UNA TORTA DI COMPLEANNO AVVELENATA

Spesso, quando devo rappresentarmi una situazione politica, mi viene in mente un’immagine concreta, che mi serve da canovaccio per ciò che intendo sostenere.
Stavolta l’immagine è quella di un saloon del selvaggio West in cui c’è stata una rissa gigantesca, tanto che la maggior parte dei partecipanti sono a terra, feriti e doloranti. Persino chi si regge in piedi è come se fosse suonato, talmente è stanco e frastornato. La cosa più stupefacente è tuttavia che l’unico che non ha partecipato alla rissa, il pianista (che non poteva rischiare le sue mani), quando si è azzardato a chiedere perché mai ci fosse stata quella battaglia, si è sentito rispondere dai più che non lo sapevano. Non lo ricordavano. Oppure davano risposte contraddittorie. Bisognava soltanto ricominciare a vivere, però neanche sapendo se come prima o diversamente da prima. Il quadro è la sintesi dell’Italia politica di oggi.
L’Italia è uscita dalla guerra con le ossa rotte ma con le idee chiare. La principale – quella che dominava tutte le altre – era la constatazione delle dimensioni della sconfitta. Sembrava quasi impossibile che si potesse risalire la china e tornare ad una situazione di normalità. Politicamente però il Paese era spaccato in due. Metà dei cittadini pensava che l’Italia doveva, in opposizione al fascismo, imitare la Russia e divenire sovietica, senza nemmeno capire che il totalitarismo ha una faccia sola; l’altra metà era convinta che sarebbe stato peggio di cadere dalla padella nella brace e che tutto si poteva mettere in discussione, ma non la democrazia. Di questa Italia sono un esempio io stesso. Irrimediabilmente ostile alla Democrazia Cristiana – un partito ipocrita che invocava i voti anticomunisti per poi allearsi sotterraneamente con loro, e questo con la blasfemia di una croce sullo scudo – ho tuttavia una sola volta votato per la Dc, nel 1976: quando si è temuto che i comunisti potessero prendere il potere.
La democrazia italiana era bloccata. Infatti si parlava di bipartitismo imperfetto, nel senso che l’alternanza al potere non era possibile. Infatti, mentre la Democrazia Cristiana, inl caso di sconfitta, sarebbe passata all’opposizione, dovunque avevano preso il potere i comunisti non l’avevano più lasciato, instaurando la dittatura del partito. Nessuno era lieto di “morire democristiano” (eppure lo si è fatto per quasi mezzo secolo) ma ancor meno si sarebbe stati lieti di “morire comunisti”.
Una situazione drammatica, certo, ma che presentava qualche vantaggio. In qualche caso (come me nel 1976), se non si votava a favore, si votava almeno contro. A favore potevo votare per il Partito Liberale ma, se Annibale era alle porte, ero disposto a votare Dc “turandomi il naso” come aveva scritto Montanelli.
Tutte queste belle certezze sono venute meno con l’implosione dell’Unione Sovietica. Se non si doveva temere l’Armata Rossa che veniva a ristabilire la dittatura comunista (come in Ungheria nel 1956 e in Cecoslovacchia nel 1968) eravamo veramente liberi di votare per chi volevamo. Per così dire persino per i comunisti. Purtroppo, ci mancava la motivazione. Il comunismo aveva evidentemente fallito, e i suoi guasti ormai erano innegabili anche per i “fedeli”. Il liberalismo non aveva appeal, per le folle; Forza Italia era il meno peggio, ma certo non scaldava i cuori. Andava bene per fermare la “gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto, ma poi? Soprattutto mentre la sinistra e la magistratura sparavano a palle incatenate contro Berlusconi, fino a farne un mostro?
L’Italia disinformata e irrealista aveva (ed ha) il cuore a sinistra, ma i risultati non venivano, né dalla sinistra né dalla destra. Fino al marasma totale dei Cinque Stelle e susseguente commissariamento. Abbiamo un “dittatore”, Draghi, e dobbiamo tenercelo stretto, perché l’alternativa è certo peggiore. Del resto lo stesso interessato, che nessuno ha mai visto fremere per il desiderio di divenire sottosegretario o ministro, intende questa dittatura nel senso precisamente romano: “a tempo”. E infatti gli italiani non intravvedono per lui un futuro da tiranno, ma da Presidente del Consiglio, da Presidente della Repubblica, o da pensionato, se per caso dovesse stancarsi di avere a che fare con noi.
Ma qual è il significato di tutto questo per la politica? Altra immagine: il parroco è stanco di vedere i ragazzini che si accapigliano e si picchiano, invece di giocare, così è sceso dalla canonica e s’è ripreso il pallone. Lo vediamo nelle percentuali dell’astensione. E ci sarebbe da esserne contenti, se il tempo di Draghi fosse un ventennio, ma sappiamo tutti che non è così. Non solo Draghi non ci sarà per sempre, ma non ci saranno nemmeno i fondi in prestito da Bruxelles o dalla Banca Centrale Europea. E come ce la caveremo quando il parroco ci griderà dalla finestra che non siamo più ragazzini, che siamo maggiorenni, e che il pallone ce lo dobbiamo comprare a nostre spese?
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
20 ottobre 2021

UNA TORTA DI COMPLEANNO AVVELENATAultima modifica: 2021-10-20T13:42:43+02:00da gianni.pardo
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