Una notizia

Ho scritto un paio di curricula vitae non per chiedere un lavoro ma per dire a qualche amico chi sono e che cosa sono stato. L’essenziale l’ho già detto col titolo del primo curriculum (pubblicato da “Il Foglio”): “Storia di un Fallito”. In esso scrivevo anche che da adolescente avevo detto a mia madre: “Entrerò nella vita dal portone principale”. Per poi scoprire che la vita non ha un portone principale, o almeno io non l’ho trovato. Ma ho giudicato che la vita, facendomi costantemente fallire, mi ha fatto un grandissimo favore. E per questo riporto il secondo curriculum vitae. Concluderò dando una notizia agli amici lettori.

UNA VITA ALL’INSEGNA DEL GRATIS
A volte penso, con un sottile fremito di orrore, a quante cose sarebbero potute andarmi bene e, per fortuna, sono andate male. Ad ognuna di queste svolte, ad ognuno dei tanti snodi, mi sarei potuto imbarcare in una vita di successo: la qual cosa mi avrebbe dominato, si sarebbe impadronita del mio tempo, della mia libertà e perfino della mia spensierata povertà. Solo chi non è nessuno può veramente non far niente e vivere la vita da turista. Il mio destino – l’ho sempre saputo – era piuttosto quello di guardare gli altri che essere uno di loro. Ora che la mia vita si conclude, posso dirlo ad alta voce: sono felice di aver vissuto come ho vissuto.
Confesso che da ragazzo mi credevo destinato a grandi cose. Ne ero così convinto che non mi strapazzavo per arrivare a nessun traguardo. Era come se un profeta mi avesse detto che il mio grandioso destino era ineluttabile, tanto che potevo prendermela comoda. Non sarei riuscito ad evitarlo nemmeno se avessi voluto. Poi il tempo è passato e i risultati sono costantemente stati al di sotto delle aspettative. Ogni apertura si è ineluttabilmente risolta in una chiusura. Ma non per questo ho cambiato comportamento. Non soltanto il mio destino di grande successo era inevitabile, ma personalmente valevo persino più del grande successo possibile. Ammettiamo che fossi divenuto viceministro di Grazia e Giustizia. Per chiunque questo sarebbe stato un titolo di cui vantarsi, per me invece sarebbe stato quasi un motivo di umiliazione. Vice? E perché soltanto vice?
Nessuna meta mi è mai sembrata seriamente appetibile. Da ragazzo mi ero convinto che amavo il denaro e infatti ho sempre avuto tendenza a risparmiare all’osso. Forse anche perché da bambino mi sono sentito molto povero ed ho avuto fame. Poi il tempo è passato ed ho visto che, pur rimanendo visceralmente contrario allo spreco, del denaro non mi importa assolutamente nulla. La ricchezza altrui non soltanto non mi fa ombra, ma non suscita in me la minima invidia. Mi sarebbe dispiaciuto non potermi permettere un’automobile, ma ammirare Parigi o Amsterdam dai vetri di un’utilitaria o di una Rolls Royce, che differenza fa? La ricchezza mi è sembrata ingombrante.
Alunno brillante, non sono mai stato il primo della classe, perché, per mia disgrazia, in tutte le classi c’è stato un altro alunno brillante che, a differenza di me, studiava. Come avrei potuto vincere, contro questo baro? Anche all’università la cosa non è cambiata. Al riguardo è significativo un dato emblematico: mi sono laureato con 110/110, ma non con 110/110 e la lode; come del resto, sul mio libretto, ho avuto un bel po’ di trenta, ma nessun trenta e lode. Anche qui, come avrei potuto vincere contro coloro che studiavano per avere un bel voto? Io studiavo per avere una materia in meno di cui occuparmi. E se mi avessero offerto di regalarmele, alcune di esse, probabilmente avrei accettato. Tanto, il mio magnifico destino era indipendente dalla conoscenza di quelle materie. Infatti superai l’esame di diritto processuale penale leggiucchiando degli appunti, un centinaio di pagine. Non ricordo perché quel docente fosse disposto a regalare la sufficienza a tutti. E infatti per tutta la vita sono stato un ignorante in utroque: diritto processuale penale e diritto processuale civile. Materie da mestieranti del diritto.
