IL DECLINO STATUNITENSE

Sul “Corriere della Sera” del 09/09/2021, Antonio Polito si chiede se stiamo assistendo alla caduta dell’impero americano e se l’America sia ancora la “nazione indispensabile”.
Per quanto riguarda la prima domanda, è vero che gli imperi, alla lunga, cadono. Nulla è eterno. Ma gli imperi sono mammut che a volte ci mettono molto tempo, a morire. Le tracce della decadenza dell’Impero Romano si sono viste già nel Primo Secolo ma l’Impero, almeno secondo la convenzione, è caduto nel 476. Che come lunga agonia non è male. Dunque alla prima domanda non si può ragionevolmente rispondere.
Invece la seconda domanda suscita a catena degli interrogativi interessanti. “Nazione indispensabile”, salvo errori, è quel Paese che ha la funzione di baricentro del mondo. Che ha ogni potere e lo usa per correggere gli squilibri, gli errori e le più gravi ingiustizie, dovunque sul pianeta. Esempio principe, l’attacco all’Iraq per costringerlo a restituire la sua indipendenza al Kuwait.
Naturalmente sapere se l’America sia la “nazione indispensabile” o no dipende dalla considerazione che il mondo ha degli Stati Uniti. Dalla considerazione che gli Stati Uniti hanno di sé stessi, e infine dall’interesse che essi possono avere in alcune o in tutte le parti del mondo.
È vero, per parecchio tempo gli Stati Uniti sono apparsi come il tipo di nazione di cui parla Polito. Contavano su di essa, e si rimettevano ad essa, tutti coloro che non volevano sporcarsi le mani ogni volta che c’era da spalare fango. E molti (come noi europei) pensavano che di ogni faccenda si sarebbe occupata Washington. Infatti, ad esempio, per decenni essa si è fatta carico della sicurezza della Germania disarmata contro le minacce dell’Unione Sovietica. Fino a far balenare, in caso di attacco, la risposta atomica.
Ma questa indispensabilità è simile a quella del barbone che, all’ora di pranzo, si reca alla Caritas. La Caritas è indispensabile per il barbone, ma il barbone non è indispensabile alla Caritas. Nel caso degli Stati Uniti, è vero che il Paese per troppo tempo ha ascoltato le sirene del disinteresse, della solidarietà umana, del trionfo del bene sul male. Della “forza buona” contro la “forza cattiva”. Ma se la follia di “Enrico Quarto” ci può essere utile, non per questo possiamo vietare che il protagonista del dramma di Pirandello rinsavisca, solo perché ciò è in contrasto con i nostri interessi.
Oggi è cessata la minaccia dell’Unione Sovietica e il popolo americano ha cominciato ad essere stufo di finanziare l’esercito più possente del mondo. Per giunta per combattere guerre di limitato interesse nazionale e facendosi odiare un po’ da tutti. Così le cose a poco a poco hanno cominciato a cambiare.
Da sempre gli Stati Uniti oscillano tra interventismo e isolazionismo, Si parla per questo di un movimento a pendolo. Ebbene, si direbbe che da qualche tempo il pendolo si sia fermato stabilmente dal lato dell’isolazionismo. Negli ultimi decenni tutti i i presidenti, repubblicani o democratici che fossero, e quali che siano state le loro promesse elettorali, hanno attuato una politica di disimpegno. Chiarissimamente Obama, clamorosamente Trump, e infine quasi con ottusa testardaggine il democratico Biden. Come vediamo in Afghanistan.
Certi slogan hanno conquistato tutti. “America First”; “tutti i ragazzi tornino a casa”; “non vogliamo vedere tornare i nostri figli in casse coperte dalla bandiera a stelle e strisce”. Prima queste cose le dicevano in molti, poi le hanno dette in moltissimi, ora il coro è diventato assordante. E perfino Biden, uomo di sinistra, dopo avere promesso all’Europa di riprendere la classica politica del passato, di fatto si comporta come e peggio di Trump. Oggi gli americani non si chiedono più se l’America sia indispensabile al resto del mondo. Si chiedono soltanto se e dove gli convenga intervenire. Ognuno per sé e Dio per tutti.
