IL XXI SECOLO FUTURO

Sul “Sole 24Ore” leggiamo un articolo di Giuseppe Lupo che ha questo titolo, esattamente riassuntivo: “Perché il Novecento va in archivio proprio ora”. L’articolista cita dovutamente e diffusamente il famoso saggio di Eric J.Hobsbawm, “Il Secolo Breve”, del 1994, secondo il quale il XX Secolo, invece di durare cento anni, sarebbe durato dal 1917 (io avrei detto dal 1914) all’implosione dell’Unione Sovietica, nel 1989. Ma poi si accorge che da quella data, che tutti considerammo una cesura epocale, fino al presente, non è successo niente – dal punto di vista sociale e culturale – che possa farci dire che siamo usciti dal XX Secolo, a parte la pandemia. E secondo Lupo potrebbe essere questo il momento che conclude quel secolo.
Per dire che non sono d’accordo dovrei lungamente citare un mio articolo del marzo di quest’anno, e dunque – per brevità – lo riporto qui per intero. Infatti dopo mi basterà aggiungere una postilla.

COME SI ANNUNCIA QUESTO SECOLO
Illudersi è un pessimo affare, sforzarsi di non farsi illusioni un perenne dovere, ma non avere neanche l’occasione di sforzarsi per non farsi illusioni, confina con la disperazione.
Ho sempre avuto una pessima opinione del XX Secolo (in materia di arte e pensiero) ma, mentre prima per esso si parlò di “Secolo Breve” (dal 1914 al 1989), ora penso che stiamo passando al “Secolo Lungo” (dal 1914 al 2021, salvo proroghe). Perché non è che da 1989 si siano risvegliate le arti e la letteratura. La musica – quella vera – dorme dai primi del Novecento e, salvo la spazzatura costituita dalle canzonette, siamo tutti archeologi. Perfino il jazz è morto. Nemmeno il cinema ha dato capolavori. Quando leggo la vita dei grandi dell’Ottocento ho la sensazione che, andando in giro, potevano incontrare dei geni ad ogni angolo di strada. Oggi ci godiamo i frutti della loro intelligenza e della loro capacità creativa, ma in un deserto filisteo e tecnologico. Di gente viva, in materia di letteratura, a Stoccolma ci hanno proposto prima Dario Fo e poi Bob Dylan. Alleluia.
Non basta. Ringraziamo il cielo per la pace che la lezione della Seconda Guerra Mondiale ci ha offerto, ma ciò non impedisce che il mondo sia come paralizzato. Che la sorte ci preservi questa pace, ma nulla può impedirci di annoiarci. E probabilmente noi vecchi ci annoiamo più di tutti. Perché le fiction ci sembra di averle già viste, anche se sono nuovissime. Personalmente non entro in un cinema da mezzo secolo e la maggior parte dei film che ci presenta la televisione li lascio a metà. O non comincio neppure a vederli.
Avrò pure la puzza sotto il naso, ma chi può negare che tanta parte della moderna produzione artistica è costituita da rimasticature? Propongono Shakespeare in abiti moderni. Cambiano nei modi più fantasiosi le messe in scena delle grandi opere liriche (sempre quelle). Riprendono tutti i drammaturghi del passato, in un eterno, stucchevole revival. Revival è una parole che fa pensare ad una nuova vita ma a me tutto ciò sembra tutt’altro che una resurrezione.
Dicono che a suo tempo la rappresentazione di Cyrano de Bergerac fu accolta con autentico entusiasmo, in Francia, perché gli spettatori speravano che essa annunciasse una nuova stagione di grande teatro. E invece era il canto del cigno. Di nuovo e di “grande”, da allora, non c’è nemmeno il brutto, perché sono decenni e decenni che si producono cose brutte. È come se l’ispirazione si fosse inaridita in tutte le direzioni. Così gli artisti sono ridotti a cercare non il bello ma il “sorprendente”; il “diverso” anche se orrendo; l’assurdo, come il silenzio venduto come musica.
Il Settecento viene chiamato il Secolo dei Lumi, se continua così il nostro sarà chiamato il secolo della noia. Noia nell’arte, noia in politica, noia nella conversazione, noia di vivere.
Gianni Pardo giannipardo1@gmail.com
1 aprile 2021

