ASSASSINE DODICENNI

In generale, la cronaca nera è noiosa. Tanto i fatti quanto i moventi e le modalità sono sempre più o meno gli stessi. Ma stavolta un fatto merita commento perché c’è qualcosa di nuovo. In Germania è accaduto che due ragazzine dodicenni abbiano abbiano accoltellato a morte una coetanea. Interrogate dalla polizia – da vere persone mature – hanno cercato di negare il crimine ma – da vere persone mature – sono cadute in contraddizione e – da vere persone mature – hanno finito col confessare il delitto.
Perché questo crimine è interessante? Perché da un lato le due piccole assassine non sono imputabili, dall’altro lo sdegno è tale che nella stessa Germania qualcuno propone di abbassare l’età dell’imputabilità. Ed effettivamente a me da sempre (la legge è uguale, in Italia) quattordici anni per essere imputabili sono sembrati troppi. Io a tredici anni mi occupavo di teologia, non di bambole o soldatini.
E tuttavia, se è vero che in passato si era mentalmente adulti e responsabili ben prima dei quattordici anni, può darsi che oggi, contrariamente a quanto si dice in giro, l’età della responsabilità arrivi dopo. E potrebbe essere utile fare qualche ipotesi sul perché del fenomeno.
Il bambino non è un adulto ma sogna di esserlo; tende ad esserlo e, se non altro, gioca ad esserlo. La bambina è indotta a giocare con le bambole perché la si vuole preparare ad essere madre, e lei stessa sogna di esserlo. Il bambino gioca alla guerra (giocattoli “militari”), alla caccia (a rincorrersi con i compagni) a competere con i coetanei (il calcio) e, insomma, anche lui tende alla vita adulta. Infatti con i ragazzi, appena arrivano all’adolescenza, comincia l’eterno contrasto per l’indipendenza: le chiavi di casa, l’ora del rientro, il denaro per la pizza con gli amici, la motoretta. Perché papà e mamma devono avere tutte queste libertà ed io no?
Ma se questi sono i dati eterni, quali sono i “modelli” dell’immaginario infantile? È qui che risiede la grande novità. Un tempo il modello erano i genitori, i maestri e infine le persone che la famiglia frequentava. Persone reali, inserite nella realtà. Oggi invece i bambini hanno più immagini televisive che immagini reali. Passano ore ed ore immersi in un mondo in cui si spara ad ogni piè sospinto (western), i problemi conducono al delitto (polizieschi), la spietatezza conduce al potere (film e telefilm di mafia e gangster), il cattivo è temuto e spesso è vincente per tre quarti della vicenda. Perfino i film “horror”, se non sono modelli da seguire, spiegano sempre come anche l’orrore abbia un suo fascino. Certo, il finale è pressoché sempre morale, ma il resto?
Insomma, la coltellata o la revolverata, fenomeni con cui il cittadino normale di solito non ha da fare nemmeno una volta nella vita, in televisione sono pane quotidiano ed hanno una loro certa “normalità”. Un adulto non ci fa nemmeno caso, ma le due ragazzine, magari tendenzialmente asociali, avendo forse un piccolo problema, con la coetanea, avranno pensato di risolverlo come hanno visto fare sul piccolo schermo. La stessa capacità di nascondere il cadavere e negare il delitto, alla loro tenera età, è sulla linea del comportamento degli adulti colpevoli nelle fiction.
Intendiamoci, non è che si dia la colpa del fattaccio alla televisione, anzi non si propone neppure di limitarne l’uso o sorvegliarne i contenuti. Questa è responsabilità dei genitori. Si vuole soltanto dire che troppo spesso, in una famiglia spersa e in cui i genitori sono essi stessi immaturi e non hanno né autorità né carisma, i ragazzi crescono disorientati. Confondono gli ordini dei genitori, cosa che possono facilmente bypassare con un capriccio o una lacrimuccia, o le minacce dei docenti (che poi comunque alla fine promuovono tutti) con gli ordini della società. E, quel ch’è ancora più importante, con i dettati del codice penale. Il quale non fa e non può fare sconti. Ignorano che non è vero che ai ragazzi si perdona tutto, non è vero che ai ragazzi finisce sempre bene. Se attraversano i binari, anche se è vietato, può finire col rimprovero di un ferroviere, ma può anche finire con la morte, investiti da un locomotore che va a cento all’ora.
La realtà è molto più dura di come la presenta la televisione. Nel mondo delle immagini il problema è quale automobile scegliere; nella realtà – quando non si ha ancora un’automobile – il problema è come andare al lavoro, visto quanto è scadente il trasporto pubblico. In televisione si tratta di scegliere la merendina, nella realtà il problema è comprare il pane per i propri figli. Da piccoli tutti congiurano a viziare i pargoli: appena usciti dalla scuola secondaria, homo homini lupus e puoi anche morire.
Francamente non invidio né i giovani attuali né quelli futuri. Un tempo, seppure con durezza, l’infanzia ci preparava alla vita; oggi l’infanzia e la gioventù preparano alla delusione e al fallimento.
giannipardo.myblog.it

ASSASSINE DODICENNIultima modifica: 2023-03-17T10:43:38+01:00da gianni.pardo
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