Ho anche provato la carriera del giornalismo, per un paio di giorni. Sono stato accolto nel giornale come un cane in chiesa e me ne sono andato insalutato ospite. Non ero disposto a nessuna gavetta.
Laureato, sono andato a Quimper a conoscere Hélène e mi sono innamorato. Della Francia. Infatti ho disperatamente cercato un qualunque lavoro, per rimanere in quel Paese. Mi ci trovavo così bene, da avere la sensazione di essere tornato a casa, invece di essermene allontanato di 2.700 chilometri. Ma mi aspettava la solita serie di insuccessi. Infatti mi son visto rifiutare un’occupazione da un negoziante di frutta e verdura di origine italiana (si chiamava Coppola, nientemeno); poi uno che aveva una piccola officina mi ha assunto ma dicendomi il giorno dopo di non tornare più perché non ero in regola dal punto di vista burocratico. Infatti non avevo un libretto di lavoro. Ho cercato invano un’occupazione (come sempre da manoeuvre, bracciante) andando a Nantes con altri disoccupati. Sono andato anche da un grossista di formaggi, M.Lucas, (“Ha un genero italiano”) che è divenuto poi un mio grandissimo amico e mecenate, ma non mi assunse neppure lui.
Non mi arresi. Mi iscrissi alla F.P.A., Formation Professionnelle des Adultes, essendo infine accettato (avendo superato dei test) con la qualifica di apprendista fresatore. Ma, al momento di prendere servizio, gente che c’era stata mi sconsigliò tanto vivamente l’ambiente in cui si svolgevano i corsi, che ci rinunciai.
Così, passato il natale 1958 e il capodanno 1959 con la famiglia Lucas e la famiglia di Hélène, andai prima a Parigi, Billancourt, per vedere se mi assumevano alla Renault, come operaio. E così collezionai un altro “no”. Infine atterrai a Milano per lavorare e nel contempo iscrivermi alla Scuola Interpreti. Sono subito stato ammesso alla Scuola, addirittura direttamente al terzo corso, ma non ho trovato né un lavoro per il pomeriggio soltanto, né un lavoro e basta. Qui è cominciato il mio giro non delle sette, ma delle settanta chiese. In un gennaio gelido, con addosso il vecchio cappotto di mio cognato, che mi arrivava quasi ai piedi, ho visitato non so quante società, tutte quelle che trovavo nell’elenco telefonico e che avevano una sede nel centro di Milano, visto che ero appiedato. Mille interviste – “laurea, due lingue straniere, disposto a qualunque lavoro” – mille e un “no”. A proposito del cappotto di mio cognato: ero talmente elegante da risultare losco, e infatti, in piazza del Duomo, due poliziotti mi chiesero i documenti.
Nel frattempo vivevo nel lusso. Avevo una stanza in famiglia, in cui dormiva anche un secondo pensionante, e mangiavo fondamentalmente pane e latte. Il fatto era che dovevo riuscire a mantenermi prima che finissero i soldi. Prima di tornare a Catania con le pive nel sacco. Non prendevo neanche il tram, per risparmiare, e mi concedevo come unico lusso l’acquisto del “Corriere della Sera”: ma soltanto perché dovevo leggere tutti gli annunci economici. Fu così che lessi l’invito della Remington, dove mi accettarono non per darmi un lavoro, ma per iscrivermi al corso di apprendista venditore porta a porta di macchine per scrivere. Sai che divertimento. Questo finché mia madre non venne a dirmi che l’avv.X, dal quale avevo cominciato il mio praticantato di avvocato, mi offriva molto di più di prima, purché tornassi a lavorare con lui. Già, ho saltato questo passaggio. Devo tornare indietro.
Alla fine del 1957 mio padre mi trovò un posto di praticante avvocato penalista presso il giovane avvocato, Y. X. Un uomo che in totale ho frequentato per quattro anni, senza mai riuscire a stimarlo. Comunque ho presto visto che lavoravo mattina e pomeriggio (cosa orrenda) e non guadagnavo quasi niente. L’avvocato non mi istradava nella professione: mi usava come segretario e come ghost writer giuridico. Così ho deciso di lasciar perdere la carriera di avvocato e, al ritorno dalla Francia, sono andato direttamente a Milano. Ecco perché ero lì. A Catania non mi poteva certo bastare il complimento degli altri penalisti che, mi riferirono, avevano detto: “Da quando X. ha un praticante, ha imparato a scrivere”.
