GLOBALIZZAZIONE E STRATEGIA

La globalizzazione in sé non è né un bene né un male. Il problema è quello di utilizzarla correttamente.
Ne quid nimis, dicevano i romani: non esagerare in nessuna direzione. In inverno l’acqua calda è un piacere. Ma se vi versano addosso un secchio di acqua bollente non è un piacere. Ecco perché è stupido dire bene o male della globalizzazione. Tutto dipende da quanta e quale se ne propone.
Per avere le idee chiare bisogna partire da concetti semplici. Cominciamo dallo scambio di merci o servizi (e perfino lavoro, come quando si “delocalizza”) che molti considerano a somma zero. Immaginiamo che due amici siano d’accordo su questo scambio: A dà a B una banconota da cento euro e B dà ad A una banconota da cento euro. Chiunque a questo punto chiederebbe: “Ma sono cretini? Perché con quello scambio non hanno concluso niente”. Infatti è questo il vero scambio a somma zero. E l’economia non se ne occupa.
Ora immaginiamo che A dia a B una bicicletta che è sicuro non userà più, e B gli dia in pagamento duecento euro. Questo scambio sarebbe a somma zero se ambedue i contraenti, a conclusione, fossero in una situazione identica alla precedente: ma non lo sono. A preferisce avere duecento euro in portafogli piuttosto che una inutile bicicletta, e B è molto più contento di avere la bicicletta che i duecento euro. Dunque ambedue i contraenti sono contenti dello scambio e convinti di averci guadagnato. Ed effettivamente è così. In economia si chiama “principio dell’utilità dello scambio”. Lo dimostra in positivo la soddisfazione dei contraenti e in negativo il fatto che non avrebbero proceduto allo scambio se avessero pensato che non gli conveniva. Questo principio smentisce il tenace e stupido pregiudizio secondo cui “ogni volta che qualcuno ci guadagna, qualcun altro ci perde”.
Se lo scambio è utile, ne discende che quanto maggiore è la possibilità di scelta delle cose da scambiare nel mondo, tanto più ricco sarà l’intero pianeta. Un Paese molto grande (in cui l’ettaro di terra varrà meno che, poniamo, in Olanda) ha interesse a sfruttare quel suo vantaggio producendo cose che richiedono una grande estensione di terreno, per esempio frumento. E infatti producono molto frumento i Paesi grandi: Cina, Stati Uniti, Canada, Francia, Russia e Ucraina. Se, viceversa, un Paese è piccolo avrà interesse a dedicarsi a prodotti ad alta tecnologia. Infatti la Svizzera si occupa di orologi, farmaceutica, servizi bancari.
Quando la ricerca del miglior prodotto al prezzo migliore fa sì che tutti i Paesi commercino con tutti i Paesi si ha quella che chiamano globalizzazione. E questa è certamente un bene. Ma con un limite: ammettiamo, per assurdo, che l’Egitto produca i migliori carri armati del mondo, e al miglior prezzo. In base al principio dell’utilità dello scambio, sarebbe ragionevole che Israele, invece di costruire i suoi carri armati, comprasse quelli egiziani. Ma se poi l’Egitto dichiarasse guerra ad Israele, chi fornirebbe ad Israele i pezzi di ricambio per i suoi carri armati? È evidente: un Paese che dipende da altri per i suoi armamenti, in certe occasioni sarà alla mercé di chi glieli fornisce.
La globalizzazione è una buona cosa ma bisogna adottarla tenendo conto delle necessità strategiche. Gli Stati Uniti sono fortunati: a causa della loro estensione, delle loro risorse e del loro sviluppo industriale, all’occasione possono fare a meno di tutti. Ma i molti che non si trovano in questa felice situazione devono trovare una diversa soluzione. Devono produrre almeno una piccola quantità di beni essenziali: il frumento, per esempio, perché in guerra può divenire impossibile importarlo. Inoltre bisogna differenziare al massimo i fornitori di beni che è impossibile o poco conveniente produrre in loco: petrolio, aeroplani, cotone, lana, gas, automobili, caffè, la lista è lunga. Nessuno deve essere in grado di ricattare il cliente dicendogli: “Se no, non ti mando più il mio prodotto”. Bisogna sempre poter rispondere: “Fai pure. Sono già organizzato per comprare da un altro”.
La globalizzazione è un grande vantaggio ma dobbiamo tenere conto delle nostre necessità strategiche. In questo campo la diffidenza deve essere nei confronti di tutti. Qualcuno potrà chiedere: “Se questi principi, semplici ed evidenti, sono noti, come mai ci siamo trovati presi al cappio col gas russo?” La risposta è che per molto tempo persino personaggi del calibro di Angela Merkel si sono lasciati cullare da illusioni ireniche ed ottimistiche sulle tendenze dell’umanità. Le anime belle abbondavano e fino a ieri esse non avrebbero preso sul serio i principi della geopolitica. Pensavano che non ci sarebbero mai più state guerre – almeno, non in Europa, e che chi diceva il contrario era un pessimista guerrafondaio. Il buon senso ha ritrovato i suoi diritti soltanto oggi, precisamente causa della crisi del gas. Per decenni l’Italia è stato un Paese in cui sarebbe stato del tutto inutile ricordare che la specie umana è “una specie che fa guerre” e che questo non cambierà mai. Come mai cambierà il fatto che i gatti non fanno guerre. Nessuno è più sordo di chi non vuol sentire.
giannipardo1@gmail.com

GLOBALIZZAZIONE E STRATEGIAultima modifica: 2022-06-14T09:49:39+02:00da gianni.pardo
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