GREEN DEAL

Green Deal, transizione ecologica, economia sostenibile, fonti rinnovabili, decarbonizzazione. Ci sono dei termini che ci girano intorno come mosconi o vespe, senza che riusciamo a difendercene. E, quel ch’è peggio, a capirli.
Partiamo da zero, cioè dal sogno. Immaginiamo un mondo in cui alcune centrali producano energia elettrica a volontà, senza un filo di fumo e senza il minimo inquinamento. Già soltanto questo cambierebbe il mondo. Non soltanto l’elettricità è la forma più nobile di energia, ma opera immediatamente, è adatta tanto a far funzionare minuscoli apparati come quelli per migliorare l’udito dei vecchi o giganteschi treni merci lunghi centinaia di metri. Può dare indifferentemente forza motrice, luce, calore e perfino acqua potabile, dissalando il mare. Se poi veramente fosse a costo praticamente zero, con l’acqua di mare dissalata si potrebbe mettere a coltivazione anche il deserto. Infine permetterebbe di risparmiare i preziosi idrocarburi – oggi assurdamente bruciati – e utilizzarli per le produzioni industriali, come la plastica e gli altri infiniti prodotti a base di petrolio. Sto parlando di un miracolo. Purtroppo, come i miracoli, è inverosimile.
Il mondo sognato dai verdi è altamente desiderabile. La discussione non è sul suo valore ma sulla sua fattibilità.
Per cominciare, segnalo una riprova elementare delle troppe illusioni che circolano su questo argomento. In questi giorni ci vengono annunciati rincari a due cifre della luce e del gas, e se non si arriva al previsto 40% non è perché l’allarme fosse infondato ed eccessivo, ma perché lo Stato corre a ripianare una parte del debito. E proprio questo è il punto: nel momento in cui si parla di rincari del 40%, quale occasione migliore per ricorrere alle energie alternative? Come mai nessuno propone questa brillante soluzione? La ragione è semplice: quelle energie o non esistono o economicamente non sono tali da potere competere con le fonti tradizionali nemmeno con un bonus del 40%!
Naturalmente i fanatici dell’ecologia obietteranno che, se ci avessimo pensato prima, potremmo già oggi avere sufficienti impianti per fare a meno delle energie tradizionali. Io personalmente non ci credo, ma la domanda è un’altra: quanto sarebbero costate queste pale eoliche e questi pannelli fotovoltaici? È vero che in passato avremmo potuto creare maggiori risorse da energie rinnovabili, ma appunto, perché non le abbiamo create? Semplicemente perché il saldo non sarebbe stato attivo. Cioè si spendeva più di quanto si otteneva. E infatti, se si fosse ottenuto più di quanto si spendeva, che cosa avrebbe frenato lo Stato e gli stessi privati?
Ricordiamo che l’idroelettrico è di fatto integralmente già sfruttato, da decenni, sicché è illusorio sperare incrementi da quella parte. E tolto l’idroelettrico il resto delle energie alternative è rimasto una costosa quantité négligeable.
Dunque attualmente, e per chissà quanto altro tempo ancora, la transizione ecologia è un’operazione che, in vista di un vantaggio futuro (e incerto), richiede un notevole esborso attuale. Ciò significa, traducendolo in numeri, che se ci intestardiamo a passare al “verde” in tutti i campi, dobbiamo mettere in conto un notevole impoverimento del Paese, dal momento che – come sopra dimostrato – per moltissimo tempo si spenderebbe più di quanto si incassa.
Ecco perché mi viene da sorridere quando gli imberbi (ma stavo per scrivere imbecilli) si entusiasmano a parlare di transizione ecologia come se si trattasse soltanto di entrare o non entrare nell’Eden. Accanto a quell’ingresso c’è il botteghino in cui acquistare il biglietto, ed è attualmente un biglietto il cui costo fa atterrire anche il ministro Cingolani. Fra l’altro ricordiamo che gli “ecologisti” sono anche contrari al nucleare, e che durante una notte buia e senza vento non c’è alcuna produzione di energie rinnovabili. E tuttavia la vita deve andare avanti, no?
Né mi consola sapere che le spese per la “transizione ecologica” saranno affrontate con i prestiti dell’Unione Europea. Prestiti significa che quei soldi vanno restituiti. E come? Le pale eoliche produrranno tanta energia non soltanto da alimentare il Paese, ma da venderla all’estero e cominciare a ripagare i debiti? Alzi la mano chi ci crede e poi esca dall’aula, in modo da diminuire la media della stupidità.
La sintesi è semplice: o si rinuncerà a questa famosa “transizione ecologica” o costerà tante lacrime e tanto sangue che non mi sento di augurarla a nessuno. Così ho aggiornato un mio vecchio principio. Prima scrivevo: “Ricordatevi che, per quanti mali possano soffrire gli italiani, non ce ne sarà uno che non avranno meritato”. Ora, con l’aggiornamento, non si parlerà più di italiani, ma di “cittadini dei Paesi sviluppati”. Naturalmente sviluppati economicamente soltanto, che avevate capito?
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
2 ottobre 2021

