DUE CANDIDATI DI TROPPO

Joe Biden ha annunciato che si candiderà alla Presidenza degli Stati Uniti, nel 2024. Anche Donald Trump, benché inseguito dai giudici e visceralmente antipatico a moltissimi americani, vuole essere il candidato repubblicano. E forse nel 2024 – caparbio e tenace com’è – ce la farà. Questo potrebbe significare che in questa campagna tanto i rossi quanto i blu sono partiti col piede sbagliato. Non si dice questo per un giudizio severo sui due personaggi, ma in base alla tecnica delle campagne presidenziali americane.
La prima cosa da sapere al riguardo è che in America questa campagna è, per citare Lenin, tutt’altro che un pranzo di gala. Il sapore dell’opposizione dei democratici ai repubblicani, e il sapore dell’opposizione dei repubblicani ai democratici, è piuttosto repellente. L’avversario è fatto oggetto di una demonizzazione che va oltre il verosimile; si va dalle calunnie all’accusa di immoralità, dai sospetti di corruzione a quelli di razzismo, di evasione fiscale e chissà che altro. Non ci sono limiti, catch as catch can, lotta libera.
Se invece si volesse realmente coltivare la democrazia, piuttosto che darsi alla character assassination dell’avversario, bisognerebbe riuscire a comunicare in modo convincente le qualità del proprio candidato. Ma non siamo noi italiani che possiamo dare lezioni. Comunque, dato che la realtà è quella che è, da essa bisogna partire.
Come detto, in questo genere di zuffa finiscono col pesare più i difetti che le qualità; dunque è preferibile scegliere un candidato poco divisivo che un divo della politica. Un uomo decente e attraente, che non sia coloratissimo e tonitruante come Trump, e neppure spento e vagamente senile come Biden. Infatti non si può nemmeno contare sul fatto che, se ad un elettore non piace il candidato repubblicano può sempre votare per quello democratico e viceversa: perché c’è sempre la terza opzione, l’astensionismo. Divenuto enorme.
La candidatura di Donald Trump è probabilmente un errore non perché rappresenti Dio sa che pericolo: infatti è stato Presidente per quattro anni e non c’è stata la fine del mondo. E non soltanto perché un conto è parlare, un altro conto governare. Ma soprattutto il Presidente non è un dittatore. Il sistema americano è fornito di un tale meccanismo di pesi e contrappesi che difficilmente il titolare della Casa Bianca può fare seri danni. Dunque non bisognerebbe presentare Trump non per ciò che ne pensano (e ne dicono) i democratici, ma perché una parte dell’America si è fatta una bandiera della lotta contro di lui e quell’uomo ha dei peccati di stile che lo rendono difficilmente difendibile.
I repubblicani avrebbero interesse a scegliere come candidato un uomo meno “flamboyant”. La visibilità di Trump è irripetibile ma purtroppo non sempre è positiva: l’errore non è tanto nel messaggio (come sempre piuttosto vago) ma nella sua eccessiva sonorità . Va bene gridare, va bene puntare su chi non ne può più delle fisime democratiche, ma nelle campagne americane si vince al centro. E il centro è per definizione moderato. Forse, con una buona organizzazione, un homo novus avrebbe migliori probabilità di vincere.
Malauguratamente per i democratici, anche l’insistenza di Joe Biden per rimanere alla Casa Bianca non è una buona notizia. E non perché quell’uomo sia un pessimo politico o abbia commesso errori clamorosi. Ché anzi, nella guerra che gli è scoppiata tra le mani, se l’è cavata con più energia e determinazione di quanto si sarebbe potuto credere. Il guaio è la sua immagine. Passi il suo aspetto di uomo anziano, ma è umanamente quasi sbiadito. È vero che un altro presidente “quasi sbiadito” come Harry Truman ha poi deciso di gettare ben due bombe atomiche sul Giappone, a riprova che in America comanda più la situazione che la persona: ma qui si tratta di una rielezione, ed è soprattutto una questione di vetrina, non di sostanza.
Nell’immaginario collettivo Biden probabilmente è indigeribile. Va bene un uomo maturo, ma che si candidi a governare per quattro anni un uomo che di anni ne ha già ottantadue, va contro le abitudini americane. Oggi Biden non dà segni di “senilità” (cioè, nel senso americano, di demenza senile) ma ad ottantatré, ad ottantaquattro, ad ottantasei anni? Chi può scommetterci?
Nella campagna elettorale lo stato di salute del candidato è tutt’altro che un argomento secondario. Gli americani vogliono che il loro Presidente dia un’impressione di vigoria e benessere. Insomma l’immagine conta molto. John F. Kennedy fu forse un leader appena appena medio ma che figura! Giovane, biondo, con una bella moglie, con due bei figli: il mondo si è innamorato di questa cartolina. Tutti sappiamo che Nixon sarebbe stato un migliore presidente ma nell’interesse del partito è meglio avere un candidato bellissimo e mediocre che un candidato intelligentissimo e brutto. Viviamo nell’epoca dell’immagine.
Biden si candida semplicemente perché chi va al potere del potere si innamora. Ma sta ai quadri del partito frenare le ambizioni di chi è stato al sommo. Non tanto per un giudizio sul suo conto, quanto perché non è il candidato giusto.
Se i democratici troveranno la persona giusta, i repubblicani avranno parecchio da temere da un giovane normale, moderato, sorridente, rassicurante. Una persona perbene e nient’altro. Basti dire che la volta scorsa hanno votato per Biden che tutto può essere, salvo che affascinante.
Attualmente il rischio è che se i candidati alla Presidenza saranno i due in questione, chiunque vinca lascerà scontenti tre quarti degli americani. La metà contraria e la metà della metà favorevole.

DUE CANDIDATI DI TROPPOultima modifica: 2023-05-03T16:41:19+02:00da gianni.pardo
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