UNA RICETTA PER LA LATITANZA

Dopo trent’anni di latitanza, Matteo Messina Denaro è stato finalmente arrestato. Sarà – come ha detto la Presidente Meloni – che questa è una giornata storica, ma per me di storico, più che questa giornata, ci sono i quasi undicimila giorni di latitanza. Nel calcio è storica una vittoria cinque a uno, figurarsi undicimila a uno.
Ovviamente, si può essere lieti che quell’uomo sia stato assicurato alla giustizia, ma lo stesso è difficile battere la grancassa. Per il caro Matteo oggi sarà certo una giornata nera, ma è anche vero che troppe volte avrà riso dell’esercito di carabinieri, guardie di finanza, guardie forestali e vigili urbani che aveva alle calcagna. Per non parlare di tutti i magistrati che sarebbero stati lieti di appuntarsi sul petto una medaglia e di tutti i comitati antimafia, anche a livello parlamentare, che per tanti lustri gli hanno fatto un baffo.
Messina Denaro oggi potrebbe dire all’Italia che, essendo lui malato di cancro al colon, che muoia in un letto da campo in una caverna, in una clinica al centro di Palermo o nell’infermeria di un carcere, cambierà poco. Anche se merita più di un ergastolo, dopo trent’anni non ha il tempo di scontare neanche una condanna adatta all’abigeato. Averlo arrestato oggi non è una grande vittoria. Non abbiamo catturato una grande preda nel pieno delle sue forze, ma un animale esausto, stremato e rassegnato anche alla morte. Con Messina Denaro la mafia ha sconfitto l’Italia e – duole dirlo, essendo io siciliano – ha contribuito a condannare la Sicilia. Come avrebbe potuto sopravvivere per tanti anni, nella stessa città che dovrebbe essere la più anti-mafia d’Italia, se non avesse avuto infinite protezioni, infiniti e fedeli collaboratori, amici più fidati di quelli di cui dispongono tante persone perbene?
Ho sentito con le mie orecchie il dr.Federico Cafiero De Raho, a lungo Procuratore Nazionale Antimafia, dire che, nel corso di questi trent’anni, i carabinieri sono riusciti spesso a trovare i collaboratori e protettori di cui Messina Denaro si serviva sia per non farsi trovare, sia per continuare a dirigere la mafia. Purtroppo, ogni volta che arrestavano costoro, Messina Denaro spariva, si perdevano di nuovo le sue tracce, ed era chiaro che egli si limitava a sostituire immediatamente gli arrestati con nuovo personale, altrettanto fidato. E questo mentre quelli che erano finiti in galera non fornivano sufficienti informazioni per arrestare il latitante. Francamente chiunque amerebbe avere amici tanto fedeli, anche se forse fedeli perché spaventati.
E ancora: se ogni volta Messina Denaro riusciva a “scomparire” prima di essere arrestato, è segno che la Sicilia Occidentale deve essere piena di “uccellini” che cinguettano fin troppo. Intendo che Messina Denaro doveva disporre di spie all’interno delle caserme dei carabinieri o, più verosimilmente, all’interno dei Palazzi di Giustizia. E volete che a un normale cittadino, per bilanciare questo sospetto, basti un arresto dopo trent’anni di latitanza?
Da qui in poi mi lascio andare alla fantasia, e ognuno potrà giudicare della verosimiglianza delle mie ipotesi. Per una latitanza così lunga devo pensare che Messina Denaro, pur essendo stato un delinquente meritevole di più di un ergastolo, nei tempi più recenti abbia scelto la via della mafia in guanti bianchi, e per così dire dell’“economia pulita”. Disponendo dei fondi derivanti dalla droga (una grande macchina ben oleata e dai ricavi sicuri) poteva investirli in molte attività legali e lucrose, essendo protetto, per interesse, da tutti coloro che da queste attività economiche traevano profitto. Gli serviva soltanto non sollevare nessun polverone, non fare ammazzare nessuno, cercare di farsi ignorare, rimanendo il perno intorno al quale girava una bella parte dell’economia del suo territorio. Come dicono i francesi, tutti sapevano “da che parte era imburrata la loro tartina”. In altri termini, anche se sotto voce qualcuno diceva che dietro la tale o tal’altra organizzazione, la tale o tal’altra impresa c’era lui, ognuno, se ne traeva profitto, comprendeva che gli conveniva tenere la bocca chiusa.
La mia ipotesi è dunque che il famoso latitante si sia trasformato in un grande capitano d’industria cui molti obbedivano per paura, altri per convenienza, la maggior parte per paura e per convenienza insieme. Riprova di tutto ciò potrebbe essere che quando la mafia è stata tradita “in grande”, come nel caso di Tommaso Buscetta, è stato perché allo stesso Buscetta erano stati inflitti tali dolori e lutti (fra l’altro, non potendo arrivare a lui, gli uccisero undici parenti) che era disposto a buttare a mare chiunque, per vendicarsi. Se Messina Denaro non è stato catturato per trent’anni, è forse perché, dopo avere commesso i crimini che sappiamo, ha continuato a farsi temere (“Ricordati sempre chi sono”) ma ha cominciato a farsi degli amici (“Ricordati chi sono divenuto, e quanto ti conviene essermi amico”).

UNA RICETTA PER LA LATITANZAultima modifica: 2023-01-16T18:01:04+01:00da gianni.pardo
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3 pensieri su “UNA RICETTA PER LA LATITANZA

  1. Faccio umilmente notare che, se il processo “Grimilde” non era concluso in Cassazione all’epoca dell’articolo, Aemilia era terminato con una conferma della Cassazione nel maggio dello scorso anno.

  2. Il testo citato potrebbe essere interessante se non fosse che all’inizio riferisce come “fatti” le tesi dell’accusa. Ed io sono troppo garantista per prendere sul serio un testo che commette questo svarione.

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