LA REALTA’ SOTTOSTANTE

Fare profezie da giovani è una sciocchezza, perché si ha il tempo di vederle smentite. Fare profezie da vecchi è invece una pacchia: ci si diverte e non si paga dazio.
Le sensazioni non sono un’affidabile fonte di verità. Già i pareri sono personali e da considerare con sospetto, figurarsi “idee” di cui non siamo sicuri noi stessi. Ma quando le sensazioni sembrano, da anni, confermate quotidianamente, è il caso di farci un pensierino. Soprattutto quando si gode dell’impunità dell’estrema vecchiaia. E allora vai con la profezia.
La mia sensazione è che il mondo vada a ramengo. È ricco, prospero e pacifico, soprattutto per quanto riguarda i grandi Paesi leader, ma va lo stesso a ramengo. Ché anzi, come vedremo, forse ci va proprio perché è ricco, prospero e pacifico.
La prima cosa da fare – come insegnavano nei seminari del basso Medio Evo – è “precisare il significato dei termini”. Se io volessi dimostrare che “le pere sono sferiche”, e mentalmente intendessi quel frutto chiamato “arancia”, staremmo freschi. E qui la prima parola da precisare è “mondo”.
La prendo alla lontana. Nel Cinquecento – tanto per fissare un secolo – in Francia non si parlava francese ma, in ogni singola regione, il dialetto di quella regione. Come del resto in Italia ancora alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Poi, a poco a poco, i dialetti francesi hanno cominciato a perdere terreno nei confronti della parlata – per semplificare – della Touraine: l’arco nord-est della Loira, per intenderci. Semplicemente perché lì era la Corte di Francia e ci si piccava di parlare come parlavano il re e i nobili a Corte.
Così col tempo i dialetti sono pressoché scomparsi. Nel 1957, quando sono andato per la prima volta in Bretagna, per la strada si sentiva anche parlare bretone (che è una lingua, non un dialetto). L’ultima volta che ci sono stato, ed ho chiesto il significato di una parola bretone, nessuno ha saputo dirmela. Addirittura, mentre da noi cominciavano a sparire i dialetti, in Francia sono quasi spariti gli accenti regionali, e – cosa inaudita – i francesi parlano francese. Magari con la pronuncia sciatta alla moda, per cui la “e” nasalizzata è divenuta quasi una “a” nasalizzata, fino a non farsi comprendere da chi è abituato al francese aulico: ma francese è.
Tutto questo significa che, se parliamo degli Stati Uniti, non parliamo certo del mondo. Ma se ci accorgiamo che l’Europa Occidentale adotta le mode statunitensi, soprattutto le più stupide e le più demenziali (hanno un fascino particolare) dobbiamo interessarci molto di ciò che succede negli Stati Uniti. Come si dice, quello che avviene lì, avviene da noi dieci o vent’anni dopo. A cascata, l’Europa Occidentale, insieme con gli Stati Uniti, influenza altri Paesi sviluppati, come il Giappone, mentre sono culturalmente “occidentali”, a pieno titolo, Paesi come l’Australia o la Nuova Zelanda.
Intendo con tutto questo che, se è vero che la vita ” dell’Africa nera è molto lontana da quella di Seattle o Brisbane, il “mondo” nel suo complesso ha come ego o come superego (meta da raggiungere) il “modus vivendi” occidentale. E quali sono le sue caratteristiche? Ricchezza e pacifismo. Ovviamente cose positive. Ma non positive soltanto. Come nascere figli di ricchi presenta molti vantaggi, ma non vantaggi positivi soltanto.
Il figlio del ricco è inevitabilmente disorientato dalle sue prime esperienze e deve fare un’enorme fatica per risalire la china delle illusioni in cui è stato allevato. E c’è di più. Mentre in una società normale il figlio del ricco è, per dire, un ragazzo su cento, e può imparare a conoscere la realtà dal contatto con gli altri, il figlio di ricchi – che nasce in un quartiere di ricchi, frequenta una scuola di ricchi, partecipa a feste di ricchi e via dicendo – non ha speranze. Questo spiega come mai i figli dei miliardari, morti i genitori, non sono più miliardari. E nello stesso modo è perché in Occidente tutti sono “ricchi”, che non hanno più i parametri normali. Non sanno più come va il mondo.