Mentre a Milano seguivo il mio corso alla Remington, venne a trovarmi mia madre. Mi disse che l’avvocato era disposto a darmi di più, che insomma mi conveniva tornare a Catania, mi sarei sposato, sarei divenuto avvocato, tutto sarebbe andato per il meglio. Cuore di mamma. Benché a Milano, alla Remington avessero fatto di tutto per trattenermi, tornai a Catania, per scoprire che mia madre, per una volta, mi aveva mentito. Non c’era nessuna novità. E tornai dunque in prigione. Senza riuscire a divenire avvocato. X. – diversamente dai suoi colleghi – non mi associò mai ad una causa, non mi affidò nemmeno un caso di Pretura, mi sfruttò e basta.
Finché un giovane imbecille mandato dalla Provvidenza, un cieco cordialissimo, non mi dette il consiglio che cambiò la mia vita: “Conosci il francese e con la laurea in giurisprudenza ti ammettono al concorso per l’abilitazione. Perché non lo fai?” Ovviamente lo feci e fui immediatamente promosso. Da un giorno all’altro, professore. Nel capolouogo. Lavoro soltanto di mattina e pane assicurato fino alla morte. Problema economico risolto. Mi feci anche cancellare dall’albo degli avvocati, perché il fisco non si capacitava che, con quell’iscrizione, non guadagnassi il becco di un quattrino.
Il mio glorioso destino si allontanava sempre più. Per me insegnare era un mestiere umiliante, ma dal momento che lo Stato era disposto a farmi l’elemosina, ero contento. Così ho insegnato per cinque anni all’Istituto Tecnico Commerciale. Poi lo Stato mi regalò la titolarità nella Scuola Media (il pane “superassicurato”) ed accettai. Ma ero terrorizzato all’idea di avere a che fare con dei bambini. Così ho avuto il secondo consiglio fondamentale della mia vita. Un collega, saputo che l’anno seguente sarei passato alla Scuola Media, e vista la mia faccia, mi incoraggiò a fare il concorso nazionale per le Superiori. Gli parlai della mia ignoranza, della mia pigrizia, del fatto che m’avrebbero bocciato, ma Mirabella, così si chiamava, non cambiò opinione: “Provaci”, ripeteva. Ci provai. Feci due concorsi e li vinsi tutti e due. Ovviamente optai per il Liceo Scientifico e tornai alle Superiori, dopo un anno nella Scuola Media in cui – come dicevo – avevo scontato tutti i peccati commessi fino a quel momento, rimanendo forse in credito per i peccati futuri.
Comunque sono stato professore per vent’anni. Alla fine mi trasferirono più volte per soppressione di cattedra (nessuno più voleva imparare il francese) arrivando ad un Istituto Professionale in cui l’ignoranza degli alunni ricordava il Rio delle Amazzoni. Per fortuna seppi che lo Stato, affetto da demenza precoce, mi permetteva di andare in pensione con vent’anni d’insegnamento: e così a cinquant’anni divenni un pensionato. La totale felicità professionale.
La profezia si era avverata. Il grande successo che il destino mi aveva riservato consisteva nella possibilità di vivere senza far niente. Senza essere costretto a frequentare il prossimo. Senza essere costretto ad uscire di casa. E soprattutto senza chiedermi se avrei avuto da mangiare fino alla fine del mese. Così mi sono dedicato alla musica, alla lettura, a scrivere qualcosa da buttare poi nel cassetto. Ed ho finalmente capito quanto pervicacemente il destino si fosse intestardito a favorirmi.
Pensate: se soltanto fossi riuscito ad evitare un solo insuccesso, avrei lavorato seriamente. Invece avere assaggiato il lavoro è soltanto servito a comprendere con assoluta chiarezza che la cosa non faceva per me. Il fatto di non avere ricevuto un euro per le migliaia di articoli che ho scritto, e che pure hanno avuto qualche lettore, non mi ha disturbato. Sono vissuto di denaro regalato ed ho a mia volta regalato il frutto della mia attività. Una vita all’insegna del gratis. Ma della migliore qualità.
Il destino ha deciso di favorirmi in ogni modo. Mi ha perfino fatto il grande regalo di arrivare alla vecchiezza. Non soltanto felice, ma soprattutto felice in amore.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
13 aprile 2019, oggi ottantasei anni.

