Gianni Pardo

L’OBESO ONORARIO

L’OBESO ONORARIO

Sono stato bambino durante la Seconda Guerra Mondiale. Spiego che cosa voleva dire essere bambino a quei tempi: significava avere fino a sei-otto anni, facciamo anche dieci, ma non quindici o diciotto, come oggi. Sono stato un bambino di guerra e anche un bambino affamato. Infatti, quando l’appetito è insistente e indimenticabile, si chiama fame. E a quei tempi si era in molti, ad averla. Uno scherzo corrente degli adulti era quello di mostrare quanto spazio rimaneva libero nei pantaloni, all’altezza della cintura. Era sparita la pancia e qualcuno aveva anche rivisto, sotto l’ombelico, un panorama perduto da tempo.

Era la fame della guerra, certo. Ma non è che, finita la guerra, si sia ritrovato il bengodi. Erano altri tempi. Non c’erano soldi, nelle tasche dei ragazzini, e nemmeno merendine a tutte le ore: il paese era molto più povero. Non si strafogava, se non nelle occasioni solenni e il problema del soprappeso era raro fra gli esseri umani quasi quanto fra i gatti.

Poi siamo arrivati alla normalità e, quando ho avuto trent’anni, è apparsa, al livello della cintura, una rotondità che prima non c’era. A farla breve, era cominciato il calvario.

Io sono una persona che ha tendenza ad ingrassare. Non starò a dire come, perché e quanto: mi si creda sulla parola. Non basta che non mangi pane e pasta, non basta che salti quasi il pranzo, ogni, giorno. Non basta nulla. Se solo non vivo con la fame, con la stessa fame di quand’ero bambino, ingrasso.

Qualcuno, saggio come Confucio, o comunque come quel tale che disse “if you can’t beat them, join them” (alleati col nemico che non puoi battere) potrebbe dirmi: eh, diavolo, mangia e ingrassa, che te ne importa? Non è così semplice. Non so che problemi di peso avesse Confucio, se ne aveva. Il mio ha questa caratteristica: ammesso che io segua una dieta stretta ma non strettissima, non è che mi manterrò al livello di pienotto, grassottello,  in carne, o comunque si dica obeso in maniera pietosa. No: io continuerò ad ingrassare fino a pesare una tonnellata. Forse una tonnellata no, ma perché scoppierei prima, imbrattando le pareti di grasso.

Non ho scelta. Nacqui per la fame come altri nascono per l’arte o per Dio. Posso scegliere se iniziare una dieta severa a settanta o a centoventi chili, ma poi dovrò seguirla attentamente e spietatamente, per non superare i settanta o i centoventi chili.

Per questo, due anni, quattro mesi e dieci giorni fa, visto che, con qualunque peso, avevo la scelta solo di soffrire, ho deciso d’essere magro e di rinunziare per sempre a mangiare. Sono tornato ad essere quel bambino di tanti decenni addietro che, per un motivo o per un altro, è condannato alla fame. Non importa che oggi, con i miei risparmi, potrei comprare un’intera pasticceria e fallire, perché consumerei tutto io. Non importa che il cioccolato, oggi, potrei farmelo anche endovena. La mia condanna è senz’appello. C’è chi è ipovedente o ipoudente, chi è emiplegico e chi è zoppo, io sono nato ipomangiante. E tuttavia non è che sia del tutto rassegnato. Ma per questo è necessario fare una digressione.

Un saggio (meno di Confucio, ma non per questo un cretino) distingueva i fumatori in quattro categorie. Ci sono i fumatori che fumano e che se non fumassero soffrirebbero. Ci sono i non fumatori che non fumano: gente che non ha mai fumato e non ne ha mai sentito il desiderio. Poi ci sono i non fumatori che fumano, quei fortunati che accendono una sigaretta, così, tanto per solennizzare, dopo il cenone di capodanno; che non aspirano e che non considerano la sigaretta molto di più d’un sopportabile zampirone. Infine – attenzione – ci sono i fumatori che non fumano. Ah! i fumatori che non fumano sono coloro che hanno smesso di fumare e non hanno mai smesso di soffrirne. Hanno un bel rifiutare le sigarette, hanno un bel dirsi che hanno compiuto un’impresa epica, liberandosi da quell’abitudine, rimane la nostalgia di quella nuvoletta bluastra, nel cono della lampadina, e quella bella coltellata nei polmoni, alla prima tirata. Eres fumator in aeternum.

Ebbene, ora che non peso più del giusto, ora che magari salgo gli scalini a due a due, malgrado i miei settant’anni, reclamo il titolo di obeso. Non sono grasso, sono come il fumatore che non fuma, ma visto che seguo una dieta strettissima e soffro quotidianamente di non poter mangiare quello che voglio, rimango idealmente obeso e goloso.

Sono un obeso onorario.

Giannipardo@libero.it

L’OBESO ONORARIOultima modifica: 2009-01-26T09:24:00+01:00da
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