INFLAZIONE E RECESSIONE

Qualcuno, forse John Maynard Keynes, ha detto che contro l’inflazione, se pure al prezzo di lacrime e sangue, si può reagire; contro la recessione invece no. O, almeno, ancora non si è trovato il rimedio. E se non l’hanno trovato i competenti, figurarsi gli incompetenti. Ma fare ipotesi sul perché del fenomeno non è vietato.
L’inflazione è l’aumento ingiustificato del circolante rispetto ai beni, con conseguente aumento dei prezzi. Ovviamente gli effetti sono imponenti. Infatti si svalutano i crediti; hanno un minore potere d’acquisto i percettori di reddito fisso; per le imprese diviene difficile fare piani per il futuro, e addirittura, quando l’inflazione diviene galoppante e drammatica, provoca tali danni sociali che nessuno ha dimenticato i giorni della Repubblica di Weimar.
Ma, volendo guardare a monte, da che cosa nasce l’inflazione, quando la determina il governo, spesso per motivi demagogici? Dal fatto di consentire spese ingiustificate e al di là degli introiti dello Stato. Per questo Luigi Einaudi volle un certo capoverso dell’art.81 della Costituzione per il quale “Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte”. Proposito rimasto sostanzialmente inascoltato: come quando, facendo finta di obbedire alla Costituzione, per far fronte alla nuova spesa si parla di “lotta all’evasione fiscale”. Come fosse un optional. In realtà, la volontà dei cittadini di avere vantaggi che non si sono effettivamente procurati – e quella dei politici di dare loro ascolto per fini elettorali e di potere – è irresistibile. E ciò significa che l’inflazione è il risultato dell’avidità. E se il governo è abbastanza solido, contro l’avidità può anche lottare. Basta che abbia la forza di dire “no”.
Il caso della recessione è diverso ed opposto. La recessione, secondo il vocabolario della Treccani, è “una flessione nello sviluppo o addirittura un regresso nell’attività economica che […] può preludere ad una vera e propria crisi” e infine condurre alla depressione. La parola depressione getta una possente luce sul fenomeno.
Nel singolo individuo la depressione è quell’atteggiamento vagamente nichilista per cui nulla val la pena di esser fatto, nessun piacere merita seriamente di essere perseguito. Non hanno attrattiva il denaro, il successo, i rapporti umani. È un drammatico deprezzamento di tutti i valori, per cui è un po’ come se l’individuo si lasciasse morire. È difficile aiutare il malcapitato. È inutile dirgli “Vai a divertirti”, perché quello che gli prospettiamo come divertimento non lo attira. È come se la sua porta si fosse chiusa sulla gioia di vivere.
Ora ammettiamo che, per una ragione che per il momento ci si astiene dall’ipotizzare, un’intera nazione perda in buona misura l’interesse alla conquista, al guadagno, al progresso, al successo, se pure al prezzo della fatica, degli sforzi e perfino del rischio di non riuscire. In questo caso gli effetti, a cascata, saranno drammatici: non si fonderanno nuove imprese; non si tenteranno nuove produzioni; non si rischierà di lanciare sul mercato un nuovo prodotto; non si contrarranno mutui con le banche (per non affrontare il rischio di non poter restituire il denaro) e insomma, avendo ogni singolo l’atteggiamento tendenzialmente depresso , la somma dei comportamenti conduce alla recessione. E perché il governo e lo Stato hanno tanta difficoltà a lottare contro questo atteggiamento? Semplice, per la stessa ragione per la quale la logoterapia ha poco effetto col singolo depresso e oggi si tenta di rispondere alla malattia (ché tale è considerata) con rimedi chimici. Lo Stato non ha lo strumento per “indurre a fare” chi non vuol fare. La gente si attiva perché è sedotta da ciò che può ottenere. Ma se ciò che dovrebbe sedurla perde la sua attrattiva, non c’è modo di fargliela ritrovare. E certo non si otterrà il risultato con l’imposizione.
Un ultimo accenno alle possibili ragioni nazionali della recessione. Volendo (per assurdo) indurre il singolo ad essere depresso, basterebbe ricordargli che tutti moriamo; che spesso rinunciamo ai piccoli piaceri del presente in vista di un grande risultato futuro, e poi il risultato futuro non lo abbiamo perché moriamo prima di goderne; che dal rapporto con l’altro sesso, il più delle volte ne derivano problemi e dolori più che piaceri e soddisfazioni; e lo stesso per l’avere figli. Insomma un buon filosofo potrebbe quasi indurre al suicidio chiunque. Vanitas vanitatum et omnia vanitas, vanità delle vanità e tutto è vanità.
Ora ammettiamo che in una nazione – a causa di una guerra, di una pandemia, del venir meno della fede religiosa, dello scoraggiamento indotto da un fisco rapace, o dallo spettacolo della corruzione dei dirigenti – il singolo si senta scoraggiato dall’intraprendere. Se questo sentimento, oltre ad essere il suo, è quello di milioni di suoi concittadini, il risultato è la recessione. Un caso esemplare lo abbiamo sotto gli occhi. Se, nella società italiana attuale, è difficile trovare un lavoro che renda mille euro al mese (non il Perù, mille euro al mese), e nel frattempo si può ottenere il reddito di cittadinanza, perché mai il singolo dovrebbe strapazzarsi? Con mille euro, ammesso che trovi il lavoro, sarà un morto di fame, e allora tanto vale esserlo con ottocento euro al mese, riposandosi per giunta. Moltiplicate per alcuni milioni una situazione del genere, e avrete un buon assaggio di che cos’è la recessione.
Forse contro la recessione lotta meglio la penuria che l’abbondanza. Se coloro che non hanno voglia di fare avessero fame, la fame la voglia di fare gliela restituirebbe.
giannipardo1@gmail.com