Lupo, come detto, prova a prolungare il Ventesimo Secolo (che, secondo lui, ridiviene di cento anni) fino all’attuale pandemia, che rappresenterebbe dunque un punto di svolta, dal quale potrebbe partire realmente il Ventunesimo Secolo. A mio parere, se si prendono in considerazione tutti gli argomenti brevemente citati nella mia nota, si vede facilmente come la pandemia non possa essere in nessun modo comparata ad essi, fino a costituire chissà quale pietra miliare. Se il vaccino sconfiggerà questa enorme seccatura (ché tale è stata per chi ha avuto il tempo di vaccinarsi e non è morto prima) fra qualche anno non ci penseremo più. Non ne conserveremo nemmeno l’imperitura memoria di cui fruisce la “Spagnola”, proprio perché incomparabile è il numero dei morti. Stavolta la scienza ci ha salvati, allora non fu in grado di farlo. Dunque non attribuirei affatto alla pandemia tutta questa importanza. Non parliamo d’altro, da due anni, perché nient’altro d’importante ci succede.
E allora, “Quando comincerà il Ventunesimo Secolo?” La domanda è sbagliata. Quella giusta è: “Quando è cominciato il Ventunesimo Secolo?” Intendo che la risposta la daremo soltanto quando quell’inizio lo riconosceremo nel passato, non nel presente o nel futuro.
A volte un avvenimento presente ci fa pensare che sta cominciando un altro periodo storico, e poi – con la giusta prospettiva – ci accorgiamo che non è cambiato niente o, più precisamente, si è proseguita una storia che era cominciata prima. Prendiamo l’attentato alle Torri Gemelle. Sul momento – dato che si era nel 2001, cioè esattamente nel primo anno del XXI Secolo – in molti abbiamo pensato che forse quell’avvenimento marcava effettivamente l’inizio di un nuovo secolo. In seguito abbiamo visto che era soltanto la prosecuzione delle spettacolari dimostrazioni dell’odio islamico nei confronti dell’Occidente. Dimostrazioni che erano cominciate con gli attentati palestinesi contro gli israeliani (e ci siamo voltati dall’altra parte) che sono proseguite un po’ dappertutto e che non sono terminate nemmeno con la guerra in Afghanistan. Tanto che fanno parte del presente, nel senso che non ci meraviglieremmo se domani o dopodomani ci fossero ancora altri attentati. L’invasione dell’Afghanistan non ha cambiato nulla e perfino la ritirata dall’Afghanistan non ha cambiato nulla.
L‘avvenimento che cambia il senso e il sapore di un secolo lo si riconosce a cose fatte, guardando al passato. Sul momento non possiamo saperlo. Come nessuno poteva sapere, sul momento, le conseguenze delle rivoltellate di Gavrilo Princip.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
30 ottobre 2021

IL XXI SECOLO FUTUROultima modifica: 2021-10-30T11:44:30+02:00da gianni.pardo
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4 pensieri su “IL XXI SECOLO FUTURO

  1. ” È questo un tempo caratterizzato da una particolare aridità creativa in campo intellettuale e artistico, mentre è’ particolarmente fecondo in campo scientifico e tecnologico.”
    Semplice correlazione o causa del declino artistico ? La tecnologia ha cambiato profondamente le nostre abitudini di vita, l’impiego del nostro tempo e i nostri interessi. Un processo che ha ridotto sempre più le condizioni di contesto favorevoli alle attività artistiche e intellettuali. Tutto si paga.

  2. Sono perfettamente d’accordo. Anche se dubito che questo, un giorno, possa essere giudicato “periodo della stasi”. Per la semplice ragione che, per poter dire questo, si dovrebbe passare ad un periodo do “non stasi”, di attivita’. E qui stiamo parlando piu’ di tutto del campo artistico.
    Ora, per cosi’ dire, le note sono soltanto sette, e per quanto si possa cercare di girarle e rigirarle, credo che in musica (e parlo di vera musica, quella classica), ormai si sia detto tutto il possibile. E cosi’ per l’arte, dove si e’ passati per tutte le possibili strade, e ormai non c’e’ piu’ nulla di innovativo.
    Senza considerare, poi, che l’intelligenza umana ormai va decrescendo, e cio’ e’ provato da innumerevoli studi sulla diminuzione dell’ IQ globale medio. Ormai non si legge piu’, non si fa di calcolo, non c’e’ piu’ bisogno di “ingegnarsi”. Ci sono le macchine a farlo per noi. Non si inventa quasi piu’ nulla. e’ quasi tutto sviluppo tecnologico. Da cosa nasce cosa, e i “lampi di intelligenza” sono spariti.

