DEBITO PUBBLICO E RISPARMIO PRIVATO

Se lo Stato possa eventualmente pagare il debito pubblico confiscando il risparmio privato e il patrimonio immobiliare

1 Nel mondo primitivo l’uomo delle caverne è autonomo. Si procura da sé il cibo, e il “vestiario”. Vive molto miseramente ma non ha bisogno di nessuno. Al massimo collabora con gli altri maschi alla caccia e alla raccolta di vegetali commestibili.
2 Scoperta l’agricoltura, si impone lo scambio tra cacciatori, pescatori e agricoltori. Il cacciatore fornisce carne in cambio di pesce e vegetali; il pescatore fornisce pesce in cambio di carne e vegetali; l’agricoltore fornisce vegetali in cambio di carne e pesce. Il tutto mediante baratto e l’economia è in perfetto equilibrio. L’utilità dello scambio è dimostrata dal fatto che tutti e tre i gruppi fruiscono dei tre generi di beni, invece di averne troppo ma di un solo tipo. Nello scambio nessuno è perdente e tutti si arricchiscono. Lo dimostra il fatto che chi scambia pensa di dare qualcosa che vale di meno di ciò che ottiene. Diversamente non si presterebbe allo scambio.
3 Lo scambio in natura (baratto) sarebbe perfetto se tutti i beni avessero uguale valore, ma non lo hanno. Nasce così un bene che viene considerato l’unità di misura del valore di scambio: la pecora (pecus, da da cui pecunia). Questa è l’origine del denaro. Per così dire (inventiamo) una pecora vale venti chili di pesce o quaranta chili di frumento.
Il denaro ha dunque funzione di scambio (come facilitatore del passaggio dei beni, permettendo la misurazione del valore rispetto ad uno standard, la pecora, il sale, l’oro, la cartamoneta); un valore di accumulo (per esempio l’oro, ed oggi – con rischi infinitamente maggiori – il deposito in banca) e infine un valore di frazionabilità. Non si può pagare “con mezza pecora”, ma si può pagare con la metà di cento euro. La moneta si può dividere all’infinito, fino ai millesimi.
4 Una cosa va sottolineata: la pecora, l’argento, l’oro, se usati come moneta, rimangono beni. Invece la cartamoneta, le cambiali, i titoli di credito ecc. sono promesse di beni. Ma quei documenti – in sé – rimangono carta o annotazioni nei registri delle banche. Ciò significa che dieci euro possono “inflazionarsi” se, dopo un certo tempo, comprano la metà dei beni che potevano comprare qualche anno prima. Prima con dieci cento euro compravi due chili di carne, ora ne compri uno. Mentre l’oro – nel lungo termine – ha un valore costante, e non può inflazionarsi. Per questo è detto “bene rifugio”. Protezione dall’eventuale deprezzamento.
Quando la moneta di riferimento è stata l’oro (circolazione aurea, gold standard) l’inflazione era impossibile (qualche truffa sì, la praticarono anche gli imperatori romani). Ma la quantità di oro esistente è insufficiente per gli scambi attuali (dicono) e comunque ormai non esiste da nessuna parte. Siamo tutti sottoposti all’alea della carta moneta.
5 La carta moneta è così poco affidabile che, potendo rifiutarla, molti non l’accettano. Ecco perché, nel mercato internazionale, si può pagare in dollari o in euro, perché i creditori se ne fidano; ma se provate a pagare con rubli russi o dirham marocchini, vi rideranno in faccia. E dire che il Marocco, probabilmente, ha i conti più in ordine dell’Italia. Ma nei mercati è questione di fiducia. Viceversa, all’interno del Paese, è lo Stato che impone la cartamoneta come mezzo di pagamento. Il creditore è obbligato ad accettarla a soddisfacimento del suo credito (o il venditore in cambio della sua merce) e questa circolazione è infatti detta “a corso forzoso”.
6 Dal momento che lo Stato ha il monopolio della moneta, e ne impone la circolazione, può avvenire – ed avviene – che lo Stato spenda più di quanto incassi. Cioè metta in giro più moneta di quanto se ne sia procurata con le tasse. Il risultato è che, aumentando l’offerta della cartamoneta a fronte dei beni (invariati), i beni valgono di più e la cartamoneta di meno. Così ciò che prima si comprava con cento euro ora costerà 110€. Con prezzi più elevati per i beni (a causa della maggior offerta di denaro) si ha la parziale depredazione dei creditori in generale, dei detentori di moneta, dei dipendenti a reddito fisso e dei pensionati. L’inflazione colpisce soprattutto i poveri.
