IL VUOTO ATTUALE

Forse è proprio vero che un grande scrittore scrive sempre lo stesso libro. Prendete Milan Kundera. Ha scritto parecchi libri ma tutti ruotano intorno a questo schema: il singolo nasce e vive sconfitto, e per giunta (alla Alfred de Vigny) è tanto più maltrattato dal destino e dal prossimo quanto più meriterebbe di essere apprezzato.
Ed ora si pensi a quanto questo mondo è lontano da quello di Hemingway. Ernest vede sempre l’individuo come un gigante che si fa largo nell’esistenza spada alla mano. Soltanto da anziano (“Il vecchio e il mare”) il suo protagonista diviene meno spavaldo, ma non per questo meno combattivo e coraggioso. Il pescatore perde nella sua lotta contro il pesce, ma non si arrende fino all’ultimo. Ettore non è meno eroe di Achille soltanto perché sconfitto.
Questo fenomeno si riproduce in piccolo anche nella pubblicistica. Quando si apprestano a leggerlo, coloro che leggono gli articoli di Marco Travaglio (non faccio parte del gruppo) sanno che cosa attendersi. Perché Travaglio scrive sempre lo stesso articolo di disprezzo e di odio, cambiando soltanto il destinatario delle sue frecce avvelenate. Quando lo cambia. Spesso invece è un chiodo fisso. È un torto? No. Non è che Travaglio voglia essere com’è, è nato così. Se non scrivesse sempre quello stesso articolo si falsificherebbe.
Il risultato è che alla lunga la quantità di “novità”, di “cose degne di essere scritte e lette”, diminuisce drammaticamente. Soprattutto in un interminabile (e benedetto) periodo di pace come quello che l’Europa vive da quasi ottant’anni. L’Italia agonizza politicamente ed economicamente da tanti di quegli anni, e l’abbiamo detto tante volte, che ci siamo stancati di parlarne.
Ovviamente i grandi editorialisti, quelli che vivono della loro penna, sono costretti a scriverne ancora e ancora, ma noi non siamo costretti a leggerli. E per quanto riguarda il futuro, su cui tanto essi riflettono, possiamo cavarcela da soli. Per dire “potrebbe succedere questo”, “potrebbe succedere quello”, non è necessario abbeverarsi alle migliori menti del Paese.
La lettura dei giornali è divenuta talmente noiosa che alla fine ci si rassegna a guardare l’ennesimo documentario sui leoni. Il 20 di settembre Sabino Cassese, una delle migliori menti dell’Italia, ci parlava della deliquescenza, dello sfarinamento, dell’inconsistenza e quasi dell’inesistenza dei partiti politici. Parole preziose. Ma forse che non lo sapevamo già? In fondo – sia lui sia noi che la pensiamo come lui – non facciamo che “riscrivere lo stesso articolo”.
La decadenza generalizzata della società contemporanea è un luogo comune che non val la pena di ripetere. La politica è un disastro, ma va forse meglio la giustizia? Va forse meglio la Scuola? Va forse meglio l’Università? In televisione gli errori di italiano non si contano più, al punto che sta cambiando la lingua: “piuttosto che”, invece di significare “al contrario di”, ormai significa “come anche”. E non c’è modo di frenare la slavina, tanto forte e incontrastabile è il fascino dell’errore. Fra l’altro conosciamo la causa della sua persistenza. La gente non legge. Sente quello che dicono gli altri e, se gli altri sbagliano, sbaglia con loro. Perché non ha il contraltare delle buone letture.
A questo punto uno si chiede: se fossi Sabino Cassese avrei scritto questo articolo? Vale ancora la pena di parlare di un Movimento come quello delle Cinque Stelle? Di un Parlamento come il nostro? Soprattutto nel momento in cui nessuno conta nulla, salvo Mario Draghi?
Oggi siamo sotto la “Dittatura del Buon Senso” (quella che esercitò Pericle, anche se sopravvalutato, e dopo di lui Augusto) e dobbiamo per giunta sperare che duri. Perché potrebbe andare anche peggio.
Ma già, io stesso sto scrivendo lo stesso articolo.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
20 settembre 2021

IL VUOTO ATTUALEultima modifica: 2021-10-03T08:41:14+02:00da gianni.pardo
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