LA LIBIA E LA DEMOCRAZIA

A Parigi è in corso la Conferenza Internazionale per la Libia, con la presenza di molti personaggi importanti. Lo scopo perseguito è quello di favorire le elezioni previste in quel Paese per il 24 dicembre, elezioni che si sperano corrette e trasparenti, per il ritorno (?) ad una compiuta e stabile democrazia.
Che le intenzioni siano buone, non c’è dubbio. Che siano sincere, ce lo si può chiedere, ma che i programmi siano realistici è improbabile. Come tutte le assemblee di questo genere, la Conferenza difficilmente sarà utile a qualcosa. Nella politica internazionale conta la forza; e in un caso come quello libico, la forza conta sia a livello internazionale, sia – purtroppo – a livello interno. Chiunque con essa potrà ottenere un vantaggio non si asterrà dall’esercitarla.
Lo Stato libico non esiste. Immenso sulla carta, in realtà il territorio è costituito da una stretta striscia lungo il Mediterraneo. Tanto lunga che coloro che abitano ad est considerano degli estranei quelli che abitano ad ovest, e ambedue i gruppi considerano degli estranei i membri delle rade tribù del sud. Il Paese assomiglia dunque al Cile: ma il Cile è figlio dell’immigrazione spagnola e dunque è unito, come nazione, mentre la Libia è allo stato colloidale. Per giunta l’attuale governo non ha il controllo del territorio. Soltanto una dittatura forte come quella di Gheddafi ha potuto tenere la regione unita e relativamente pacifica per decenni.
Alcuni anni fa la Francia, non è chiaro per quali interessi, si è intestardita ad eliminare (anche fisicamente) Gheddafi ed ha così commesso uno dei peggiori (ed anche disonorevoli) errori della sua storia. Lo prova il fatto che, ad anni dal suo intervento, la Libia sta peggio di prima e i francesi sono stati praticamente scalzati dai turchi e dai russi. Un totale fallimento.
Ma questo caso induce a porsi un problema: che cosa è necessario, perché un Paese sia democratico?
Tutti pensano in primo luogo ad istituzioni come un Parlamento, un governo che può essere sfiduciato e via dicendo. In realtà tutto ciò è la conseguenza, non la causa della democrazia. Questa è soltanto figlia della convinzione generale che la maggioranza abbia il diritto di prevalere. Con la democrazia si rinuncia alla legge del più forte oppure, se la vogliamo mettere così, si conferma la legge del più forte ma stabilendo che il più forte sia e debba essere la maggioranza.
Questa convinzione – quando viene condivisa dall’intera nazione – si manifesta anche in casi triviali. Casi ai quali nessuno penserebbe di applicare le auguste riflessioni di Tocqueville: per esempio una riunione di condominio. Di solito in tali assemblee ci si accapiglia di brutto, in un’esplosione di ignoranza, rancori, pretese assurde, insulti e minacce di azioni legali, ma non viene mai in mente a nessuno di tirare fuori una pistola e dire: “Si fa così perché lo dico io”.
Ciò significa che la spina dorsale della democrazia è l’universale convinzione che i conflitti vanno risolti in base alla volontà della maggioranza, non in base a chi è capace di mettere in campo una maggiore forza (muscolare o armata). In Italia, pur essendo molto scontenti della situazione politica, nessuno pensa di conferire tutto il potere ad “un uomo forte” (se possibile a capo delle forze armate) che imponga la sua volontà al Paese, “nell’interesse di tutti”. Perché purtroppo, quando ciò avviene, nessuno garantisce che quell’uomo se ne torni a casa, se il popolo lo considera nocivo. Si chiama dittatura.
Questo spiega perché alcuni grandi Paesi rimangano democratici malgrado la storia gli imponga tremendi scossoni. Si pensi al modo come la Francia è passata dalla Quarta alla Quinta Repubblica. Si pensi perfino, per quanto possa sembrare paradossale, alla Spagna. Qui, dopo una tremenda guerra civile, prima di morire il dittatore che l’ha dominata per decenni si è preoccupato del suo passaggio alla democrazia. E la Spagna, che sarebbe potuta divenire una dittatura a tempo indeterminato, è divenuta una perfetta democrazia.
Al contrario, la maggior parte degli Stati dell’Africa e del Medio Oriente, pur passando attraverso ogni sorta di vicende storiche, e pur cambiando “uomini forti”, non passano mai ad una democrazia compiuta. E ciò significa che la democrazia non è nella loro mentalità. La loro convinzione di base non è che “comanda la maggioranza”, ma che “comanda il più forte”. Per contenere al minimo gli svantaggi ciascuno spera che comandi il “suo” uomo forte e per questo lo sostiene.
È stupido voler regalare la democrazia ai popoli. Un errore che hanno più volte commesso gli americani. Ogni popolo finisce con l’avere il tipo di governo che per esso rappresenta l’“equilibrio stabile”, mentre ogni altra forma di regime rappresenta l’“equilibrio instabile”. L’Italia, in questo senso, è esemplare. Tutti disprezzano coralmente il governo e lo Stato e tuttavia, da quasi ottant’anni, nessuno pensa di passare dalla democrazia alla dittatura. Addirittura – l’abbiamo visto con Bettino Craxi – si è arrivati a fare della parola “decisionismo” un concetto negativo. E questo in un Paese in cui i mali sembrano inguaribili e le riforme irrealizzabili.
Noi siamo sinceramente democratici. Purtroppo ci serviamo della democrazia per farci governare male.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
13 novembre 2021

LA LIBIA E LA DEMOCRAZIAultima modifica: 2021-11-14T09:49:02+01:00da gianni.pardo
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