Naturalmente tutto ciò crea una situazione drammatica nell’inerme e imbelle Europa. Ma una situazione è drammatica soltanto per chi la percepisce come tale. Per chi non sa di avere il cancro e sei mesi di vita, non c’è nessun dramma. Chi mai dovrebbe dare fastidio a noi europei? Noi non facciamo male a nessuno e non abbiamo bisogno di un esercito comune.
Polito sostiene che tutte le nazioni in possesso di un’ideologia fondante – specialmente se nata da una rivoluzione – hanno il sentimento di una missione universale. E il concetto è interessante, ma con qualche distinguo. Parlando di grandi nazioni, i romani, pur avendo una sorta di “religione della patria”, non avevano certo la sensazione di avere una missione universale. Per loro erano importanti la sicurezza di Roma (addirittura la salvezza, al tempo di Annibale) e molto pesavano le ambizioni politiche dei protagonisti. Crasso, ricchissimo, pur di avere a suo credito una vittoria militare, andò a combattere contro i Parti e cilasciò le penne. E chi dice che non abbia avuto la stessa origine “politica” la conquista della Gallia da parte di Cesare? Nessuna missione universale, per Roma. Il suo modello si imponeva poi semplicemente come il migliore, agli occhi stessi dei vinti.
L’Urss per motivi ideologici voleva essere protagonista nel mondo ma soprattutto voleva vivere in sicurezza, dilatando i propri confini militari all’inverosimile. Con un’ansia che risale alle invasioni dei mongoli (se non ricordo male). Purtroppo sono stati sbagliati sia l’ideologia sia il modo di applicarla. E infatti i russi sono amati, a stento, soltanto dalle loro madri.
La Francia ha dato l’impressione di voler predicare ed esportare i valori libertari dell’illuminismo ma di fatto, quando con Napoleone è passata all’atto pratico, si è comportata come un Paese conquistatore. E si è alienata le simpatie. La realtà dell’esercito francese non corrispondeva agli ideali del Settecento a Parigi. Emblematico al riguardo il disincanto di Beethoven che prima dedicò la Terza Sinfonia a Napoleone e poi cambiò opinione.
Quanto alla Gran Bretagna, più che da una sfrenata ambizione di dominare il mondo, penso sia stata spinta alle conquiste dall’ampiezza dei suoi commerci e dalla prosperità della propria economia. Londra cominciò ad avere interessi in tutto il mondo e spesso – un po’ come i romani – si semplificò la vita dominando altri Paesi. Ma questa dominazione non si tradusse né in sfruttamento né in tentativo di assimilazione. L’ideale della Gran Bretagna era che le nazioni continuassero a governarsi da sé e non dessero fastidio. Proprio la sua mano leggera e i suoi principi democratici si sono dimostrati tanto proficui. L’impero inglese si è dissolto, ma dovunque sia passato ha lasciato la sua impronta, nella lingua e in ciò che di migliore hanno quei Paesi.
Forse nessun impero, come quello degli Stati Uniti è stato tanto e per tanto tempo influenzato dai suoi ideali. In particolare gli ideali illuministici dei suoi Padri Fondatori. Non dimentichiamo che fra gli illuministi francesi Benjamin Franklyn era uno di casa. E forse nessun Paese ha pagato tanto a lungo il prezzo di questo idealismo. Ma se l’idealismo è un meraviglioso difetto della gioventù, diviene un segno di deficienza cognitiva se si prolunga nell’età matura. Come è stato detto, “chi non è di sinistra a vent’anni non ha un cuore, chi è di sinistra a quarant’anni non ha un cervello”.
Gli americani non sono più quelli della Seconda Guerra Mondiale, quelli che gli europei vedevano come dei “bambinoni”. E forse addirittura – contrariamente a quanto pensa Polito – se non disperderanno le loro forze e le loro attività in tutto il mondo, diventeranno ancor più possenti. Perché concentrati. E guai a chi oserà morderli.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
11 settembre 2021

IL DECLINO STATUNITENSEultima modifica: 2021-09-11T14:47:28+02:00da gianni.pardo
Reposta per primo quest’articolo