LA COSTITUZIONE NON È IL CORANO

La Costituzione Italiana è fatta oggetto di un ossequio così costante e devoto che a volte sbocca nel feticismo. Qualcuno la ritiene talmente perfetta da sentirsi in dovere di stramaledire chi osa criticarla o propone di cambiarla. L’art.138 prevede espressamente le modalità della propria riforma, ma per alcuni quell’articolo è come se non esistesse. Come il Corano, il testo è espressione di una tale superiore saggezza da essere quasi divino. Poiché però già in materia di religione esistono gli atei, deve pure essere lecito che esistano gli empi in materia di Costituzione.
Ecco l’Art. 1: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. Che significa “fondata sul lavoro”? Esiste forse qualche comunità in cui i beni e i servizi non sono prodotti dal lavoro di qualcuno? Dunque, dal momento che il lavoro in sé è un’astrazione, evidentemente quel testo si riferisce ai lavoratori. E allora, visto che tecnicamente non lavorano, vogliamo escludere da coloro su cui si fonda la Repubblica i bambini, i pensionati, gli inabili, le casalinghe? O forse i dirigenti e gli imprenditori, che spesso lavorano più degli altri? Ma se giochiamo a capirci piuttosto che a non capirci, è chiaro che quell’articolo stabilisce una preferenza per i “lavoratori”. Ma ciò è in contrasto con l’art.3 il quale stabilisce l’uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge. Dunque se la Repubblica esprimesse una particolare preferenza per una categoria di cittadini rispetto alle altre, entrerebbe in contrasto con sé stessa. E non c’è che dire: una Costituzione anticostituzionale sarebbe un notevole ossimoro.
Né l’art.1 potrebbe essere salvato dall’interpretazione che ne dette già sul momento Amintore Fanfani: a parere di quello statista quell’articolo escludeva che la Repubblica potesse “fondarsi sul privilegio, sulla nobiltà ereditaria, sulla fatica altrui”. Ma non era necessario escludere ciò per la buona ragione che una simile aberrazione non era venuta in mente a nessuno. E se a qualcuno fosse venuta, avrebbe cercato forse di realizzarla, ma certo non l’avrebbe scritto nella Costituzione. In realtà la battaglia contro quelle ingiustizie
era stata già vinta dalla Rivoluzione Francese.
La cosa curiosa è che a volte tutti sembrano capire qualcosa e gli scienziati non la capiscono. Per esempio, se a qualcuno scappa di mano una bottiglia, questa cade per terra e si rompe. Tutti trovano questo fatto naturale e comprensibile, mentre la forza di gravità per la maggior parte degli scienziati è un mistero. Lo stesso per l’art.1 della Costituzione: sembra che tutti capiscano e approvino quell’articolo, e viceversa nel 1947 il grande Piero Calamandrei si domandava: “Quando dovrò spiegare ai miei studenti che cosa significa giuridicamente che la Repubblica italiana ha per fondamento il lavoro, che cosa potrò dire?” Ma forse era meno intelligente di tanti nostri contemporanei.
La verità, conoscendo la mentalità politica degli italiani, è che alcuni costituenti avrebbero amato dire era che l’Italia sarebbe stata dominata dai proletari. Una versione edulcorata di “tutto il potere ai Soviet”. Solo che non s’è avuto il coraggio di scriverlo e il risultato è un articolo pomposo che non dice nulla.
Né l’art.2 è meno pomposo o meno criticabile: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Il verbo “riconosce” implica che ci si riferisca a diritti già esistenti, noti e chiaramente formulati: e questa è una mitologia indegna di un testo giuridico. Infatti, il competente chiede subito: se preesistono, se sono noti e documentati, in quale testo sono? Non è uno scherzo. Perché se non ci si riferisce a un testo chiaro e determinato si lascia allo Stato la libertà di “riconoscere” un dato diritto e di non “riconoscerne” un altro. Senza dire che può far transitare un diritto dalla categoria di “inviolabile” a quella di “limitabile” e viceversa. L’inviolabilità è un concetto il cui ambito, in fin dei conti, è lasciato allo Stato stesso.
Forse anche più pericolosa è l’affermazione per la quale lo Stato “richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. In uno Stato moderno e liberale tutti sono liberi di fare tutto ciò che non è espressamente vietato. In altri termini lo Stato esige un “non fare”, non di avere certi comportamenti: in altri termini la solidarietà non è giuridicamente esigibile, a meno che non si voglia tornare ad un passato che nessuno rimpiange, il tempo in cui ai contadini si richiedevano le corvées, cioè prestazioni lavorative non retribuite ma obbligatorie in quanto dovute al feudatario. Le corvées , concettualmente, non differivano molto da questo art.2. Il signore di un tempo poteva affermare che le corvées derivavano dalla necessità di contribuire al benessere della comunità, e nello stesso modo potrebbe agire un moderno Stato totalitario.
Un vero Stato liberale non esige l’adempimento di doveri morali, tanto incerti quanto inderogabili. Il cittadino non ha doveri “positivi”, salvo il servizio militare: deve solo pagare le tasse e osservare le leggi. Per il resto può fare quello che vuole. In Inghilterra un tempo ciò si riassumeva con questo sapido e paradossale principio : “Non dire male della regina e non spaventare i cavalli per strada”.
La mentalità di chi scrisse il testo di quell’art.2 fu forse platonica, rousseauista, teocratica, sovietica ma certo non fu liberale.

LA COSTITUZIONE NON È IL CORANOultima modifica: 2023-05-11T14:34:11+02:00da gianni.pardo
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Un pensiero su “LA COSTITUZIONE NON È IL CORANO

  1. Eh, vabbè, ma alle Costituzioni si concedono sempre ampi squarci di “poèsia”. Che dire allora del “diritto alla felicità”? Certo, poi, i diritti VERI sono stabiliti dai regolamenti, dalle norme applicative, dalle ordinanze; mentre i doveri VERI derivano dalle circolari interpretative, dalla giurisprudenza “consolidata”, ma anche dalle “note a piè di pagina”. Ma anche viceversa. Siamo (esortativo/affermativo) uomini di mondo!

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