GREEN DEALultima modifica: 2021-10-02T10:46:31+02:00da gianni.pardo
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6 pensieri su “GREEN DEAL

  1. Corriere della Sera – Ferruccio De Bortoli – 03/10/2021 pg. 1 ed. Nazionale
    Le promesse e la verità del colibrì + !B
    Le eco-transizioni
    L’ immagine più commentata di questi giorni di incontri milanesi sul clima ritrae Greta Thunberg che lancia, al di sopra della mascherina, uno sguardo incredulo al nostro ministro della Transizione ecologica. Anzi, Roberto Cingolani sembra quasi inginocchiarsi davanti alla giovane attivista svedese. La sintesi, a giudicare dai tanti commenti, è una sola: i giovani non credono alle promesse dei governi. E fanno bene. Migliaia di ragazze e ragazzi hanno sfilato per le vie milanesi. Hanno «assediato» i luoghi della conferenza che preparava il vertice (Cop 26) di Glasgow, scandito i loro slogan. Alcuni, insieme a Greta e Vanessa Nakate, hanno partecipato agli incontri ufficiali, portando non solo legittime preoccupazioni, ma anche entusiasmo e ansie ideali. Oltre al sogno (che per ora resta tale) di un mondo che arrivi, a metà secolo, alla neutralità delle emissioni e riesca a contenere l’aumento della temperatura al di sotto di 1,5 gradi. Attivisti e capi di Stato e di governo, ministri, si sono parlati. Ed è già questo un risultato straordinario. In altre epoche, su temi di portata più ideologica e meno apocalittica, il dialogo era inesistente. E lo scontro nelle piazze violento e sanguinoso. Questi giovani sono da ringraziare per il loro impegno. Sono migliori di quelli, più ribelli, delle generazioni dei loro padri e dei loro nonni. Ma non vanno ingannati con promesse sulla tutela dell’ambiente che chi ha responsabilità di governo – e conosce la complessità della transizione energetica – sa di non poter mantenere.

    Come, tanto per fare un esempio, che entro il 2030 si possa fare già a meno dei combustibili fossili. Non è credibile. Petrolio, carbone e gas naturale pesano ancora per 1’80 per cento del fabbisogno energetico e per il 65 per cento nella produzione di energia elettrica. Non è alzando gli obiettivi oltre misura che si riuscirà a raggiungere traguardi ecologici tanto importanti quanto vitali. E nemmeno sottovalutando gli enormi costi di transizione per affrontare i quali comunque l’Unione europea ha stanziato ingenti risorse. L’indispensabile passaggio alle rinnovabili rivoluziona intere filiere produttive (si pensi solo all’auto), crea nuove imprese e ne chiude altre. Ha vincitori e vinti (questi ultimi non si sentiranno martiri di una buona causa). E, soprattutto, colpisce maggiormente i ceti più deboli.

    La transizione è socialmente diseguale. Averne consapevolezza non significa alimentare scetticismo e distacco, né difendere acriticamente un sistema produttivo non più sostenibile. Tutt’altro. La lotta al riscaldamento climatico ha bisogno di trasparenza e realismo non di slanci utopistici e del conformismo delle buone intenzioni. Alcuni dati devono farci riflettere. In 15 anni nel mondo si sono già investiti nel solare e nell’eolico 3 mila 800 miliardi. Per arrivare a coprire una quota complessiva delle rinnovabili sul totale del 1O per cento. In Italia in 1O anni sono stati erogati sussidi per 130 miliardi, che famiglie e imprese pagano sulle bollette. Il nostro Paese è riuscito, negli ultimi trent’anni, ad abbattere del 19 per cento le emissioni nocive, ma per raggiungere l’obiettivo ( Net zero emission ) del Piano nazionale di ripresa e resilienza – che in Italia chissà perché diamo già per realizzato – dobbiamo aumentare di quattro o cinque volte la velocità di abbattimento e moltiplicare per dieci la potenza delle rinnovabili installate ogni anno. Ce la facciamo? Siamo indietro. Ovvio che, in queste condizioni, protestare perché un impianto deturpa il paesaggio sarà più difficile e contraddittorio rispetto al necessario spirito verde.

