PERCHÉ DRAGHI NON SCENDE IN POLITICA

Secondo un commentatore, se oggi Mario Draghi tornasse alla politica “avrebbe uno share come quello del Festival di Sanremo”. Traducendo: un consenso elettorale assolutamente straordinario. E allora come mai non scende in campo? Sembra un mistero e forse è soltanto un “segreto di Pulcinella”. La risposta infatti è: perché non è scemo e sa perfettamente che deluderebbe.
Per spiegare questa risposta bisogna cominciare da principio, cioè dal momento della caduta del governo Conte2. Quando questo (fausto) avvenimento si è verificato, il M5S, partito di maggioranza relativa, si era già alleato sia con la Lega sia col Pd: non rimaneva dunque alternativa all’interruzione della legislatura. In altri termini, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella avrebbe dovuto sciogliere le Camere e mandare il Paese alle urne. Né si può dire che non poteva farlo perché la situazione era drammatica (è sempre drammatica): infatti nel febbraio del 2021 essa era certamente meno drammatica che nel luglio del 2022. E ora tuttavia le Camere sono state sciolte.
Recentemente però a questo normalissimo e costituzionale provvedimento si opponevano due fattori: il primo è che, secondo la tradizione, il Presidente deve interrompere la legislatura soltanto quando ha esperito ogni altra, possibile soluzione: a costo di mettere insieme il diavolo e l’acqua santa, di costituire un governo di minoranza o di rassegnarsi a un governo tecnico. E infatti in questo caso la soluzione scelta è stata proprio quella di un governo “di unità nazionale”. Dove l’unità nazionale era finta ma la paura dei parlamentari di perdere lo stipendio e la pensione di parlamentare era assolutamente vera. In ogni modo esisteva una maggioranza e Mattarella chiamò Mario Draghi a presiedere il governo. Standing ovation.
Mario Draghi è uno stimato economista ma è soprattutto un uomo dallo straordinario senso del reale. Egli ha capito che, finché fosse perdurata la paura dei parlamentari di perdere i vantaggi economici, avrebbe potuto imporre al Paese qualunque genere di provvedimento. Forte della garanzia “grillina” e adottando un comportamento moderato nei confronti degli altri partiti, Draghi ha dunque governato benissimo. Ogni volta che c’era da varare un provvedimento serio poneva la questione di fiducia: “O mi dite di sì o andate al voto”. E per cinquantacinque volte ha avuto la “fiducia”. Fino a quando?
Fino al momento in cui, secondo i calcoli “grillini”, anche cadendo il governo non si sarebbe persa la pensione. E questo momento scadeva il prossimo 24 settembre. Così quando, tenendo conto dei tempi tecnici (a metà luglio circa) i Cinque Stelle sono stati sicuri della pensione, per la prima volta non hanno votato la fiducia al governo. E che i loro calcoli fossero esatti lo dice il calendario: la pensione era assicurata il 24 settembre (ecco la data che si leggeva sui giornali) ed ora si vota il 25. C.v.d. A Draghi tutto il maneggio è stato chiaro e infatti non ha cercato scorciatoie, ha detto chiaramente che il suo governo, non avendo la fiducia del M5S, era finito. Mattarella gli ha imposto quasi una settimana di riflessione, ma il Capo del Governo sapeva che i giochi erano fatti.
Molti in quell’occasione si sono chiesti perché Draghi non abbia fatto nulla per evitare la caduta del suo governo e come mai in Parlamento si sia espresso in modo da sfidare e provocare i partiti. La risposta è semplice: Draghi sapeva bene di non potere più contare sulla paura delle urne, e per conseguenza la sua magia era finita. Ridivenuto un Presidente del Consiglio normale, sottoposto a tutte le alee parlamentari – inclusi i colpi bassi, i complotti e i tradimenti – sarebbe stato fritto in padella. Invece di perdere inutilmente l’aureola, meglio andarsene mentre era ancora invitto. E così è stato.
Ecco perché l’attuale rimpianto di Draghi è falso o meglio fondato su un presupposto erroneo. Se oggi egli accettasse di essere il nuovo Presidente del Consiglio ci si accorgerebbe subito che nemmeno lui è in grado di fare miracoli. Lui ha potuto governare bene solo quando, di fatto, la Costituzione è stata sospesa. E dunque egli accetterebbe di nuovo quell’incarico se l’Italia (come vorrebbero i Fratelli d’Italia, o com’è in Francia) divenisse una repubblica presidenziale. Fino a quel momento, le standing ovation possono fare piacere ma non conferiscono né “pieni poteri”, né “seri poteri”.
Mario Draghi lascia la politica per non fare cattiva figura e perché l’Italia è ingovernabile. Soprattutto in uno dei momenti più drammatici della sua storia com’è l’attuale. In lui il buon senso prevale sull’ambizione.
giannipardo1@gmail.com

PERCHÉ DRAGHI NON SCENDE IN POLITICAultima modifica: 2022-08-30T11:58:46+02:00da gianni.pardo
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4 pensieri su “PERCHÉ DRAGHI NON SCENDE IN POLITICA

  1. Massì, tutto giusto. Però neanche Draghi sarebbe la soluzione giusta nella nostra attuale condizione economico/sociale/produttiva. Lui stesso ha in un certo senso confessato di non avere la bacchetta magica, che gli altri affermano – mentendo – di avere.
    Che invece esiste, applicando la sapienza antica di “quando si hanno troppi debiti e mancano i soldi per mangiare, si vendono i gioielli di famiglia”. E noi ne abbiamo! Quindi, vendiamo ai cinesi (agli australiani, ai peruviani…) la Fontana di Trevi, il Colosseo, l’Arena di Verona ecc. ecc. (oltre a qualche migliaio di reperti archeologici di nessun valore storico/artistico, chiusi nei depositi e mai uscitine), ovviamente senza che possano portarseli via ma con ampi diritti di sfruttamento economico e di “immagine”. Miliardi a pioggia! Coraggio!

  2. x Claude: idea non male, ma supponendo che già ci fossimo, tra tutti ‘sti soggetti ogni scelta sarebbe rischiosa, anzi, avventata. Si possono prendere a noleggio da altri Paesi? Il concetto di “proprietà dell’auto” lo si dice superato, quello che conta è l’uso/servizio, e l’auto invece oggi “esprime la nostra personalità, è parte di noi, portatevi a letto mia moglie ma vi faccio neri se mi rigate la macchina”. E’ una rivoluzione, e quindi facciamola completa.

  3. Articolo lucido e che propone una lettura verosimile della complessa & delicata faccenda. Quanto all’ipotesi Repubblica presidenziale, a umile avviso del sottoscritto sarebbe ampiamente preferibile l’elezione diretta del Capo del Governo (o “premierato forte”) con adeguati “contrappesi” parlamentari proposta acutamente tempo fa da qualcuno e poi (in)spiegabilmente finita del dimenticatoio (a parte Italia Viva). Magari nell’attesa di arrivare poi finalmente a un’Unione Europea pienamente federale. Ma mi rendo conto che sfortunatamente al momento si tratta di poco più che di una “petitio principii”. Saluti

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