QUANDO LA FRANCIA SI ANNOIA

Quando “si annoia”, la Francia si chiede se dopo tutto il suicidio non sarebbe un modo divertente di passare il tempo. L’espressione è paradossale, ma la tendenza a strafare di quel grande Paese non è una novità. A notarlo cominciò Alphonse de Lamartine che, il 10 gennaio del 1839, parlando alla Camera dei Deputati, disse: “La Francia è una nazione che si annoia”. E lo confermò, oltre cento anni dopo, Pierre Viansson-Ponté, in un bellissimo articolo comparso sul “Monde” del 15 marzo 1968. Traduco alcune frasi. “Ciò che caratterizza attualmente la nostra vita pubblica, è la noia. I francesi si annoiano”. “La gioventù si annoia. Gli studenti manifestano, si muovono, lottano”. “Hanno l’impressione che hanno conquiste da fare, una protesta da far udire, almeno un sentimento dell’assurdo da opporre all’assurdità”. “I francesi hanno spesso mostrato che amano il cambiamento per il cambiamento, per quanto caro gli possa costare”. “E, al limite, si è già visto, un Paese può anche morire di noia”. Mirabile.
Qualcun altro ha anche scritto: “Quando i francesi si annoiano fanno una rivoluzione”. Insomma, a quanto pare, è un’evidenza. Del resto Viansson-Ponté scrisse il suo articolo nel marzo 1968 profetizzando quel Maggio del ‘68 francese che fece traballare lo Stato e De Gaulle. Sembrò una rivolta inarrestabile, tanto che quasi vinse sulla piazza: ma alla fine perse perché non seppe proporre nulla di serio ai francesi scontenti. E certo non un leader migliore dell’anziano Generale. Ora ci si può chiedere: è saggio fare una rivoluzione senza sapere perché, tanto per tenersi in allenamento?
Il ‘68 è lontano nel tempo ma il problema, oltre mezzo secolo dopo, non è risolto. La Francia è malata, l’Italia è malata, ed è malato anche l’intero mondo civile. Il mondo civile è quella parte del pianeta – largamente minoritaria – in cui regnano la prosperità, la libertà, il progresso; in cui praticamente nessuno ha fame e in cui lo Stato somiglia più a una trepida madre che al Leviathano, e che tuttavia è popolato da cittadini delusi, scontenti e a volte addirittura rancorosi. Avendo risolto la maggior parte dei problemi concreti, la res publica ha lasciato i cittadini inermi quando si è trattato di fronteggiare quelli metafisici. Non a caso Massimo Nava, sul “Corriere” del 20 giugno, ha scritto che la Francia è “lo Stato sociale più protettivo e costoso del mondo, la cui colpa, agli occhi di molti, è però di non prevedere anche la tessera della felicità”. I francesi non sanno più che cosa chiedere e, non avendolo ottenuto, dichiarano lo Stato insolvente.
Questo spiega il risultato delle elezioni. Chi conosce quel Paese dall’interno sa benissimo che i francesi adorano criticarlo e tuttavia, se uno gli sbatte sul muso i loro mille privilegi, finiscono con l’ammettere: “Après tout, on n’est pas malheureux, en France”, dopo tutto non siamo infelici, in Francia. Ma dopo dieci minuti riprendono a dire peste e corna del luogo dove hanno avuto la fortuna di nascere.
Nelle recenti elezioni il primo partito francese – quello che ha la maggioranza non dei votanti, ma degli aventi diritto al voto – è di gran lunga il partito dell’astensione. Cioè il partito dell’indifferenza, del “no” a prescindere, del disprezzo. Non soltanto il partito del Presidente non conquista la maggioranza in Parlamento, ma gli altri due grandi partiti sono uno di estrema sinistra e uno di estrema destra. Andiamo bene. Considerando che, come detto, più di metà degli elettori non è andata a votare, bisogna dimezzare le percentuali ottenute dai partiti. Ensemble (Macron) 38,6%→19,3%; Nupes (sinistra) 31,6%→15,8%; Rassemblement National (Le Pen) 17,3%→8,7%. Dunque per un governo normale si sono espressi soltanto il 19,3% dei francesi, meno di uno su cinque. I rimanenti vorrebbero buttare tutto all’aria. Ci sbagliavamo quando pensavamo che, col Movimento 5 Stelle, avessimo l’esclusiva della follia in politica. E ora una maggioranza appare del tutto inimmaginabile. Il lupo, la capra e i cavoli, come nel giochino: ma stavolta senza soluzione.
Dal momento che i problemi di cui parliamo non sono soltanto francesi, ma anche italiani, americani, israeliani e chissà di quanti altri Paesi, forse siamo in presenza di una malattia generale dell’umanità. E della rivincita della filosofia. Quando gli obiettivi sono chiari e concreti, si vince o si perde ma si lotta con convinzione. Quando invece gli obiettivi non sono chiari (“culo pieno”, diciamo al Sud) quando il malessere è vago e dunque inguaribile (quasi un ritorno al “mal du siècle” del XIX secolo) la cura non può essere che la saggezza. Ma la saggezza è fuori moda e nessuno saprebbe più dove trovarla.
giannipardo1@gmail.com

QUANDO LA FRANCIA SI ANNOIAultima modifica: 2022-06-23T09:35:03+02:00da gianni.pardo
Reposta per primo quest’articolo