    Mentre gli incontri milanesi si susseguivano, tra vertici e cortei, nel mercato dell’energia è accaduto qualcosa di assolutamente inedito e inatteso. Eventi al cui confronto le crisi petrolifere degli anni Settanta (qualcuno ricorderà le peraltro inutili domeniche a piedi) appaiono ridimensionate. Sono esplosi, come non era mai accaduto, i prezzi del gas. Il governo è intervenuto due volte in 3 mesi per complessivi 4,7 miliardi (in parte sottratti alle rinnovabili) per
    attenuare l’impatto sulle bollette dell’elettricità e del gas, comunque aumentate come mai era successo in precedenza. Ha di fatto sussidiato, non poteva fare altrimenti, i combustibili fossili. L’esatto contrario di quello che è stato chiesto a Milano a tutti i governi. Il paradosso è che il carbone, che vorremmo lodevolmente cancellare, è ai massimi delle quotazioni. La «verde» Germania ha impiegato nel primo semestre dell’anno il 40 per cento di carbone in più per produrre elettricità (che alimenta le sue nuove auto a zero emissioni). La Cina ha in progetto 18 centrali a carbone. Pechino è il più grande inquinatore al mondo, ma pro capite lo siamo di più noi europei. Senza l’accordo con i Paesi asiatici la sfida ambientale è persa in partenza. L’Unione europea è responsabile soltanto dell’B per cento delle emissioni.

    Il traguardo della neutralità nel 2050 non è solo ambizioso, è vitale. Senza nuove tecnologie non ce la faremo. Tra queste vi è anche il nucleare di nuova generazione, più sicuro. Ma guai a nominarlo. E non ci si potrà illudere di continuare a vivere «ad alta intensità energetica», senza dover cambiare le nostre abitudini. Un’auto elettrica non salva né il pianeta né la coscienza. Una maggiore educazione civica può fare invece molto, moltissimo. Nel ridurre gli sprechi alimentari, nel riciclare meglio i rifiuti, nell’adeguare gli edifici e regolare la mobilità, nel contenere la nostra impronta ecologica. Noi italiani siamo i primi in Europa per consumo pro capite di acqua (220 litri al giorno). Forse qualcosa in più la possiamo fare. Anche uscendo dall’equivoco che il digitale sia a impatto zero. Ogni mail ha un carbon foot print equivalente a 0,3 grammi di CO 2 . Va moltiplicata per miliardi. E così le foto che teniamo sui telefonini pensando che non abbiano alcuna conseguenza energetica. Qualcuno dirà: va be’ è come il colibrì che spegne l’incendio. Certo, ma fa la sua parte. E non è poco.

  2. Fabrizio, Lei sì è un uomo sensibile. Ha ragione, i media non hanno dato a questo avvenimento l’importanza che aveva. Io sono addirittura corso a comprare le opere di Greta Thunberg (peso tra ottocento chili e una tonnellata) ma mi hanno detto che non hanno ancora avuto il tempo di tradurle in inglese, in francese o quello che sia, sicché o imparo lo svedese o aspetto chissà ancora per quanto tempo. E comunque, nell’attesa, posso fare come Draghi: pur senza ancora aver letto le sue opere, posso inchinarmi dinanzi alla grandezza di questa giovane scienziata e pensatrice. La sua straordinaria competenza traspare da ogni parola che dice.

  3. Voi dite quello che volete, ma io come cittadino della Repubbliva italiana sono stato fiero di vedere il mio Presidente del Consiglio Mario Draghi incontrare una personalità del calibro di Greta Thunberg e poter discorrere con lei da pari a pari. E ancora più fiero nel sentirlo riferire alla stampa che “è andata bene”. Un po’ come Neville Chamberlain nel 1938 dopo Monaco.
    Ho ancora gli occhi lucidi. Altro che i mondiali dell”82 per il nostro orgoglio nazionale

  4. Discutendo di questo argomento con un amico e convenendo tutti e due sui costi proibitivi delle energie alternative mi fu fatto osservare che se dovessimo seguire solo il criterio del costo i telefonini cellulari e la relativa rete, non sarebbero mai nati. Ma questo esempio non mi sembra pertinente per almeno due ragioni. La prima è che il costo sostenuto per la rete è un costo fisso che viene ammortizzato dalle tariffe. Infatti all’inizio erano carissime e in seguito sono crollate con l’aumento esponenziale degli utenti. Per i telefoni cellulari è avvenuto la stessa. La produzione in larga scala di questo prodotto ha consentito di abbattere i costi di produzione. Ma nel caso delle energie alternative non è immaginabile una riduzione del loro costo di erogazione paragonabile a quella dei telefonini. Una maggiore produzione di batterie elettriche potrà portare a una riduzione del loro prezzo, ma non nella misura che si è avuta nella produzione di telefonini perché le componenti il prezzo industriale sono molto diverse. Una riduzione consistente del prezzo delle auto elettriche si avrebbe con batterie almeno il 50% meno costose delle attuali, e soprattutto con una resa molto maggiore. Stessa cosa per i tempi di ricarica. Può darsi che in futuro la tecnologia e nuovi materiali rendano più convenienti sia i pannelli solari che le batterie, ma fino ad allora non si potrà fare a meno degli idrocarburi.

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