, sui fatti umani ci dovrebbe essere quello “morale” e “sociale”. Se si permette un malvezzo generalizzato, poi diviene “ingiustizia” la pena applicata al singolo. Invece di sanzioni draconiane, rare ed improbabili, sarebbe meglio applicare sanzioni minime, ma costanti e inevitabili. I professori che, in seguito ad un ripensamento, cambiano il voto sul registro, non hanno idea di avere commesso un falso materiale in atto pubblico. Un reato da anni di carcere. Non sarebbe opportuno che il preside, apprendendo il fatto, infliggesse sempre un’ammenda amichevole di venti euro, senza ulteriori conseguenze? I professori imparerebbero la lezione.
Una volta, riferendo come si erano effettivamente svolti gli esami di riparazione per la mia sola materia, e dunque profilandosi la bocciatura di un parente del Provveditore agli Studi, parecchi professori cominciarono a pregarmi: “Ma, collega, tu non potresti modificare il tuo giudizio? Magari aggiungendo che ad un’altra domanda ha saputo rispondere?” Ancora un caso di “infermità mentale in campo giuridico”. A me chiedevano di commettere un falso in atto pubblico, per aiutare un somaro raccomandato? Il ragazzo dovette ripetere l’anno. Ma sono certo che un altro professore avrebbe ceduto.
Sarebbe bello se i legislatori, invece di ragionare in astratto, si occupassero della realtà com’è.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
12 novembre 2021

COLPEVOLI E INNOCENTIultima modifica: 2021-11-13T08:52:02+01:00da
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