È PRODUTTIVA LA RADICALIZZAZIONE?

Il nuovo Pd sembra seguire la linea Schlein, cioè quella della radicalizzazione demagogica. Ma quanto è utile questa politica? La domanda non è diversa dalla seguente: qual è la giusta quantità di zucchero da mettere in un caffè? Ognuno può dire la sua e si andrà dal caffè senza zucchero ad una quasi melassa. Tuttavia è difficile pensare che la soluzione sia: “la quantità giusta è metterne quanto più si può”.
Se si mettono venti chili di zucchero in una tazzina di caffè la tazzina sparirà sotto lo zucchero. Nello stesso modo, in politica la radicalizzazione assoluta corrisponderebbe a dire che più forte si attacca, si ingiuria e si calunnia il nemico, più si sparano progetti allettanti ma economicamente disastrosi, meglio è. Ed è francamente difficile crederlo.
Così il problema diventa teorico: qual è il giusto quantum di radicalità? La risposta non può essere assoluta, e la migliore rimane: “Dipende dal destinatario”. Cioè dal gruppo di persone cui ci si rivolge. Se ci si rivolge ad un uditorio di seri economisti, qualcuno distruggerà la nostra proposta con una semplice citazione: “Lei dimentica che, come ha detto Milton Friedman, nessun pasto è gratis”. Se invece si parla ad un uditorio di ignoranti, si può anche proporre il motore ad acqua, la distribuzione della ricchezza senza la produzione di ricchezza e il paradiso in Terra. Associata all’avidità, la mancanza di cultura e di senso critico rende creduloni. E allora ecco la conclusione: l’efficacia della radicalizzazione è inversamente proporzionale al livello intellettuale degli elettori.
Ammettendo che in Italia il livello più basso della comprensione della politica sia stato raggiunto col Movimento 5 Stelle, si potrebbe affermare che attualmente la percentuale di elettori per i quali è efficace la massima radicalizzazione sia intorno al 15%: perché questa è più o meno la percentuale delle intenzioni di voto per il Partito di Conte. Ma tutto ciò significa anche che chi segue le “idee” politiche di Conte non può sperare in una percentuale di voti che consenta la conquista del potere. Fra l’altro, per chi volesse fare concorrenza al partito di estrema radicalizzazione c’è il rischio che, pescando nello stesso bacino alla fine ci si debbano spartire i pesci: ad andar bene il 10% ciascuno.
A questo punto si può anche fare un’ipotesi scientifica. Immaginiamo che una quantità assolutamente minima di demagogia – e dunque un massimo di realismo – o una quantità massima di demagogia respingano ugualmente gli elettori: infatti la loro ’“attrattiva” potrebbe essere uguale a zero. Ciò posto si può stabilire una curva di Gauss in cui, partendo da zero, l’“attrattiva” di un programma e di un comportamento politico salga fino ad un massimo a mano a mano che si aumenta la demagogia, per poi cominciare a scendere, fino a a zero. Fenomeno identico a quello dello zucchero nel caffè. Se se ne mette un grammo, il caffè rimane amaro; se se ne mettono cento grammi, il caffè è imbevibile. Ciò significa che esiste una quantità – tra uno e cento – in cui il caffè è migliore, per il gusto di chi lo beve. Quantità che rappresenta il sommo della curva di Gauss.
In questo modo si è già posto posto il problema del Pd, a partire dal momento in cui Elly Schlein ne è divenuta Segretaria. L’efficacia della sua guida dipende molto – forse moltissimo – dalla maturità, dall’esasperazione, dall’informazione, dalla credulità dell’elettorato italiano. Oggi questa credulità appare piuttosto alta, anche se non tanto da arrivare alla maggioranza in Parlamento. Diversamente i comunisti avrebbero avuto il potere già cinquanta o sessant’anni fa. Comunque dalle parti del “Nazareno” farebbero bene a porsi chiaramente il problema del programma del Pd e del suo modo di presentarsi all’elettorato.
È lecito pensare che molti dirigenti del Partito reputino improponibili le obsolete ricette comuniste di un tempo (economia marxista); è comprensibile che non vogliano annacquare il programma fino a divenire chiaramente un partito socialdemocratico: ma non ci si può fermare ai “no”. Dire no a tutto corrisponde a dire no anche alla propria esistenza. Qualche cosa bisogna pur proporre, e non certo soltanto le libertà e i diritti dei diversi sessualmente. Né è significativo il successo del M5S (2018), tutto fondato sulla richiesta di sussidi e la magia della parola “gratis”. Lo stesso imprevisto successo del Partito di Conte (col suo 15%) quanto durerà, quando gli elettori vedranno che non ha potuto mantenere la sua (unica) promessa riguardo al reddito di cittadinanza? Per decidere di mantenerlo bisogna avere la maggioranza, e la maggioranza non si raggiunge con un programma utopico ed estremista.
Per il bonus del 110% abbiamo già visto e la delusione di coloro che hanno votato per Conte si vedrà a luglio, quando scadrà il Redditto di Cittadinanza. Per Conte sarà comunque una fortuna avere quel 15% per cinque anni, anche se dopo dovesse sparire dagli schermi radar, ma per il Pd sarà lo stesso? Con tutti i suoi nomi quel partito risale alla scissione di Livorno, nel 1921. E per esso non è, come per Conte, un sufficiente successo conservare i propri seggi fino al 2027.
In ogni caso, che il Pd si allei o no col Partito di Conte, bisogna rispondere a questa domanda: costituito un Simil-Movimento 5 Stelle che includa il Pd, o un Pd che includa ciò che resta del Movimento 5 Stelle, l’Italia voterà un tale partito in misura da portarlo in Parlamento come maggioranza? E quali altri partiti – che non siano microscopici e residuali – potrebbero entrare in una simile coalizione? Non è che per caso ci stiamo esagerando la stupidità dell’elettorato italiano?

È PRODUTTIVA LA RADICALIZZAZIONE?ultima modifica: 2023-03-22T14:39:58+01:00da gianni.pardo
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