DA MONTAIGNE A TAIWAN

Michel de Montaigne, con la sua cultura, con la sua umiltà ed umanità, è uno dei grandi della storia. Come scrisse più o meno La Bruyère, leggendo i suoi “Essais” “ci si propone di leggere un libro e si incontra un amico”. Dall’immersione nel suo testo si esce rasserenati e rinnovati nello spirito, tanto grandi sono la semplicità, la bonomia, la sorridente indulgenza di Montaigne. Il suo ideale di “saggezza” non richiede più spiegazioni: perché, leggendo quelle pagine, ne abbiamo incontrato l’incarnazione.
Una delle frasi più famose di Montaigne è un semplice interrogativo: “que sais-je?” (che cosa so?): riassunto del suo scetticismo e quasi un’eco del socratico: “Io so di non sapere”.
Oggi vorrei citare quelle parole famose – forse distorcendone il senso – per notare che Montaigne, di fronte a un problema, non cerca la persona o il testo cui chiedere lumi: comincia con l’interrogare sé stesso. Non certo per presunzione, sappiamo che quell’uomo ne era totalmente sprovvisto. Piuttosto, credo, per non falsificare sé stesso. Quasi dicesse: “Prima mi chiedo che cosa penso io, poi confronto quel che credo di sapere con quel che credono gli altri, e se aderirò o contesterò l’uno o l’altro, saprò che non lo faccio per stima o disistima per la persona, ma perché ho serenamente confrontato il suo e il mio pensiero”.
Oggi uso questo sistema per il problema di Taiwan, di cui certo non sono uno specialista. A partire dal 1949, quando Mao vinse, Taiwan fu il rifugio di Chiang Kai-shek e dei suoi. E mentre la Cina diveniva un lager in cui si faceva la fame Taipei si arricchì e prosperò nella democrazia. La Cina naturalmente ha sempre rivendicato la sua sovranità sull’isola ma la pretesa è stata sempre vigorosamente rigettata. Nei decenni passati gli abitanti di Formosa non hanno mai avuto voglia di far parte di una Cina immensamente grande ma anche immensamente infelice e tremendamente affamata. Classico esempio dei risultati concreti del comunismo.
Oggi però la Cina è diversa. Morto Mao, è tornato in vigore il buon senso e la Cina – pur rimanendo comunista – è divenuta ricca, aperta ai commerci col mondo intero, e infine superpotenza mondiale. In tutto questo una cosa non è cambiata: la pretesa di avere la sovranità su Taiwan. La sua indipendenza per Pechino è un’anomalia da sopprimere, se necessario con le armi. Ma purtroppo gli Stati Uniti si sono sempre posti come garanti di quell’indipendenza. Come aggirare l’ostacolo? O – dall’altra riva – come impedire questa annessione?
E qui mi chiedo: que sais-je? Ha ragione la Cina o ha ragione Taiwan? Gli Stati Uniti devono essere disposti ad intervenire a qualunque costo, o devono cercare ora, in tempo di pace, una soluzione diplomatica? E una soluzione diplomatica esiste?
Ma questo è un modo sbagliato di porre la questione. I problemi internazionali non si risolvono con la ragione o col torto, si risolvono con i negoziati (fra nazioni civili) o con la forza delle armi.
Cina e America sono forti ed hanno i loro interessi. Purtroppo quelli dell’America possono cambiare e dunque, se Taiwan considera un interesse vitale la propria indipendenza, deve chiedersi fino a che punto è disposta a difenderlo con le armi. Non per vincere contro la Cina (Taiwan ha poco più di un decimo del territorio italiano) ma per renderle talmente costosa la vittoria da scoraggiare il progetto.
Come qualunque Stato del mondo, Formosa deve sapere che, in caso di crisi, si ritroverà assolutamente sola. Le alleanze internazionali funzionano soltanto se, venuto il momento, all’alleato converrà ancora tener fede alle promesse. Taiwan deve dunque chiedersi se intende vendere cara la pelle o se, al primo segnale del venir meno della solidarietà degli Stati Uniti, non le convenga arrendersi per evitare un inutile spargimento di sangue. Vender cara la pelle significa non dedicare il 2% del suo pil agli armamenti, come fa attualmente, ma il 5-6%, come fa Israele. Diversamente, meglio risparmiarsi quel 2%.
Dopo millenni di storia, come civiltà e senso della giustizia non siamo andati oltre il livello delle iene e dei leoni. La diplomazia insegna come si sta a tavola, come si parla fra gentiluomini e come si fa un baciamano a regola d’arte. Ma nella sostanza bisogna soprattutto imparare come si maneggia un randello.
giannipardo1@gmail.com

DA MONTAIGNE A TAIWANultima modifica: 2022-05-12T08:04:13+02:00da gianni.pardo
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