IL RINCARO DELLE BOLLETTE

Il rincaro delle bollette dell’elettricità e del gas è una notizia più importante di quel che si creda. L’effetto sulle finanze del Paese si è già visto in concreto: è aumentato il costo della vita, ha ripreso slancio l’inflazione e molte imprese “energivore” (come quelle del vetro e della ceramica) parlano seriamente di chiudere i battenti. Malgrado i soccorsi dello Stato. Questi dati ne fanno la notizia del giorno, e non si capisce perché la gente non se ne occupa di più, invece di continuare a parlare eternamente di una pandemia che uccide solo coloro che sono disposti a morire per un pregiudizio, e di un Presidente di cui ai singoli cittadini importa poco o nulla. Tanto, per quanto riguarda il Primo Cittadino, alla fine i corazzieri gli faranno il saluto solenne, chiunque sia, anche un imbecille o un ipocrita. E non faccio nomi per carità di patria.
Il rincaro delle bollette significa alcune cose. In primo luogo che per l’energia noi dipendiamo da altri. Se costoro, per qualsivoglia ragione, aumentano i prezzi, a noi non rimane che pagarli. Se – per esempio – ci rifiutassimo di pagare il gas al nuovo prezzo, e ci fossero sospensioni del servizio nel Paese, in pieno inverno, cioè quando il riscaldamento è necessario, a che livello salirebbe la protesta della popolazione?
Questa situazione ci pone due domande: perché l’Italia non è autosufficiente dal punto di vista energetico? E perché non approfitta dell’occasione per passare una buona volta alle energie rinnovabili, facendo un palmo di naso ai produttori di gas e carbone?
L’Italia non è autosufficiente dal punto di vista energetico perché non ha risorse nel campo delle cosiddette energie “fossili”, cioè petrolio, gas o carbone. La stessa energia idroelettrica non soltanto contribuisce con una piccola percentuale al fabbisogno del Paese, ma viene già sfruttata al massimo. In secondo luogo, l’Italia si è rifiutata di sfruttare quelle poche che potrebbe avere, per esempio gas dall’Adriatico con le trivellazioni in mare. E si è rifiutata di avere le centrali nucleari, al punto che ha chiuso le poche che aveva e non ha aperto quella moderna di Montalto di Castro. Dopo di che importa energia elettrica prodotta con l’uranio, dalla Francia, a un tiro di schioppo dalle nostre frontiere. E tenendo presente che i venti prevalenti in Italia sono occidentali.
Noi rimaniamo duri e puri senza la stramaledetta energia atomica e in conclusione siamo volontariamente importatori totali di energia e per essa dipendiamo inesorabilmente dall’estero. Nella nostra miseria energetica abbiamo anche rifiutato l’ultima tecnologia che consente di produrre energia col carbone, senza inquinare molto. I principi morali fondamentali non sono negoziabili e se c’è da pagare di più, che importa? Noi possiamo sempre fare debiti.
E veniamo alla transizione ecologica. Un prezzo è basso se molti possono pagarlo, è alto se lo possono pagare soltanto in pochi. È basso il prezzo delle patate, è alto il prezzo dei gioielli. Ma un prezzo, alto o basso che sia, è competitivo se altri chiedono di più, e non è competitivo se altri chiedono di meno. Se, per ipotesi, l’energia prodotta col gas costasse cento, con l’eolico centoventicinque, e col gas rincarato centocinquanta, sarebbe ovvio che mentre prima l’eolico stentava a decollare perché il gas costava meno, ora che costa di più, dovrebbe partire a razzo. E invece vediamo che non è così. Come mai non si è fatto fronte a questo rincaro con le energie alternative, pulite, non inquinanti, e cui siamo inesorabilmente destinati dalla transizione energetica?
Le ragioni sono più d’una. Il gas rimane conveniente (oltre che senza alternative) anche dopo che è aumentato del quaranta, del cinquanta per cento o quello che è. In altri termini, se per miracolo domani potessimo produrre tutta l’energia che ci serve con i mulini a vento e con il fotovoltaico, le bollette aumenterebbero anche più di quanto sono aumentate ora col rincaro del gas.
In secondo luogo, non ci si può affidare esclusivamente a queste fonti di energia, per la semplice ragione che in una notte senza vento non producono elettricità né i mulini a vento né i pannelli fotovoltaici. Ma i frigoriferi continuano a girare, le strade devono essere illuminate, il riscaldamento deve andare avanti, gli ascensori devono essere funzionanti e la vita non si ferma certo. Basti pensare ai treni e agli ospedali. E da dove la tiriamo fuori, in quelle ore, l’energia?
Ma non bisogna mancare di fantasia. Immaginate che abbiamo una tale produzione di energia eolica (praticamente con un mulino ogni cento metri in tutta l’Italia) da potere pompare l’acqua scesa a valle dalla diga al lago artificiale che la precede. Nel momento in cui mancano sole e vento, si potrebbe far scorrere l’acqua pompata per far girare le turbine e produrre elettricità. Ottimo. Si chiama “accumulo di energia”. Ma un simile progetto richiederebbe un investimento tanto colossale che possiamo chiederci dove mai troveremmo tanti soldi. Né siamo sicuri di avere abbastanza dighe, per questo “accumulo”. Né si può dimenticare che ogni produzione di energia ha uno sfrido: quanta energia si perderebbe nel suo trasporto? Quanta energia consumerebbero le pompe e quanta manutenzione richiederebbero per funzionare? Insomma, ancora una volta, se si pensa ad un Paese che va avanti con le energie rinnovabili, si pensa ad un Paese in cui l’energia ha un costo astronomico.
Tutto questo è oggi dimostrato dal fatto che lo Stato ha incentivato l’installazione di pannelli fotovoltaici sulle case (anche sulla mia) pagando la metà della spes. Il finanziamento è stato posto a carico di tutti i cittadini, con un’imposta inclusa nella bolletta elettrica. Anche di quelli che i pannelli fotovoltaici, pure a prezzo dimezzato, non possono permetterseli. Ecco il modo in cui, in nome di un pregiudizio, in Italia si favoriscono i benestanti e se ne fa pagare il prezzo ai poveri.
Ma non è questo il punto. Il punto è: se le energie rinnovabili, benché robustamente incentivate (il 50% del costo, mica bruscolini) non decollano e non sostituiscono i combustibili fossili, non è segno che non sono economicamente competitive? È per questo che, se aumenta il gas, siamo in braghe di tela. Perché non abbiamo alternativa: i produttori di gas ci possono prendere per il collo quando e quanto vogliono.
Né si può molto sperare nella concorrenza internazionale perché, come esiste l’Opec, che a volte riesce ad imporre un prezzo politico del petrolio greggio, ben potrebbe esistere un “cartello del gas” che tenga il prezzo il più alto possibile. Cioè quello oltre il quale il rendimento economico dei produttori comincerebbe a calare. Un prezzo, si badi, non certo in relazione al costo di produzione lo corrispondente all’interesse dei consumatori. Ognuno fa soltanto il proprio interesse. Se uno si crea un padrone, poi non gli rimane che obbedirgli.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
19 gennaio 2022

IL RINCARO DELLE BOLLETTEultima modifica: 2022-01-20T10:27:14+01:00da gianni.pardo
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