    Gianni, lei credeva di essere pessimista. Ma io credo di poterla battere.

  3. Domande molto ragionevoli. Certo saremmo molto stupidi se credessimo che un numero arbitrario di anni – e 100 è un numero arbitrario come qualunque altro, incluso il quadrato di 12 – debba per forza avere una sua unità di valori, di risultati, o perfino di pene e di decadenza. Ed anzi, se ci fa caso, lo stesso Hobsbawm ci dice che non c’è da prendere sul serio quel numero – 100 – se è vero che, sin dal titolo del suo saggio, egli reputa possibile che un secolo si più lungo o più breve di cento anni.
    Dunque più che una sciocca mania di battezzare i secoli, si tratta qui di orientarsi nella giungla della storia, e stabilire qualche punto fermo, qualche trucco mnemonico senza pretese, ogni volta che se ne presenti l’opportunità. Anche per semplificare l’espressione di un pensiero. Se, ogni volta che volessi indicare un certo complesso di idee, dovessi esporre sia pure sommariamente il progresso intellettuale che si ebbe nella Parigi del Settecento, ogni mio scritto ne sarebbe grandemente appesantito, per quella parte. Se invece io dico “l’Illuminismo”, oppure “Il Settecento francese”, oppure (appunto) “Il secolo dei Lumi”, tutti mi capiscono, e posso andare avanti.
    Naturalmente ci sono dei secoli, o dei periodi, in cui la storia si presta a questi riassunti (l’Atene del Quinto Secolo, per esempio) ed altri che ad essi non si prestano. Se dico “L’Alto Medio Evo” non sto parlando di un singolo secolo ma di alcuni secoli. Viceversa se parlo di fascismo non parlo di un secolo, ma di un ventennio o poco più, quanto meno in Italia, che di questo movimento possiede il copyright.
    Concludo parlando del tempo che ha seguito la Seconda Guerra Mondiale. È questo un tempo caratterizzato da una particolare aridità creativa in campo intellettuale e artistico, mentre è’ particolarmente fecondo in campo scientifico e tecnologico. Chissà che un giorno una qualche denominazione non riuscirà a sintetizzare questi dati, riassumendoli e rendendoli “citabili” senza molto giri di parole.
    E non sarebbe risultato dappoco. Io non mi stanco di ripetere che questi settanta e passa anni sono stati di una povertà affliggente, e ogni volta qualcuno insorge citando qualche nome di sua preferenza, per dimostrarmi che mi sbaglio. Ma proprio il fatto che ciascuno di loro citi nomi diversi da quelli citati dagli altri dimostra che ho ragione. Mancano i giganti. Se in futuro, per ipotesi, questo fosse chiamato “Il periodo della grande stasi”, ciò che io sostengo sarebbe diventato luogo comune, e il giudizio negativo su tutti questi decenni sarebbe divenuto un’ovvietà. Ciò che oggi non è.

  4. Scusi Gianni, ma io qui mi perdo. Che senso ha cercare di giudicare ogni secolo come se fosse un’entita’ a se’ stante? Che differenza c’era tra il VII e l’VIII secolo?
    Ma poi tutto sommato, che cos’e’ un secolo? Una durata di 100 anni (cento rivoluzioni intorno al sole) a partire da una certa data fittizia, la nascita di Cristo, il quale non si sa neppure se abbia mai vissuto.
    E perche’ 100 anni? Soltanto perche’ la nostra numerazione e’ in base 10? E se la civilta’ egizia fosse ancora viva e operante, conteremmo su base 12? Dunque forse un secolo sarebbe 144 anni?

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