Il codicillo che devo aggiungere, un mese prima dei miei ottantanove anni, è che l’occasione della mia vita è arrivata, se pure con troppi decenni di ritardo. Per la prima volta, segnalato da un amico, che gli ha inviato un mio articolo, sono stato invitato a divenire editorialista in un quotidiano nazionale (“ItaliaOggi”, “La porta della redazione è spalancata”). Il giornale pubblicherà due miei pezzi la settimana. E – vi prego di credere – non scrivo né meglio né peggio di venti, trenta o quarant’anni fa. A quanto pare la Fortuna sapeva già che sarei stato tanto longevo da potere aspettare. La accolgo con un sorriso cortese, ma senza entusiasmo. Un colpo di fortuna a ottantanove anni arriva dopo la scadenza del prodotto. Ma forse, visto il mio curriculum, devo lo stesso dichiararmi lusingato. Almeno morrò da giornalista, non da grafomane.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
13 marzo 2022

Una notiziaultima modifica: 2022-03-13T16:06:18+01:00da gianni.pardo
Reposta per primo quest’articolo

16 pensieri su “Una notizia

  1. Caro Gianni
    finalmente! Era ora che si accorgessero di lei. Sono entusiasta di questo nuovo sviluppo. Da quando l’ho conosciuta, anni fa, non ho più smesso di seguirla e leggere i suoi preziosi post.
    Caro amico congratulazioni.
    Ivana

  2. Caro professore, mi ritengo fortunato! Infatti, un lontano giorno di molti anni fa, per caso, ebbi modo di leggere un suo articolo online, credo, su “Affari Italiani”.
    Da quel giorno, non mi sono mai privato del piacere di leggerla.

    Grazie!

  3. Grazie anche a lei. Avevo esitato se dare o no la notizia, ma vedendo quanti cari amici ho, mi rendo conto che ho fatto bene. Tuttavia da ora non ringrazierò più nessuno, per questa faccenda, chiedendo anche a coloro che avevano pensato di scrivermi e non l’hanno fatto, di credere che ringrazio anche loro. Da bravo pigro quale sono, li capisco.

  4. Complmenti per la sua età, spero anchio di arrivarci, che bella esperienza di vita, i suoi articoli mi fanno compagnia, la prima cosa che guardo appena accendo il pc, è come respirare una bella boccata di aria fresca e pura, poi passo alle notizie che di questi tempi poi mi portano tr.istezza e preoccupazione, tanti auguri e a presto con un suo n uovo articolo.

  5. Per Nicola: Grazie. Sì, Diogene è uno dei miei miti. Ma nell’unico racconto in cui parlo di lui gli do torto. Sono proprio un anarchico.

  6. Caro Gianni, leggo solo ora il suo bellissimo racconto di vita vissuta. Lei nella vita e’ stato un Diogene, ma con una marcia in piu’: ha conosciuto l’amore. E mi congratulo per la sua futura carriera di giornalista, non e’ mai troppo tardi. Il numero dei suoi ammiratori si moltiplichera’, come ha sempre meritato. Bravo!

  7. Per Claudio Ascoli. Lei è molto gentile e affettuoso. Non so se merito veramente le sue parole.
    Mi creda, la maggior parte del tempo, uno ha la sensazione di gettare messaggi in bottiglia nell’oceano. E invece, a volte quei messaggi giungono a destinazione. È consolante ed anche lusinghiero.

  8. Egregio Professore, il Suo racconto mostra quali sono stati i passaggi del suo vivere, i sentimenti che l’hanno accompagnata, l’amore per la libertà del pensiero. La ringrazio di questi esempi intensi.
    Da molti anni Lei accompagna il nostro cammino, nutre di vera cultura e sostiene il nostro senso critico, spesso ci indica la strada.
    D’abitudine si augurano, in occasione dei compleanni, cento di questi giorni: ne auguro duecento, accompagnati da affetto, da Salute ( di questi tempi), da Fortuna che non guasta mai,

  9. La risposta che comincia con le parole: “Commento molto generoso” era per Fabrizio.
    Per la sign.ra Barni. Lei ha scritto poco, nei commenti, ma vedo che era una cara lettrice. La ringrazio della sua attenzione. e della semplicità con cui esprime i suoi sentimenti.
    Per Falcone. E perché no? Finché c’è vita c’è speranza, ma pare che da queste parti la Fortuna aspetti che uno abbia l’età di Matuasalemme. Spero che con Lei si faccia viva prima del millesimo compleanno. (Cui Matusalemme non arrivò).

  10. Congratulazioni. Sono molto felice per lei ed un un pò anche per me. Dall’incipit dell’articolo avevo temuto il pensionamento. Quello vero.

  11. Congratulazioni vivissime, ampiamente meritato. Se non è successo prima è solo perché non era stato notato.
    E’ inoltre positivo se aumenta la platea dei suoi lettori, perché significa maggiori stimoli a ragionare per un maggior numero di persone.

  12. Grazie. Ho comunicato la notizia perché poteva farvi piacere sapere che l’impressione che il nostro blog, commenti inclusi, sia di buon livello, non è solo una nostra impressione.

I commenti sono chiusi.