7 Più interessante è il caso dell’“inflazione congelata”, come la chiamo io. Immaginiamo che, su sessanta milioni di italiani, quaranta mettono appena insieme il pranzo con la cena e non gli rimane denaro in più, mentre venti hanno un reddito superiore alle loro spese, sicché “mettono denaro da parte”. Questo denaro si chiama “risparmio” e rappresenta una “possibilità di spesa”. “Fino ad oggi ho messo da parte trentamila euro, non appena lo deciderò comprerò una nuova automobile”. Ma finché quel signore non lo farà, quel denaro rappresenterà una “possibilità di spesa” soltanto.
Se il risparmio è poco, e abbastanza presto il detentore lo spende, il mercato è sano e non ci saranno squilibri fra denaro e beni. Come avviene nel caso di chi metta denaro da parte in vista di una grande spesa (classico l’acquisto della casa) e poi effettivamente l’acquista. Se invece un’enorme quantità di cittadini – come in Italia – metta da parte un’enorme quantità di denaro – come in Italia – e lo detiene senza spenderlo (per qualunque motivo) le conseguenze sono imponenti.
Se il risparmio è molto grande (in Italia si dice che sia superiore al debito pubblico) il risultato è che, mentre la quantità di denaro diviene sempre maggiore, nel mercato i beni rimangono più o meno sempre gli stessi, sicché finché il denaro non è speso, il mercato “pare” in equilibrio. Se invece – in seguito ad una crisi di fiducia, per esempio una seria minaccia di default dello Stato – tutto quel denaro si riversa improvvisamente sul mercato (perché i detentori temono che presto non varrà più nulla) il risultato è che – effettivamente e subito – quel denaro non varrà quasi nulla. Diciamo una piccola percentuale – il 5, il 6, il 7% – del valore di partenza. Semplicemente perché non ci saranno beni a sufficienza da comprare col denaro risparmiato. Oppure – più semplicemente – ciò che prima si comprava a cento ora si comprerà a mille. Il che corrisponde a dire che il denaro risparmiato, riversandosi sul mercato, crea una mostruosa inflazione, riducendosi il valore del denaro stesso, per esempio, del 90%.
Ecco perché il denaro risparmiato costituisce una “inflazione congelata”, come la chiamo io. O potenziale. Finché il denaro risparmiato non è speso, i detentori si possono illudere che chissà che cosa potrebbero comprare. Se invece tutti insieme volessero trasformarlo in beni, rimarrebbero con un palmo di naso: perché, come detto, non esistono beni sufficienti a fronte del risparmio accumulato. Se esso è immesso nel mercato si rivela per quello che è: carta. Una speranza infondata di acquisto.
8 Nel caso dell’“inflazione congelata” il risparmio è dunque “denaro a fronte di niente”, perché mancano, nelle mani dei debitori, i beni con cui potrebbero rimborsare i creditori. Questo va dimostrato dal punto di vista contabile. Ammettiamo che tutto il debito pubblico italiano (2.700 mld €) sia detenuto da italiani (non è vero, ma usiamo questa ipotesi per semplificare); e ammettiamo che i sessanta milioni di italiani si dividano in 20 milioni di risparmiatori (che hanno quel credito di 2.700 mld €) e 40 milioni di cittadini che sono debitori di quel debito di 2.700 mld €. Passiamo ai calcoli. I debitori italiani dovrebbero 2.700 mld ed essendo detti debitori quaranta milioni, si troverebbero ad avere (2.700.000.000.000€ diviso 40 milioni) 67.500€ di debito ciascuno. Per una famiglia di quattro persone un debito di 270.000€. Non è ovvio che non tutte le famiglie potrebbero sborsare 270.000€? Soprattutto: non è ovvio che non tutte le famiglie detengono beni (il denaro è soltanto un facilitatore dello scambio) di cui potrebbero disfarsi per un valore di 270.000 €? Dunque è evidente: il denaro detenuto dai risparmiatori non “compra” niente, ed è “a fronte di niente”. È soltanto un’aspettativa che andrà delusa. Carta. Anzi, soltanto un’annotazione nei registri.
Per queste ragioni il debito pubblico italiano non può essere rimborsato confiscando il risparmio privato. Anche ad ammettere che lo si consegnasse in blocco ai creditori, con esso i creditori non potrebbero comprare niente.
Né val la pena di parlare del patrimonio immobiliare, perché nelle case la gente ci abita. Se lo Stato le confiscasse per pagare il debito, uno, dove andrebbero a vivere gli italiani? E, due, chi le comprerebbe quelle case? I francesi, i tedeschi, e tutti gli altri creditori lascerebbero le loro case per venire ad abitare in Italia? Queste sono fantasie che soltanto persone disorientate possono avere.
Lo Stato non potrà mai confiscare né il risparmio privato né il patrimonio privato, e se lo facesse farebbe lo stesso un buco nell’acqua. Se il Paese fosse fallito, fallito rimarrebbe.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com

