PERCHÉ CONVIENE ESSERE POVERI

Se si premia il demerito, bisogna imparare a demeritare. Non è una battuta. Quale che sia la condizione per il successo, chi vuole il successo deve realizzare quella condizione. Come direbbe Niccolò Machiavelli, se diventa più grande Principe quello più capace di ammazzare il prossimo, viva il Duca Valentino.
Il fascino delle varie utopie, da quella eponima di Tommaso Moro a Swift e Campanella (e perfino ad Aldous Huxley, col suo “Coraggioso Mondo Nuovo”), è lo sviluppo di una premessa di base in contraddizione con la realtà corrente. Inventiamo un esempio. Nel Vangelo è scritto che “gli ultimi saranno i primi”. Per sviluppare un’utopia su questo principio basta immaginare un mondo in cui tutti si battono per essere gli ultimi, in modo da essere i primi; ma poi, essendo i primi, non sono più gli ultimi, così vengono destituiti e il giro ricomincia. Lo scopo di questa ipotetica “utopia” sarebbe quello di dimostrare che quel principio non ha senso. Ma dove non arriva l’utopia dei filosofi, e nemmeno quella immaginata da Karl Marx, può arrivare la realtà: e un buon esempio l’abbiamo in Italia.
Il nostro Paese è uno fra i più impermeabili al messaggio della realtà. Infatti la nostra mentalità è fondamentalmente ispirata al Cristianesimo e al Marxismo. Il Cristianesimo ci ha insegnato che l’uomo pio non si preoccupa dell’economia, perché di quella si preoccupa la Divina Provvidenza che nutre i passeri e veste i gigli con abiti più belli di quelli di re Salomone. Il Cristianesimo ci ha insegnato che è più facile che una gomena passi attraverso la cruna di un ago, che un ricco entri in paradiso. Che il ricco Epulone finisce all’inferno, e che i lavoratori che hanno lavorato solo un’ora prima del tramonto meritano la stessa retribuzione di chi ha lavorato a partire dall’alba. Il Marxismo, da parte sua, ha ribadito questi concetti trasformandoli in dottrina politico-economica, per cui i ricchi devono essere aboliti, l’unico capitalista deve essere lo Stato, e i poveri (addirittura quelli che non hanno niente. i proletari, ricchi soltanto della loro prole) devono andare al potere. Realizzando così l’ultima rivoluzione della storia, la penultima essendo stata quella con cui i borghesi hanno sottratto il potere ai nobili. Tutti questi particolari si possono discutere, ma un punto li unifica fortemente: i ricchi sono i nemici del genere umano e tutto è dovuto agli ultimi. Questi hanno il diritto di non pagare tasse e di ricevere ogni genere di sussidi.
In Italia la cosa è stata spinta talmente lontano, da scoraggiare l’accumulo di ricchezza, e addirittura lo sforzo per conseguirla. Sulle barricate sono rimasti gli irriducibili, i “workaholic”, i viziosi del lavoro, e questi pochi hanno continuato a tirare la carretta per tutti. Rischiando per giunta di essere incarcerati per i reati più fantasiosi. Mentre gli impiegati di Stato, con una produttività che è una frazione di quella dei workaholic, vivono tranquilli, nessuno li disturba, e lo Stato si scusa quotidianamente di non fornire loro più vantaggi.
In questo Paese mi sono sentito tremendamente a disagio. Pigro per natura, per nulla interessato alla ricchezza e al potere, ho lo stesso trovato assurdo che la società si organizzasse per rendere la vita difficile a chi, con la sua attività, rendeva possibile la mia improduttiva serenità. Mi sono sempre sentito in colpa ma, essendo oggettivamente incapace di produrre ricchezza, mi sono sempre trovato oggettivamente nella condizione degli ultimi. E dunque dei beneficiati al di là dei loro meriti. Fra l’altro, essendo fondamentalmente pragmatico, quando ho visto che lo Stato favoriva gli inquilini morosi e andava contro i proprietari truffati, dopo essermi arrabbiato, ne ho tratto la conclusione: non ero povero abbastanza. Dovevo vendere l’appartamento che mi avevano lasciato i miei genitori e non dico distribuire il ricavato ai poveri – non mi chiamo Francesco – ma affidarlo ad una banca che me lo avrebbe rubato a poco a poco. Ciò è puntualmente avvenuto ma non ne sono stato troppo scontento: nel frattempo infatti non mi ero roso il fegato ed ho continuato a vivere della mia moralissima pensione di professore, chiesta ed ottenuta quando avevo cinquant’anni e pagando irrisorie imposte dirette.
In conclusione, io sono l’italiano ideale. Poco produttivo, parco, ignoto, insignificante, più o meno un parassita sociale; e tuttavia riverito da tutte le istituzioni. La famiglia Riva ha fondato l’Ilva di Taranto, ha creato migliaia di posti di lavoro, ne ha ricavato milioni e milioni di euro (se mi sbaglio sui fatti poco importa, è un esempio) ma poi, più o meno, è stata depredata di tutto ed è finita in galera. Com’era giusto. Io non ho fatto niente, per la società, ma sono un cittadino integerrimo che i partiti corteggiano per ottenerne il voto.
Da noi gli ultimi non saranno i primi, ma hanno una fondata speranza di vivere a spese degli altri e di ottenere il Reddito di Cittadinanza.
grifpardo@gmail.com

