Gianni Pardo

IL DIRITTO ALLA PAROLA

Sulla “Repubblica” del 31 ottobre c’è un articolo dal titolo: “Perché servono mercati sostenibili”, che non ho letto. Il testo è firmato “Principe Carlo”. E non si tratta di un tale Carlo che di cognome fa “Principe”, ma dell’(eterno) erede al trono d’Inghilterra.
Premetto che non ho nulla contro Carlo. Non fosse stato per la longevità di Elisabetta II, sovrana irreprensibile, chissà che Carlo non si sarebbe rivelato un buon re. Ma la storia ha deciso altrimenti e così ci troviamo a conoscere e giudicare più l’uomo che il monarca.
Dal punto di vista delle istituzioni, Carlo ha fatto il suo dovere. Umanamente poi, con le sue vicende matrimoniali, è stato utilissimo ai rotocalchi e alle comari in cerca di argomenti di conversazione. Molta gente – infatuata della legnosa e inconsistente Diana Spencer – lo ha giudicato severamente ma, a mio parere, del tutto a torto. Chi è destinato ad essere re non è libero di amare e sposare chi vuole. E proprio per questo poi non lo si può accusare di non amare sua moglie. O magari di amare un’altra. Fa parte della prassi monarchica. Se qualcuno non lo sa, è perché lo studio della storia – secondo quanto ha decretato il Sessantotto – fa parte del nozionismo inutile. Venendo all’attualità, sappiamo che da sempre Carlo ha la mania dell’ecologia. E perché non dovrebbe avere diritto alle sue opinioni?
Tutto ciò posto – e cioè avendo assodato che non nutro nessuna animosità verso quell’uomo – qualcuno mi potrebbe chiedere come mai non leggo il suo articolo. E la risposta è semplice: perché Carlo è un principe e non si può aver tutto. Da un lato non gli si può rimproverare un matrimonio sbagliato a meno che (come Edoardo VIII) non abbia sposato qualcuno contro il parere della Corte. E non gli si può neppure rimproverare di non amare sua moglie e di amare un’altra. Ma dall’altro il fatto di essere principe non ne fa né un giornalista né un opinionista. Inoltre, quanto a nozioni di ecologia, immagino che egli sia tanto competente quanto il mio vicino di casa. E comunque non è stato pubblicato su “Repubblica” perché competente. Se si fosse trattato di un Carlo di cognome Principe, e se sull’ecologia avesse scritto cose d’oro e di platino, “Repubblica” gli avrebbe per questo pubblicato l’articolo? E allora quello non è un articolo sull’ecologia, è un articolo su Charles, Prince of Wales.
Il fatto è tuttavia di più vasta portata di ciò che si potrebbe pensare. Si tratta di un fenomeno che chiamerei “irraggiamento”.
Ammettiamo che ad un tale William Thompson venga attribuito il Nobel per la chimica. Se domani costui proponesse a un giornale un suo articolo a favore o contro l’ecologia, probabilmente gli sarebbe pubblicato, perché l’autorità che meriterebbe in campo chimico si irraggia al campo ecologico. La gente – sbagliando – pensa che uno che ha sufficiente genio chimico per ottenere un prestigioso premio non possa essere un cretino, un fanatico, o più semplicemente un ignorante in un altro campo. Se Thompson scrivesse un articolo per sostenere che “Il Paradiso Perduto” di John Milton non vale una cicca, un cultore della letteratura inglese giustamente non lo leggerebbe nemmeno. L’opera di Milton potrebbe essere una tremenda “pizza”, ma questo avrebbe potuto dirlo Mario Praz, non un Premio Nobel per la chimica. Anche se inglese. Anzi, neppure un premio Nobel per la letteratura. Perché il fatto di scrivere bene e di essere un artista non dimostra né cultura né gusto sufficiente per apprezzare uno scrittore del passato. Pasolini, volendo, poteva dir male di Pirandello, non di Dante. Per Dante avrebbe dovuto essere un dantista.
Questo mi ricorda un fenomeno editoriale che anni fa fece scorrere fiumi di saliva. Ad un certo momento della sua vita Indro Montanelli ebbe l’idea di scrivere libri di storia e il successo fu folgorante. Come folgoranti furono anche i fulmini che gli accademici (invidiosi) gli scagliarono contro. Come si permetteva, lui non specialista, di scrivere quei libri? E per giunta di venderli a centinaia di migliaia di copie?
Avevano torto i professori. Montanelli si è accorto che gli storici scrivevano da cani ed anche per questo la gente non leggeva i loro libri. Allora ha scritto lui dei libri di storia con il suo stile luminoso, semplice, esemplare di giornalista, ed ha reso la storia tanto attraente da avere un grande successo editoriale.
Questo ne ha fatto uno storico? Certo che no. E male avrebbe fatto se si fosse proclamato tale. È stato un fantastico volgarizzatore e gli storici avrebbero fatto bene a imparare da lui come si scrive. Non hanno capito che praticavano sport diversi.
Ecco perché, se il cortese Charles mi avesse chiesto come mai non avevo voluto leggere il suo articolo, gli avrei risposto: “Lo leggerò quando Repubblica pubblicherà un mio articolo e quando tu l’avrai letto. Cioè mai”.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
31 ottobre 2021

IL DIRITTO ALLA PAROLAultima modifica: 2021-11-01T14:38:22+01:00da
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