Gianni Pardo

GIOVANNI BRUSCA E IL CONTESTO

In Italia abbiamo degli specialisti della mafia e dell’antimafia. Ciò fa sì che parlandone, e non appartenendo alla confraternita, si facciano degli errori marchiani e ci si senta dire che era meglio non aprissimo bocca, su un argomento come questo.
Ma qui bastano i fatti nudi e crudi. Tale Giovanni Brusca è stato, ritenuto colpevole non so se di cento o centocinquanta omicidi di mafia, più il giudice Giovanni Falcone, sua moglie e la sua scorta, in un solo attentato. Il numero strabiliante di morti diventa però, a suo modo, una scusante. Chi ha fatto questa strage doveva per forza essere a capo di un esercito. È difficile riuscire ad uccidere centocinquanta persone “single handed”, per mano propria e da soli. Ma questo poco importa.
Sintetizziamo dicendo che Giovanni Brusca è stato un orrendo criminale da meritare, come usano negli Stati Uniti, Dio sa quanti ergastoli. Da scontare uno dopo l’altro, secondo il succedersi delle incarnazioni, immagino. Ma allo stesso sullodato Brusca, in possesso di molti segreti, e capace di condurre la giustizia a punire molti altri criminali, lo Stato ha fatto una proposta: “Tu mi riveli tutti i tuoi segreti, ed io ti concedo uno sconto di pena”. E così è stato. Benché Brusca abbia meritato – siamo generosi – centocinquanta ergastoli, dopo venticinque anni di carcere (che non sono uno scherzo) è stato rimesso in libertà, per fine pena. Oggi è un uomo libero e l’Italia intera si straccia le vesti. “Brusca libero? Non c’è giustizia”.
Questo scandalo può lasciare freddo chi ragiona senla interferenze emotive. Semplicemente perché il problema può essere risolto rispondendo a questa domanda: “Qual è il prezzo giusto, per un oggetto o una prestazione?”
Credo sia stato Marx a sostenere che il giusto prezzo sia quello che si riferisce al tempo impiegato dal lavoratore per produrlo. Nozione che da principio anche a me era sembrata adeguata. Ma poi ho cominciato a pormi delle domande: e chi trova una pepita d’oro, dovrebbe dunque regalarla.
Comunque, per prima cosa mi sono ricordato di una barzelletta.
C’era una volta, ai primi tempi dei computer, una multinazionale che aveva, appunto, un computer come erano allora. Non un pc da tavolo, come ne vediamo migliaia, ma stanze e stanze piene di valvole, e fili, e collegamenti, nastri magnetici e ogni sorta di diavoleria tanto che, quando quel “supercomputer” si guastò, nessuno seppe ripararlo. Finché al capintesta non dissero che c’era un competente, a Inverness, nientemeno, che sapeva tutto sui computer. Ma non voleva mai muoversi da casa. Così gli telefonarono e l’uomo disse che il guasto non lo sorprendeva. Aveva un’idea di ciò che poteva essere. Ma non intendeva andare a ripararlo. Così, tutti i dirigenti dell’industria lo pregarono di fare un’eccezione, e alla fine gli prospettarono uno sproposito di ricompensa. Se era in grado di riparare il computer gli avrebbero pagato viaggio e spese, più un compenso di dieci milioni di dollari.
L’uomo finalmente acconsentì e, arrivato nelle stanze del computer, andò a colpo sicuro in un angolo, sostituì un fusibile e chiese asciutto: “Dove sono i miei dieci milioni?”
Tutti erano strabiliati ed indignati: per un fusibile, dieci milioni di dollari, e il resto? E il birbante lo sapeva da prima, perfettamente, dove mettere le mani. Sapevano di non potere opporre nulla, tutto era scritto e confermato dal notaio, ma volevano almeno “sciacquarsi la bocca”. Così gli dissero:
– Non si vergogna di incassare una somma astronomica per avere sostituito un fusibile?
– Effettivamente era un guasto da nulla, sorrise lo scozzese. Ma io ci ho messo dieci anni di studi, per capire qual era e dov’era. E comunque, vi ho forse implorato io di venirmi a cercare e pagarmi?
Il supertecnico aveva ragione. Il giusto prezzo di una prestazione è quello liberamente ricavato dalla domanda e dall’offerta. Ognuno fa l’amore gratis con sua moglie, ma se un pazzo è disposto a dare a Marilyn Monroe un milione di dollari per mezz’ora di sesso, sono affari suoi, no? E della Monroe, caso mai. I terzi che c’entrano? E che c’entra la morale?
Dunque ogni comportamento umano va giudicato nel contesto. La sostituzione di un fusibile un radiotecnico può anche regalarvela, ma può anche farvela pagare dieci milioni di dollari, secondo il vostro bisogno e i suoi desideri. E non si possono rimpiangere quei soldi, come fanno quegli sciocchi che prima comprano un oggetto costoso e poi, a casa, vorrebbero sia quell’oggetto che i soldi che non hanno più.
Tornando a Brusca, lo Stato gli ha proposto un “deal”, un accordo, un affare in cui ognuno aveva il suo tornaconto, e l’infame ha accettato. Se, anni o decenni dopo, quell’affare sembra meno conveniente di come sia apparso sul momento, poco importa. Basterà ricordarsi che è apparso conveniente “sul momento”, e che è “sul momento” che si vive. Pentirsi, dopo, non serve a niente. Ci si può soltanto rimproverare se, sul momento, si sapeva già di fare la cosa sbagliata. Ma diversamente, siamo al semplice e proverbiale “senno di poi”.
Mettere insieme, come si fa oggi, Brusca e cento omicidi da una parte, e Brusca libero oggi dall’altra, è sciocco, perché non tiene conto del contesto di tutta la faccenda. Come diceva Antonio Rosmini, non possiamo lamentarci del “già voluto”. Ciò che abbiamo voluto in passato, e di cui soffriamo oggi le conseguenze, non ci cade dal cielo e non ci è imposto da un rio destino: è l’effetto della nostra volontà. Brusca non ci ha imbrogliati né sul peso né sul prezzo. E se lo Stato ha comprato troppo poco, in confronto a quel che ha concesso, si ricordi l’imperativo latino: “Caveat emptor”, stia attento l’acquirente. La merce è sul piano della bancarella, il torto è suo se scambia il raso con la seta.
E in questo caso non siamo nemmeno sicuri che, considerando l’importanza della libertà di un singolo criminale, e l’arresto di molti delinquenti, non sia stato lo Stato a comprare seta al prezzo del cotone.
Gianni Pardo, giannipardo1@myblog.it
2 giugno 2021

GIOVANNI BRUSCA E IL CONTESTOultima modifica: 2021-06-02T12:04:52+02:00da
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