MERAVIGLIARSI

Meravigliarsi significa “Non me l’aspettavo”; non meravigliarsi significa: “È proprio come lo conoscevo”. Naturalmente si potrebbe pensare che non meravigliarsi significhi saperla lunga, avere molta esperienza, essere navigati. Mentre meravigliarsi corrisponderebbe ad essere disorientati. Ma è proprio così?
Ecco un esempio banale: ci sfugge un piatto di mano, cade a terra e si rompe. A questo punto ci potremo rimproverare di essere maldestri o ci potremo meravigliare che quella stoviglia fosse tanto più scivolosa di quanto avevamo previsto; e tuttavia la cosa più stupefacente, se provenissimo dalla quarta dimensione, dal Paradiso o da un Universo differente (ammesso che possa esistere) è il fatto che il piatto si sia precipitato verso il pavimento a tale velocità da rompersi nell’urto.
La cosa più stupefacente, in sé e per sé, è la forza di gravità. Oggi si parla di onde gravitazionali, ma non è che sia chiaro che cosa siano e come operino. Comunque, nessuna persona di normale cultura saprebbe dire che cos’è la forza di gravità né perché un astronauta pesi tanto di meno sulla Luna.
A proposito: per la maggior parte della gente, la Luna vola sopra la Terra come un uccello, un aeroplano, una nuvola. Invece il paragone più esatto sarebbe come un aquilone, perché la tratteniamo con un filo invisibile chiamato attrazione dei corpi. Lo stesso filo che ha tirato giù il piatto.
In questo senso può dirsi che meravigliarsi dimostra maggiore informazione del non meravigliarsi. Chi trova naturale che la Luna non ci cada sulla testa, perché “Non l’ha mai fatto fino ad ora”, non soltanto non scoprirebbe mai la gravitazione universale (cosa che ha fatto Isaac Newton) ma, procedendo con lo stesso metro, se nascesse in un Paese islamico, troverebbe naturale che le donne siano oppresse, e innaturale pretendere che siano esseri umani come noi uomini. Se il criterio principe fosse l’abitudine, sarebbe giusto meravigliarsi di questa possibile uguaglianza e comportarsi come i Taliban dell’Afghanistan.
Un altro esempio. Noi guardiamo i cani, i gatti, i cavalli, le tartarughe, e non ci meravigliamo che camminino su quattro zampe. Perfino le scimmie, che si dice abbiano quattro mani, le usano tutte e quattro per muoversi, anche se il loro modo di camminare si chiama brachiazione. E viceversa non ci meravigliamo che l’uomo cammini su due. Se guardassimo la cosa con occhi nuovi, dovremmo chiederci: com’è possibile che questo primate arrivi con due piedi per terra e le braccia penzoloni? Come può esistere una bestia che ha due arti perfettamente efficienti e non li usa? E perché sta ritto, quando la colonna vertebrale è normale che sia orizzontale, come ci insegnano il diffusissimo mal di schiena e i guai che le donne hanno col parto? Non è un problema dappoco.
È stato necessario che ci fossero persone straordinariamente capaci di pensare uscendo dagli schemi, perché si provasse (con la paleontologia) a ritrovare quegli “anelli mancanti” fra l’uomo e la scimmia che erano stati ipotizzati nell’Ottocento. Ipotizzati, naturalmente, con grande scandalo di coloro che si meravigliavano dell’insolito (la semplice idea che, come si diceva allora, “l’uomo discenda dalla scimmia) e non vedevano quanto stupefacente fosse il solito: la stazione eretta. Soltanto mettendo insieme l’abilità di alcune scimmie nel servirsi delle mani associato all’uso di strumenti (lo stecco per catturare termiti e larve, la pietra per rompere le grandi noci, l’acqua per lavare e insaporire col sale del mare le patate, e via dicendo) si è potuti arrivare a concepire che la scimmia antenata dell’uomo si sia particolarmente specializzata nell’uso di strumenti, fino a dedicare due arti a questo scopo. Per farlo, ha dovuto adattarsi all’incerta, lenta, e pericolosa deambulazione sugli arti di dietro. Ma con i vantaggi che conosciamo.
Qualcuno ha anche ipotizzato che la stazione eretta sia stata favorita dal fatto che la ricerca del cibo sugli alberi sia divenuta difficile, e che la scimmia-uomo sia stata obbligata a vivere a terra. In questo ambiente era utile che si alzasse spesso, sugli arti posteriori, per vedere al di sopra dell’erba alta se c’erano in giro predatori. Allungando questi arti posteriori, delegati alla deambulazione e alla possibilità di avvistamento, fino a renderli più lunghi delle braccia (l’opposto delle scimmie), adattando la colonna vertebrale alla nuova situazione, allargando a dismisura l’area del cervello dedicata a manovrare le mani, e insomma creando questa bestia di cui val la pena di meravigliarsi, chiamata uomo. Ma delle caratteristiche dell’uomo si è meravigliato soltanto un gruppetto di scienziati, mentre non se ne sono affatto meravigliati miliardi e miliardi di esseri umani.
La capacità di meravigliarsi è la capacità di vedere come insolito il solito, e chiedersi come mai è com’è. Una volta Picasso ha detto che ci aveva messo una cinquantina d’anni per imparare a dipingere come un bambino. Nello stesso modo si potrebbe dire che uno dei massimi sforzi che può fare l’uomo per allargare le sue conoscenze è quello di divenire talmente ignorante da stupirsi delle cose più semplici. È partendo da questo stupore che ridarà ai suoi occhi la verginità perduta, e al suo cervello quel motore della conoscenza chiamato curiosità.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
24 novembre 2021

MERAVIGLIARSIultima modifica: 2021-11-25T08:38:26+01:00da gianni.pardo
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