ASTENSIONISMO E REFERENDUM

Tanto l’astensionismo in generale, quanto quello riguardante i referendum, hanno la stessa origine: lo scoraggiamento che dà l’esperienza.
Subito dopo la guerra, quando si è ritrovata la libertà, la gente ha partecipato molto alla politica. Andava ai comizi, ascoltava le “Tribune Politiche”, e i cittadini perfino si accapigliavano fra loro. Questo perché gli era stato detto che, votando per gli uni o votando per gli altri, si sarebbe ottenuta la tale o talaltra cosa. Ascoltando il candidato in piazza molti non si facevano troppe illusioni ma pensavano: “Se costui facesse anche soltanto la metà di ciò che promette, sarei contento. E con tale speranza lo voterò”.
Poi, nel corso dei decenni, le ripetute delusioni hanno cambiato questo quadro. Prima i cittadini non hanno più avuto fiducia nei politici, poi non li hanno più ascoltati, infine non sono più andati a votare: “Tanto non cambia nulla e fanno sempre quello che vogliono”.
Così, da percentuali di votanti intorno al 90%, siamo arrivati ad un calo mostruoso: metà degli elettori non vota e la tendenza all’astensionismo è in aumento. L’opinione politica più condivisa è il disprezzo. Prima c’erano i buoni e i cattivi, poi i cattivi e i meno peggio, ora il principio generale è divenuto: sono uno peggiore dell’altro e votare è inutile.
Sarebbe stato possibile evitare questo esito? Forse sì. Sarebbe stato necessario essere leali con i cittadini. Spiegargli che certe cose sono impossibili; che certe necessità sono ineludibili; che, al meglio, si sarebbe potuto fare questo e quello, ma non di più. Inoltre, cosa fondamentale, ottenuto il voto, bisognava fare veramente quello che si era promesso, in modo che la gente si convincesse che il suo voto aveva determinato la politica dello Stato. Invece si è fatto tutto il contrario. Nella campagna politica impazza ancora oggi il festival delle promesse impossibili e dopo le elezioni domina il più completo disinteresse per l’opinione del popolo. Fino al totale distacco di quest’ultimo dal governo della cosa pubblica.
Il referendum è il miglior esempio di un errore commesso dall’intera classe politica. Questo istituto costituzionale è, teoricamente, quello con cui veramente il popolo decide. Non ci sono sottigliezze: volete eliminare la tale legge? Votate sì. Volete tenervela? Votate no. E infatti non soltanto dapprima la gente ha preso sul serio i referendum (andando a votare) ma quando i credenti, i benpensanti e la Chiesa si sono battuti contro il divorzio, il voto ha lo stesso introdotto quel provvedimento e la gioia del popolo è stata tale che ancora oggi quell’episodio viene citato con compiacimento.
Negli altri casi troppo spesso i politici, le istituzioni, la magistratura e in una parola l’establishment sono riusciti ad annullare i risultati dei referendum. Fino a far pensare che essi non possono cambiare nulla. La gente ha votato per l’abolizione del Ministero dell’Agricoltura? Il ministero è ancora lì. Se quella proposta era una baggianata, bisognava darle corso, perché il popolo capisse l’errore che aveva fatto e invece a quel ministero hanno soltanto cambiato il nome. Il popolo (80% di favorevoli!) ha votato per la responsabilità civile dei giudici? I giudici ancora oggi non sono responsabili e se proprio si verifica un caso scandaloso, paga lo Stato. Cioè noi. Noi che volevamo la responsabilità civile dei giudici. E così l’entusiasmo di un tempo si è trasformato nello scetticismo più nero: “Che votiamo sì o no, non cambierà nulla”. E la gente non va nemmeno a votare.
Questa è la morte della politica. I cittadini pensano: “Se il nostro voto non conta, perché ce lo chiedono? Perché ci chiedono di scomodarci ad uscire di casa e andare a votare?” Così l’Italia va avanti a tentoni: non ha ideologie, non ha comizi, non ha nemmeno partiti ma comitati elettorali. Ha soltanto dibattiti televisivi in cui i leader sono personaggi piuttosto noiosi, impossibilitati persino ad esporre compiutamente un’idea politica. E troppo spesso i talk show sono gazzarre in cui ci si azzanna fino al trionfo della maleducazione e del relativismo intellettuale. Un tempo gli analfabeti della politica dicevano: “Ha da venì Baffone”: era un’enormità ma era anche il segno di una speranza. Oggi dicono: “Può venì chiunque, tanto non cambia niente”.
Il referendum avrebbe potuto essere la ciambella di salvataggio della politica. Responsabilizzando i cittadini i partiti avrebbero potuto dire: “Le decisioni importanti le prendete voi, noi le applichiamo: e se sono sbagliate, ricordatevi che le avete volute voi”. Oggi il messaggio sostanziale è invece: “La politica la facciamo noi, caso mai con i magistrati e i poteri forti. Si prega di non disturbare il manovratore”.
I greci hanno avuto i Trenta Tiranni; noi forse ne abbiamo Tremila, ma la democrazia è un’altra cosa.
giannipardo1@gmail.com

ASTENSIONISMO E REFERENDUMultima modifica: 2022-06-27T07:46:18+02:00da gianni.pardo
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Un pensiero su “ASTENSIONISMO E REFERENDUM

  1. Tutto vero quello che dice, ma secondo me è ancora più vero il contrario: una politica demente ha mantenuto troppe promesse che era meglio non mantenere.
    Quando nella prima repubblica si mandava la gente in pensione a 40 anni, immagino che nelle campagna elettorali questa cosa venisse promessa. Idem per le pletore di dipendenti (soprattutto meridionali) assunti nelle amministrazioni pubbliche in numero doppio o triplo (se non di più) rispetto al necessario.
    E oggi la sudditanza della politica nei confronti di un elettorato infantile e sostanzialmente analfabeta è ancora peggio: tutti ricordiamo il reddito di cittadinanza promesso dai grillini in campagna elettorale ed è stato fatto. Tutti ricordiamo le invettive di Salvini in campagna elettorale contro la Legge Fornero e c’è stata quota 100. Tutti ricordiamo gli infiniti e fantasiosi bonus promessi nell’ultima campagna elettorale e oggi siamo effettivamente diventati Bonuslandia, senza più alcun ritegno.
    Tra l’altro questo sperpero di denaro pubblico premia solo nel brevissimo termine: Matteo Renzi, ad esempio, è oggi stramaledetto soprattutto da tutti quelli che hanno beneficiato e continuano a beneficiare del suo famoso bonus di 80 euro.
    Il problema vero, più delle promesse non mantenute, è la percezione totalmente errata della politica e della cosa pubblica da parte dell’elettorato: più riceve e più si convince di non ricevere o peggio. La maggior parte dei contribuenti italiani dichiara un reddito inferiore ai 30k euro annui e pare che di sola sanità costino sei volte le imposte che pagano allo Stato. Sono milioni di cittadini che dovrebbero solo ringraziare, ma la stragrande maggioranza di loro è convinta che lo Stato li dissangua e li deruba.
    A furia di bonus e detrazioni, i lavoratori dipendenti fino a 14k euro circa di reddito sono arrivati negli ultimi anni addirittura a non pagare più nemmeno un centesimo di Irpef (e non sono affatto poveri, spesso si tratta di part-time quale secondo reddito in famiglia): eppure, qual è il ritornello nel dibattito pubblico? Che bisogna abbassare le tasse ai lavoratori dipendenti, che sono gli unici che le pagano (Landini).
    E si potrebbe continuare…

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