INFLAZIONE E RECESSIONEultima modifica: 2022-06-15T09:25:24+02:00da gianni.pardo
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4 pensieri su “INFLAZIONE E RECESSIONE

  1. Ma la “depressione” (scarsa propensione ad “intraprendere”) dipende anche, per le piccole imprese, dalla quantità assurda di incombenze amministrative, pre, durante e post operative, che in alcuni casi implicano tempi lunghissimi di risposta, possibilità di errori che implicano “rifare tutto”. Sistema che naturalmente alimenta (produce reddito) per “specializzati nella soluzione di problemi” (fiscalisti, geometri, periti di varia in-competenza, esperti in “scorciatoie legali”) e induce una sensazione di “ricatto”, non certo di gratificazione per “artefice del PIL”. La cosa più divertente che ho appreso è la “tassa sull’ombra”: se fuori del negozio metti una tenda sospesa, devi pagare una tassa simile alla “occupazione di suolo pubblico”, calcolata secondo rigorosi criteri geometrici.
    Le medie e grandi imprese non hanno problemi: hanno specialisti esperti a servizio interno o esterno, ben pagati, con costi tranquillamente ribaltati sul prezzo finale.
    E, nonostante queste strozzature, l’evasione fiscale corre ugualmente: tipico esempio gli esercizi commerciali gestiti dai cinesi: conoscendo benissimo che cosa è l’Italia, con un giro vorticoso di titolari fittizi pronti a scomparire, accumulano debiti verso il fisco o INPS, INAIL ecc. e verso fornitori e banche, e tanti saluti.

  2. che brutto mondo…
    meno male che per chi crede (non un semplice religioso) c’è un mondo migliore dopo, altrimenti
    sarebbe tutto così vano…
    penare su questa Terra per poi scomparire per sempre, come un animale …
    che tragedia

  3. Un altro articolo da incorniciare o archiviare, complimenti. Ci vorrebbero più Pardi (o Gattopardi?) in Italia.

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