PERCHÉ CONVIENE ESSERE POVERIultima modifica: 2022-12-17T08:30:29+01:00da gianni.pardo
Reposta per primo quest’articolo

3 pensieri su “PERCHÉ CONVIENE ESSERE POVERI

  1. Gli ultimi saranno i primi è una delle frasi più stupide mai uscite da una bocca umana (o mai scritte da una mano umana). Come se gli ultimi fossero tali per scelta o per virtù.
    Ma quanti danni ha fatto.
    L’italico distacco dalla realtà è tale che ci sono milioni di italiani che non pagano un centesimo di imposte – o pagano spiccioli – che sono però convinti di essere tartassati dal fisco e se la prendono con quello stesso Stato che gli offre servizi gratis e bonus. Se solo qualcuno insegnasse loro a leggere una busta paga… ma i sindacati continuano a lamentare che “le tasse le pagano sempre gli stessi”…Vero, peccato che non sono quelli iscritti ai sindacati a pagare, ma i dipendenti con reddito medio o alto. Questa minoranza viene spremuta e depredata in ogni modo possibile, e ciò nonostante c’è sempre qualche genio a sinistra che invoca una “riforma fiscale in senso progressivo”. Buonanotte ai neuroni.

  2. “…e che i lavoratori che hanno lavorato solo un’ora prima del tramonto meritano la stessa retribuzione di chi ha lavorato a partire dall’alba.”

    In questa occasione però Gesù mi piace: rivendica la libertà dell’imprenditore di essere generoso anche con chi ha reso meno.
    Gli altri non hanno nessun motivo di lamentarsi avendo ricevuto il pattuito. Non bisogna essere invidiosi, calcolatori, meschini. La cosa però potrebbe avere un risvolto negativo: quelli che si sono sentiti fregati avendo lavorato fin dall’alba la prossima volta potrebbero presentarsi anche loro un’ora prima del tramonto …

  3. Dunque in primi finiranno per essere gli ultimi e gli ultimi i primi. Bisogna però considerare se questa sarà la situazione definitiva
    (Epulone per sempre all’inferno e povero in canna). O se invece la ruota gira sempre: i primi diventati ultimi possono sperare, anzi hanno la certezza di diventare di nuovo primi. Un gioco a somma zero. Ma come faranno gli ultimi a diventare di nuovo primi? Lavorando, impegnandosi, sfruttando il prossimo (se guadagnano più degli altri sono capitalisti)? Per arrivare in cima bisogna pur passare davanti agli altri, forse con gentilezza o anche con modi rudi.
    Ma forse Gesù voleva solo consolare i poveri prospettando loro una futura grandezza (e nel frattempo si accontentassero di essere poveri). A prendere Gesù alla lettera tutti dovrebbo aspirare a essere poveri (in vista del radioso futuro). Ma come fa uno a volere esser povero, a decidere di fare il povero? Deve pure mangiare e purtroppo – questa è una legge di natura voluta dallo stesso Gesù in quanto vero Dio e vero uomo – “non ci sono pasti gratis”. I pasti che fornisce la Caritas da qualche parte devono venire (appunto dai primi e operosi).
    Quella degli uccelli e dei gigli non è stata una grande trovata di Gesù.

I commenti sono chiusi.