UN’ISOLA CHIAMATA ITALIA

Quando alle Scuole Elementari si insegnava ancora qualcosa ci fecero sapere che l’Italia è una penisola che ha la forma di uno stivale. Si precisava addirittura che la Puglia ne costituisce il tacco e il Gargano lo sperone. E dal momento che la geografia non cambia in seguito non abbiamo avuto occasione di dubitarne.
Ma cambia la foggia degli stivali. E come stivale oggi l’Italia avrebbe in alto un risvolto di grandezza impressionante, che non si usa più dal Seicento. E quanto agli speroni, non solo non abbiamo più cavalli, ma se ne avessimo e andassimo in giro con gli speroni gli animalisti (giustamente) ci azzannerebbero.
Uno stivale, dunque? Sì, ma molto approssimativamente. Ciò di cui viceversa nessuno dubita è che sia una penisola. La corona delle Alpi è troppo chiara e troppo evidente per essere ignorata. Se quelle montagne in un certo senso ci separano dal resto dell’Europa, in un altro senso ci ancorano indissolubilmente ad essa. Con un bordo di rinforzo alto chilometri.
E qui si vede come a volte la vocazione dell’eretico vada oltre il prevedibile. Infatti , malgrado le Alpi, io credo che l’Italia sia un’isola. Non l’unica, peraltro. La Spagna è attaccata alla Francia come l’Italia è attaccata all’Europa è anch’essa un’isola, come provato dal fatto che non si sono mai avute guerre guerreggiate con la Francia, intendo lungo la loro frontiera comune. La Francia non ha mai pensato di estendere il suo potere verso ovest, oltre i Pirenei, e la Spagna non ha mai pensato di estendere il suo potere verso est, oltre i Pirenei. Se i due Paesi si sono scontrati (chi non ha mai litigato con i suoi vicini?) è stato per ragioni imperiali, non per il suolo delle due madrepatrie.
La Spagna è una grandissima isola, ma è diversa dall’Italia. Il fatto che, all’epoca delle grandi scoperte, si sia creato un enorme impero ha fatto sì che, da allora, una grande parte del mondo parli spagnolo (persino gran parte degli Stati Uniti), e si senta spiritualmente collegata alla Spagna. Come del resto la Spagna sente un po’ come propri figli tutti i Paesi che parlano spagnolo. L’Italia invece non è uscita dai propri confini, se non con un’emigrazione a titolo individuale. Così, per molto tempo è stata un’isola ripiegata su sé stessa e sul proprio passato.
Gli italiani sono vissuti con un piede nella miseria del presente e un altro piede nella gloria del passato. Un piede nella dipendenza dalle grandi potenze straniere, e un piede nella propria superiore civiltà nel campo artistico, musicale, scientifico (penso al Seicento e al Settecento) e letterario (fino al Cinquecento). Poi, da quando il mare importante non è più stato il Mediterraneo ma l’Atlantico, gli italiani sono diventati periferici. Ed hanno accentuato questo isolamento in due modi.
Il primo è stato l’isolamento linguistico. Mentre gli olandesi, coscienti dell’insufficiente valore internazionale del neerlandese, hanno studiato (seriamente) due o tre lingue straniere, fino ad essere i linguisti d’Europa, gli italiani non ne hanno studiata nessuna. In passato conoscevamo seriamente il latino e assaggiavano un po’ di grammatica francese, ma nessuno (soprattutto non i professori) parlava sul serio una lingua straniera. E non si vede chi avrebbe potuto insegnarla. Poi la moda è passata all’inglese, ma neanche stavolta gli italiani hanno imparato una lingua che li mettesse in contatto con la cultura mondiale. Hanno imparato singole parole, storpiandone a morte la pronuncia, fino a creare un gergo simil-inglese che è capito soltanto in Italia. Sono riusciti a sfregiare in un sol colpo due lingue.
Ma l’isolamento importante è il secondo, quello rispetto al passato dell’Italia. Prima eravamo dei provinciali indegni del nostro passato nobile e glorioso, ma almeno lo conoscevamo, mentre oggi, con l’inarrestabile decadenza della scuola, ignoriamo anche il nostro passato. E dunque non siamo diversi da un qualunque Paese del Terzo Mondo.
Ecco perché l’Italia non che essere una penisola attaccata all’Europa è un’isola periferica e senza importanza. Tant’è vero che coloro che sono ancora imbevuti della sua storia e del suo passato, si sentono estranei alla loro stessa patria. Perché condividono quel patrimonio soltanto con una disprezzata “Carboneria”, con amici sempre meno numerosi e sempre più vecchi. Con gli innamorati attardati della fu cultura italiana.
giannipardo1@gmail.com
18 aprile 2020

UN’ISOLA CHIAMATA ITALIAultima modifica: 2022-04-21T08:27:25+02:00da gianni.pardo
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3 pensieri su “UN’ISOLA CHIAMATA ITALIA

  1. Pfui, Pardo!
    Lei dimentica che il mondo ci ama e guarda a noi come un faro di civiltà nella nebbia del LORO decadimento culturale, stante che NOI abbiamo il 70 (o l’80? facciamo 75 e non se ne parli più) del patrimonio artistico mondiale, passato, presente e certamente futuro (ah, la meraviglia delle nostre autostrade, i nostri ponti, le nostre musiche maneskiniane!). E SOLO NOI possediamo il segreto del Parmigiano Reggiano che tutto il mondo ci invidia, e del Prosecco, che gli astronauti di nascosto hanno portato sulla Stazione Spaziale. E tutto ciò difenderemo fino alla morte.
    E se non conosciamo l’inglese, è perché noi non ci abbassiamo ai livelli di genti primitive che pronunciano vocali e compongono gruppi consonantici in modo diverso secondo le circostanze: imparino loro a parlare in modo civile, cioè come noi. Così dovressero fare se sarebbero intelligenti. E l’inglese lo parliamo male a posta bella, per prenderli in giro.

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