LA GIUSTIZIA NON ESISTE

Ogni tanto mi alzo col piede sbagliato e – come gli imbecilli che Socrate interrogava – guardo in faccia qualche concetto e rimango perplesso.
Certe idee appaiono talmente evidenti e, per così dire, reali, che ci sembra ozioso discuterne. Tutti sanno, o credono di sapere, che cosa siano bontà e cattiveria, onestà e disonestà, giustizia e ingiustizia. Addirittura, per quanto riguarda la giustizia, siamo soliti invocarla come se fosse una divinità dinanzi alla quale il nostro avversario dovrebbe inchinarsi.
Così pensiamo. E poi, con inenarrabile disappunto, scopriamo che il nostro giusto per altri è ingiusto e che spesso gli altri, pur pensando che siamo nel giusto, non per questo ci danno una mano. Preferiscono limitarsi a darci ragione “du bout des lèvres”, muovendo appena le labbra. Preferiscono il loro quieto vivere. Così, a forza di brutte esperienze, diveniamo diffidenti. Vuoi vedere che la giustizia merita la stessa definizione che si dà delle banche, quelle che ti aiutano quando non ne hai bisogno e ti lasciano a piedi quando sei nei guai?
In natura, fra specie diverse, la legge non esiste. La predazione che in sé non è conforme alla giustizia è certamente conforme alla natura. Viceversa per gli animali della stessa specie le cose vanno diversamente. La violenza intraspecifica, e a fortiori la predazione, sono vietate dall’istinto, perché sarebbero nocive alla sopravvivenza della specie. Per il territorio o per il diritto di accoppiarsi con le femmine tutti gli animali che mordono si azzannano vicendevolmente, quelli che hanno corna cercano di infilzarsi, e perfino le giraffe, che non mordono e non hanno corna, si danno energici “colpi di collo”: ma in questi scontri normalmente nessuno viene ucciso. Gli animali si battono cercando tuttavia di proteggere la specie. Benché il maschio sconfitto sia meno importante per essa (ci penserà il vincente a preservare la specie accoppiandosi con le femmine) è bene che neanche lui muoia.
Qualcuno ha osservato che quando i pennuti battagliano, anche con estrema aggressività, non mirano mai a beccare l’avversario negli occhi. E questo perché un uccello cieco è un uccello morto. La specie trova utile che tramandi i suoi geni il “fittest to survive”, ma vuole evitare che il perdente, pur ferito, muoia. Potrebbe vincere la prossima volta. Potrebbe sostituire il vincente, se morisse.
Dunque all’interno della stessa specie, e soprattutto fra gli animali sociali, esiste la legge, intendendo per legge “i comportamenti che tutti i membri del branco reputano obbligatori, o che tali gli fa sentire l’istinto”. E noi uomini non facciamo eccezione. La differenza sta nel fatto che abbiamo un’intelligenza superiore e disponiamo di uno strumento eccezionale, il linguaggio. Cosicché ciò che comanda l’istinto lo trasformiamo in dovere di tutti (legge), con conseguente biasimo. o sanzione, per chi non rispetta il principio accettato.
Un esempio: l’omicidio è condannato da qualunque società umana, anche la più primitiva, perché contrario agli interessi della specie. E infatti la società accetta la sanzione per l’omicida. Che poi la punizione sia riservata alla vendetta privata è secondario: del resto nella società primitiva non c’è nessuno Stato che potrebbe attuarla. Chi si vendica di un omicidio è approvato dalla comunità primitiva perché ha eliminato un individuo pericoloso per il branco stesso. Ecco la radice della legge.
Che sia un aborigeno dell’Australia o un ingegnere di New York, per l’uomo è giusto tutto ciò che favorisce la pacifica e prospera convivenza umana; è ingiusto tutto ciò che va in senso contrario. Le leggi sanzionano questo principio fino a farne un corpus coerente chiamato ordinamento giuridico. E infatti le leggi non riguardano il comportamento dell’individuo “da solo”, ma in quanto ha rapporti con gli altri. Si chiama “principio dell’alterità della legge”.
Ma queste astrazioni non sono alla portata di tutti. Spesso – soprattutto fra i non giuristi – rimane vivo il sostrato che generò la legge: il sentimento della giustizia. Così, la gente non distingue legale e illegale, ma giusto e ingiusto. E crede che il giusto dovrebbe corrispondere a legale ed “obbligatorio”.
In questo sbaglia due volte. Per cominciare, dimentica che il suo giudizio sul giusto e l’ingiusto è personale, e la controparte potrebbe non condividerlo. E poi nessuno può sfuggire all’influenza del proprio interesse sul sentimento della giustizia. Cosa che fece stabilire il principio romano: “Nemo iudex in re sua”, nessuno sia giudice se è personalmente interessato alla faccenda.
La conclusione è che l’uomo, facendo incarnare il sentimento della giustizia in una legge obiettiva e precostituita, l’ha con ciò stesso spogliato della sua coazione. Se un’ingiustizia non è prevista dalla legge è del tutto inutile dire: “Non è giusto”. Il fatto che una legge possa essere giudicata ingiusta non la rende meno cogente.
Il sentimento della giustizia rimane però estremamente importante perché costituisce la Stella Polare del legislatore (cioè del Parlamento) nel momento in cui approva le leggi. Le leggi hanno il vantaggio dell’imparzialità, una volta che sono scritte, ma lo svantaggio della rigidità. Una volta votate, vivono di vita propria e – almeno fino alla revoca – si impongono anche agli stessi parlamentari che le votarono.
Il sentimento della giustizia è immortale ma giuridicamente, nella vita di ogni giorno, è un residuo arcaico cui sarebbe bene rinunciare. Si è in diritto di sentirlo ed esprimerlo, ma sapendo che appartiene alla morale (opinabile) e non al diritto positivo.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
11 febbraio 2022

LA GIUSTIZIA NON ESISTEultima modifica: 2022-02-13T11:10:39+01:00da gianni.pardo
Reposta per primo quest’articolo