PERCHÉ DRAGHI TACE

In un libretto che voleva costituire un’occasione di lettura per chi desiderava imparare l’inglese, c’era un aneddoto indimenticabile. In una zona rinomata per la qualità (e il prezzo) del vino prodotto, la popolazione era divisa fra i ricchi produttori e la povera gente, tanto povera che non poteva permettersi una bottiglia del famoso vino. Così qualcuno in chiesa propose: “Prima di domenica prossima mettiamo una botte in piazza e di notte, nell’anonimato, chiunque voglia donare un po’ di vino da distribuire ai poveri, lo verserà nella botte. Immagino che nessuno oserà tirarsi indietro”. Infatti nessuno si tirò indietro. Di notte, ognuno si presentò col suo contenitore, verso il prezioso liquido nella botte, e si eclissò senza dare nell’occhio. La domenica mattina, in grande pompa, si aprì il rubinetto della botte, e ne sgorgò acqua pura.
L’aneddoto è piuttosto un apologo che un aneddoto. L’ipocrisia – ha scritto La Rochefoucauld – è l’omaggio che il vizio tributa alla virtù. Ma è un omaggio puramente verbale. Se bisogna mettere la mano al portafogli le cose cambiano. E se nessuno controlla l’azione reale, le cose cambiano radicalmente, fino ad arrivare all’acqua pura invece del vino.
Tutto questo vale anche per l’elezione del Presidente della Repubblica. Sul suo nome non ho mai fatto nessuna previsione, talmente diffido del futuro, ma oggi, pensando alla storia della botte in piazza, ho capito perché Mario Draghi non ha sciolto la riserva. E perché ben difficilmente potrebbe essere eletto Presidente della Repubblica.
Se domani tutti i leader politici si mettessero d’accordo sul nome di Mario Draghi, e lo proponessero all’unisono per la carica di Capo dello Stato, chi oserebbe mettersi di traverso? Nessuno, ovviamente. Il consenso sarebbe unanime. Purtroppo, al momento del voto, gli elettori votano dentro il famoso “catafalco” (la cabina chiusa alla vista, in Parlamento) e il voto è segreto. Dunque dobbiamo chiederci non quale Presidente sarebbe meglio eleggere, e neppure su quale candidato i leader politici potrebbero mettersi d’accordo, ma piuttosto quale Presidente conviene ai peones, i parlamentari “semplici”, cioè privi di incarichi speciali. Infatti costoro, cadendo il governo, avrebbero tante probabilità di essere rieletti quanta ne hanno di arrivare primi al Festival di Sanremo.
C’è da credere che ognuno di loro farà questo ragionamento: “Se viene eletto Draghi, bisognerà nominare un nuovo Presidente del Consiglio, dunque un nuovo governo; e bisognerà che i partiti si mettano d’accordo. Ma questa è proprio la cosa che non sono stati capaci di fare dopo la caduta del Conte 2 e che potrebbero non essere capaci di fare nemmeno ora. E se a questo punto si interrompesse la legislatura noi dovremmo andare a casa senza pensione e perdendo quello che avremmo guadagnato dal febbraio 2022 alla primavera del 2023. Dunque se Draghi diviene Presidente il rischio è che la cosa mi costi centinaia di migliaia di euro. E la tranquillità economica fino alla morte. Se invece viene eletto chiunque non sia Draghi, essendo praticamente impossibile che Draghi lasci il governo, è anche praticamente impossibile che siano sciolte le Camere, è che io perda stipendio e pensione. Andate dunque al diavolo: se candidateo Draghi personalmente gli sparerò alle spalle, a pallettoni. Non per disistima dell’uomo – che in questo caso poco importa – ma per legittima difesa economica. E poi, chi può sapere per chi ho votato nel ‘catafalco’? Io comunque dirò che ho votato per Draghi”.
In realtà, a favore di Draghi militano la qualità dell’uomo, la stima internazionale di cui gode, la stabilità delle istituzioni per sette anni, e forse altro. Ma contro proprio l’interesse di chi dovrebbe votarlo. Qualcuno è disposto a scommettere sull’elezione di Draghi? Certo non io.
E questo scioglie anche l’altro interrogativo. Perché il Presidente del Consiglio tace tanto ostinatamente? La risposta potrebbe essere che a Draghi piacerebbe eccome divenire Presidente della Repubblica ma, trattandosi di un uomo dotato di un enorme senso pratico, è il primo a sapere che è meglio non sperarci. Se si candidasse, si candiderebbe ad essere “trombato”; se invece dichiarasse che non si candida (ma forse lo farà) il suo gesto potrebbe sembrare irriguardoso nei confronti della carica, nei confronti di chi sostenesse la sua candidatura, nei confronti dello stesso Paese. I nostri Catoni potrebbero chiedergli come mai non accetta la candidatura quanto meno per spirito di servizio. Come mai osa opporsi alla scelta della Nazione. Col suo silenzio Draghi ottiene, senza compromettersi, che siano gli altri a sgolarsi, e quando magari sarà eletto qualcun altro, nessuno potrà dire che lui sia stato stato sconfitto. Si potrà anzi dire che, per sensibilità democratica, si è volontariamente tenuto fuori dai giochi, per non influenzare in nessun modo i rappresentanti del popolo. Come se qualcuno potesse influenzarli. Diceva Giovannino Guareschi: “Nel segreto dell’urna Dio ti vede, Stalin no”. Basta sostituire alla parola “urna” la parola “catafalco”.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
25 novembre 2021

PERCHÉ DRAGHI TACEultima modifica: 2021-11-26T08:57:41+01:00da gianni.pardo
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3 pensieri su “PERCHÉ DRAGHI TACE

  1. Qui da noi solo i sette ministri (sette di numero!), i cosiddetti consiglieri federali che formano il governo, il cosiddetto Consiglio federale, hanno diritto a una pensione anche dopo un paio d’anni. Il democristiano Egli si ritirò dopo due anni per malattia, ma rinunciò alla pensione (che fesso diranno gli italiani). Anche il liberale Friedrich rinunciò alla pensione (si vede che avevano del loro, diranno gli italiani, due riccastri). La pensione è pari alla metà dello stipendio di ministro (circa 450’000 franchi). Se però gli ex ministri esercitano dopo una professione la pensione verrà decurtata dell’importo eccedente lo stipendio di ministro. Sembra che un ex ministro guadagni in tutto più di un milione di franchi, compresa la pensione. In questo caso la pensione non gli verrà corrisposta.

  2. Ma com’è possibile che un deputato maturi una pensione dopo miseri cinque anni di non proprio usurante lavoro in parlamento? I parlamentari elvetici se non sono rieletti se ne tornano al proprio lavoro (se ne hanno uno: alcuni giovani trombati hanno serie difficoltà tanto che lo Stato elargisce loro un modesto obolo per un paio d’anni).
    Forse può interessare: il parlamento elevetico è di milizia, i deputati svizzeri sono a mezzo servizio e continuano ad esercitare le rispettive professioni. Si riuniscono quattro volte all’anno per tre settimane per dibattere e votare leggi. Comunque per questo modesto impiego (dodici settimane di lavoro parlamentare) incassano circa 150’000 franchi svizzeri, mica male. I tre deputati di estrema sinistra senza mestiere, ma con una laurea in storia e filosofia o politologia, si leccano i baffi.

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