DEBITO PUBBLICO E RISPARMIO PRIVATOultima modifica: 2022-03-21T09:27:17+01:00da gianni.pardo
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3 pensieri su “DEBITO PUBBLICO E RISPARMIO PRIVATO

  1. Caro Falcone, quello che lei dice è giusto. Infatti io ho cominciato il mio articolo con “Ammettiamo…” Ammettiamo in particolare che il debito sia soltanto in mani italiane. Ma so benissimo che non è così. Anzi prima era per tre quarti – credo di ricordare – in mani straniere. Ora lo è molto meno. Ma vengo a lei. Parlavo del debito come se fosse solo in mani italiane per essere chiaro. In particolare per dimostrare che il nostro credito è “denaro a fronte di niente”.
    Nello stato attuale, con gli euro italiani gli stranieri potrebbero comprare questo e quello, in Italia o altrove. Ma dal momento che sarebbe denaro “a fronte di niente”, cioè denaro inflazionario, quel denaro si trasformerebbe in una corrispondente riduzione del potere di acquisto del complesso degli euro circolanti. In altre parole, trufferemmo gli altri partner che usano l’euro, come già li truffiamo contraendo ancora debiti e spendendo più di loro, cosa contro la quale i “Paesi frugali” non cessano di protestare. Ma peggio per loro, adottare l’euro senza adottare l’unione politica, economica e fiscale, è stato un errore imperdonabile.
    Non ho parlato di tutto questo nell’articolo perché era già fin troppo lungo.

  2. “Per queste ragioni il debito pubblico italiano non può essere rimborsato confiscando il risparmio privato. Anche ad ammettere che lo si consegnasse in blocco ai creditori, con esso i creditori non potrebbero comprare niente.”
    Vero se pensiamo ad una economia chiusa, dove creditori e debitori sono tutti in Italia. Ma, nel nostro caso, molti creditori sono stranieri: ricevendo gli euro confiscati agli Italiani, probabilmente potrebbero comprare qualcosa, sia in Italia (es.: porti, aeroporti, infrastrutture varie) sia in altri Paesi. Una banca tedesca (o, perché no?, russa) potrebbe comprare la mia casa, poi farmi pagare l’affitto fin che campo (fortunatamente non mi resta molto da vivere).
    Aggiungo anche che non tutto il risparmio privato degli Italiani sta in Italia.
    O, forse, non ho capito bene il ragionamento del dott. Pardo …

  3. La ringrazio per il “disorientato” ma non ho detto quello che Lei mi attribuisce.
    Io ho detto una cosa ben diversa: e cioè che un quarto del patrimonio immobiliare italiano sarebbe sufficiente per ripagare il debito. Ho anche premesso che non sarebbe la soluzione più opportuna.

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