IL PARERE DEL MIO INCONSCIO

Da tempo immemorabile faccio sogni angosciosi e probabilmente la causa è un’asma a lungo ignorata. Infatti mi fu rivelata che ero già adulto da un giovane medico generico che si indignò del fatto che non sapessi di averla. L’asma può dare luogo a sogni terribili, in cui si soffoca lentamente, si è chiusi in spazi angusti, o sottoterra, o si è in pericolo di morte. L’angoscia è tale che ora ho imparato a svegliarmi e a mettermi supino o meglio a sedere, finché l’attacco non passa.
Questo è ovviamente il caso più drammatico, ma devo dire che quasi tutti i miei sogni hanno una caratteristica negativa. Forse perché da sempre sono allergico ed ho problemi con la respirazione. Comunque ecco lo schema: sono solo, ho gravi problemi concreti e non so se riuscirò a risolverli. Per esempio sono in una città sconosciuta e non so come arrivare dove dovrei andare. Ovviamente sono a piedi. Ovviamente non ho un soldo. Ovviamente non ho a chi chiedere un aiuto o un’informazione. Questa è più o meno la situazione costante in cui sogno di trovarmi. Va notato che – contrariamente al sogno nato dall’asma – in questi casi non sono angosciato, sono soltanto preoccupato. E penso che probabilmente riuscirò a cavarmi d’impaccio. Ma come?
Stamani, dopo l’ennesimo sogno del genere, ho avuto un’idea. Secondo Freud, durante la veglia noi rimuoviamo le idee, i ricordi, i comportamenti, i desideri che disapproviamo o di cui ci vergogniamo; nel sogno invece l’inconscio non conosce ostacoli e si esprime compiutamente. Anche se spesso per simboli. Dunque è possibile che il tema frequente dei miei sogni sia la mia concezione dell’esistenza: l’uomo è solo, non può sperare aiuti da nessuno e deve cavarsela da sé. Se può. Una spiegazione di questa mentalità si potrebbe trovare – come è naturale in psicoanalisi – nella mia infanzia.
Mia madre era una spartana dal carattere d’acciaio, di eccezionale buon senso e convinta che i bambini si educano essendo severi. Era nata nel 1898. Dunque, pur essendo affettuosa e generosa, questo affetto lo dimostrava soprattutto al gatto, che da piccolo in qualche momento ho invidiato.
Avevo sette anni quando scoppiò la Seconda Guerra Mondiale, ed essa ebbe una profonda influenza, su di me. Infatti per noi si tradusse in ristrettezze, in razionamento alimentare e – nel 1943 – in tremendi bombardamenti. Ma soprattutto fame. Da allora istintivamente ho tendenza a buttarmi sul cibo come un cane affamato che mangia con estrema voracità. Il risultato è che, avendo tendenza ad ingrassare, per non essere grasso oggi faccio la fame tutto l’anno. E questa nuova guerra non conosce tregua: la bilancia non attende che il mio passo falso di un giorno per farmelo poi pagare per settimane. Ma torniamo ad allora.
Il problema non riguardò soltanto me, ovviamente: in città non si vedevano più obesi. Gli uomini scherzavano sul girovita dei loro pantaloni, che pareva il sarto avesse confezionato per qualcun altro. Alcuni addirittura dicevano ridendo che avevano rivisto, un po’ sotto la cintura, “qualcuno che non vedevano da tempo”.
Poi arrivò il lungo dopoguerra. I miei mi mandavano a scuola da solo, non si occupavano dei miei studi, e credevano che dovessi cavarmela senza aiuto in tutto ciò che mi riguardava. Su una cosa soltanto mia madre insistette, verso i miei undici anni: che andassi a giocare con gli altri bambini, visto che avevo tendenza a starmene solo a casa. Così quando finalmente presi a frequentare l’oratorio, anche la mia vita sociale divenne affar mio. Ma – a parte l’oratorio – avendo sempre avuto orrore della violenza e non sapendo fare a botte, avevo sempre un po’ paura dei miei coetanei.
Io stesso vedevo quanto la nostra vita fosse stenta (e dire che a casa mia entravano due stipendi) e non mi sognavo di chiedere niente. Gli stessi giocattoli me li fabbricavo da me. Il legno andavo a raccoglierlo dagli scarti di un falegname che conoscevo. E lui mi lasciava anche raccogliere i chiodi storti che avrebbe buttato e che io invece a casa raddrizzavo e usavo.
Insomma, nella mia giovane vita, tutto contribuì a ficcarmi in mente la convinzione che ognuno di noi è responsabile di sé stesso, non deve lamentarsi (e con chi, poi?) e in una parola deve assolutamente cavarsela da solo. Probabilmente questa situazione era anche in linea con i precetti educativi di mia madre, che voleva fare di me un uomo. Ma se ha convinto il “me” adulto, non ha convinto il me bambino. E il mio subconscio.
La convinzione di essere sempre e soltanto solo, di fronte alla vita, non mi ha mai abbandonato e a volte mi sono reso quasi ridicolo, agli occhi di chi mi è vicino e mi vuol bene, per la mia mania di cavarmela senza mai chiedere aiuto. Se poi si mette questa caratteristica insieme con la regola di ogni hobbysta che si rispetti – e cioè il dovere di cavarsela con i mezzi di bordo – il risultato è che sono un mago quando si tratta di risolvere un problema col fil di ferro, il cartone, una molletta della biancheria o quello che è. Ricordo Peter, il mio amico inglese che – vedendo uno dei miei capolavori – parlava ridendo di “still another pardesque solution”.
Forse tutti i miei guai nascono dal fatto di avere ricevuto un imprinting da animale solitario (il gatto o la tigre) e non il normale imprinting dell’animale sociale (la scimmia, il lupo, i suricati e tanti altri). L’uomo normale non è né tanto sociale quanto le api né tanto solitario quanto il ghepardo, ma è un mix in cui le dosi variano fra un individuo e l’altro. In molti abbonda il membro di una comunità, in me abbonda l’individuo. Da sveglio mi trovo benissimo soltanto da solo o con la mia donna; e quando dormo forse avrei bisogno di una madre diversa. Ma lei ha avuto il cattivo gusto di morire molto tempo fa e questa speranza mi pare ragionevolmente vana.
Forse dovrei imparare ad essere più sociale. Ma – come dicono gli inglesi – si possono insegnare nuovi trucchi a un vecchio cane?

IL PARERE DEL MIO INCONSCIOultima modifica: 2022-12-11T16:18:41+01:00da gianni.pardo
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2 pensieri su “IL PARERE DEL MIO INCONSCIO

  1. Io sono più fortunato. Stare a letto il mal di schiena me lo fa passare. Ma non parliamo di malattie, Mi pare che il sistema non tolleri i commenti oltre le duemila parole :-)!

  2. Ho smesso di sognare da molti anni, ma ho avuto un problema simile fino a circa otto anni fa. Capitava che mi svegliassi di soprassalto perché non riuscivo a respirare: era la saliva che mi era andata di traverso. Poi ho dovuto fare un intervento di asportazione della tiroide e questo problema non si è più ripresentato. In compenso se ne è presentato un altro : mi sveglio spesso per il mal di schiena. ☹

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