Gianni Pardo

PATRICK ZAKI

Non so molto di Patrick Zaki. So soltanto che: 1 è egiziano; 2 studiava all’Università di Bologna; 3 è detenuto da molti mesi nel suo Paese per non so quali reati. Mi dispiace per lui, ma quanto sopra è sufficiente per farmi dichiarare seriamente scocciato dal gran parlare che se ne fa.
1 e 2. Il fatto che il giovane studiasse all’Università di Bologna non ne fa un cittadino italiano e neppure un cittadino egiziano meritevole di speciali attenzioni da parte delle autorità del suo Paese.
Né – 3 – quelle autorità hanno il dovere di tenere conto degli striscioni che si sono potuti leggere sulle piazze italiane o delle commosse cronache riguardanti la sua detenzione, di rinvio in rinvio. L’Italia non può dare lezioni di diritto penale, neppure riguardo al modo come vengono trattati gli accusati. Da noi l’abuso della custodia cautelare è una costante, e non siamo certo un buon esempio per il mondo. Qualcuno ricorda il nome di un certo Cagliari?

Ma ora andiamo alla sostanza. È un’idea balorda quella secondo cui le autorità dei vari Paesi dovrebbero occuparsi di ciò che pensano quattro scalmanati in piazza, in Italia. Questo mi ricorda il momento in cui, ragazzino, vedevo gli studenti che scioperavano per “Trieste italiana”. Non che io fossi per rinunziare a quella bella città, ma trovavo ridicola l’idea che le autorità europee e i vincitori della Seconda Guerra Mondiale dovessero tenere conto del perché alcuni giovani marinavano la scuola. E almeno quella “utilità” c’era, ma le manifestazioni per Zaki?
Inoltre ammettiamo che quello egiziano sia un regime oppressivo e infame (quando al potere ci sono stati “I Fratelli Musulmani” è stato anche peggio) ma ogni cittadino subisce le leggi del suo Paese. Se noi ci mettessimo a scioperare o fare manifestazioni di piazza per questo motivo, non torneremmo a casa nemmeno per dormire. Prima che per Zaki il quale, per qualche motivo che ignoro forse si è messo contro le leggi del suo Paese, io capirei che si manifestasse per le donne di un intero popolo, quello afghano, tenute in inammissibili condizioni di interiorità rispetto ai loro maschi. Anche se, come si dice, ogni popolo ha il governo che merita.
La realtà è ancora più triste di quella descritta fino ad ora, e non per nulla il tedesco ha un termine, per indicarla: “Weltschmerz”. Non si può continuamente e utilmente piangere sulle ingiustizie e i dolori del mondo. Perché dovremmo saperlo in anticipo che ogni giorno sulla Terra ci sono infinite tragedie, perfino fra gli animali. Molti di loro vivono, per così dire, di “assassinio”: si chiamano “predatori”. La realtà non è per nulla un Eden gentile, e piangere per Zaki corrisponde ad ignorare le migliaia di egiziani che subiscono la sua stessa sorte. E ancora: Zaki è soltanto in prigione, in altri Paesi si passa più spicciamente all’eliminazione fisica, magari dopo tortura.
Ecco perché la lagna su questo giovane è fastidiosa, non perché lui personalmente non la meriti (chissà) ma perché sarebbe come piangere su una singola gazzella ammazzata dal leone. “Sì, dice l’imbecille, lo so che succede tutti i giorni, ma ho visto questo singolo episodio e mi batto per quella singola gazzella”. Domanda: “Non potresti batterti in silenzio e un po’ più lontano?”
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
15 settembre 2021

PATRICK ZAKIultima modifica: 2021-09-15T07:53:02+02:00da
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