Ma bisogna precisare anche il termine di “ricco”, perché i ricchi ci sono anche tra i Watussi dell’Africa Nera. Ricco, in qualunque società, è chi ha molto più della media. In una società pastorale in cui la famiglia media ha soltanto una mucca, è ricco chi ne ha dieci. Invece stavolta sto usando il termine “ricco”, forse abusivamente, in un altro senso. Intendo colui che fruisce di moltissime comodità, pure se ne fruiscono anche gli altri: per esempio, chi ha l’automobile e il frigorifero; chi non ha problemi di alimentazione; chi ha il vantaggio di vivere in una società poco criminale, poco violenta, poco propensa agli scontri infranazionali e internazionali. Insomma una società in cui sia facile vivere, al punto che se si perde il lavoro e non si ha un redditto, il Welfare State nazionale si prende cura dello sfortunato. Costui avrà certo fastidi, ma non arriverà ad avere fame. Infatti esistono anche le mense per i poveri.
Sembra un quadro normale ed è un quadro eccezionale. Mai nella storia vivere è stato tanto comodo e tanto facile. Nelle giornate di grande caldo i telegiornali riferiscono, come qualcosa di comico, che chi non ha altra risorsa va a bighellonare nei supermercati perché lì c’è l’aria condizionata. E si dimentica di dire che un tempo non c’erano né i supermercati né, soprattutto, l’aria condizionata. Potersi rifugiare in un supermercato è un lusso di cui Luigi XIV, con tutto il suo splendore, non ha potuto beneficiare. E a proposito, mi chiedo anche se a Versailles avessero previsto i cessi, perché mi pare di sapere che la reggia puzzava spesso di orina.
Nei Paesi Occidentali (da ora chiamo così l’America del Nord, l’Europa, l’America del Sud, la Cina, il Giappone, l’Australia e la Nuova Zelanda) il fatto che milioni di persone vivano più o meno nel modo detto, e siano influenzati in particolare dagli Stati Uniti e dall’Europa, ci dà un’indicazione della direzione in cui va l’umanità. Il mondo fortunato pensa che – sempre e comunque – ci sarà da mangiare per tutti; sempre e comunque vivremo in pace (e infatti l’Europa ha capacità militari risibili); i governi saranno tutti e sempre miti e democratici; i problemi importanti saranno quelli morali e perfino di moda, come la political correctness o l’ecologia. Cose che stupiscono chi ha qualche nozione di storia. Personalmente, essendo nato quando tutte queste certezze sopracitate non erano “certe”, se avessi la prospettiva di vivere duecento anni, mi preoccuperei molto. Perché l’umanità, dal mio punto di vista, è fuori di testa. Rischia di avere tutti i guai che hanno i figli dei miliardari.
L’attuale situazione si verifica per la prima volta nella storia ma non è cambiato – non può essere cambiato – l’uomo. Meno di cent’anni fa abbiamo avuto un esempio di sterminio di massa come la Shoah, ma non è stato una novità, è stato un unicum per le dimensioni, ma queste sono state rese possibili dalla moderna tecnologia, mentre in passato analoghi massacri sono stati limitati dalle modalità di esecuzione. Ad ammazzare le persone ad una ad una, con la spada, ci si stanca, mentre ad Auschwitz funzionava la chimica e bastava abbassare una leva. Dunque l’uomo è stato capace di estrema ferocia nell’antichità, è stato capace di estrema ferocia a metà degli Anni Quaranta, e perché non dovrebbe essere capace di estrema ferocia in futuro? È dunque cambiato il nostro Dna?
Una volta scrivevo, a proposito della natura dell’uomo, che col tempo è cambiato il mezzo di locomozione ma non la meta: prima si andava a cercare una donna a piedi, a cavallo o in carrozza, ora ci si va in motocicletta, in auto o in aeroplano, ma sempre una donna si va a cercare. Nello stesso modo, è inutile dire che non ci saranno più guerre. Ci saranno eccome, perché come non smetteranno mai di combattere le formiche – che hanno anche loro l’istinto della guerra – non smetteremo neppure noi.
La grande differenza, rispetto al passato, è che in passato una vita dura abituava gli esseri umani ad essere pronti ad affrontare le grandi difficoltà. Come se la caveranno invece gli “occidentali” attuali che conoscono soltanto una realtà levigata, protetta, comoda e, per dirla tutta, inverosimile, se considerata nell’arco dei millenni? Come sapranno passare da un mondo in cui il senso del reale si è affievolito fino a livelli sbalorditivi alla lotta per la sopravvivenza?
Durante la Seconda Guerra Mondiale, non avendo la stoffa per fare vestiti nuovi, i sarti rivoltavano quelli vecchi; per avere un po’ di sapone, mia madre lo fece in casa con l’olio d’oliva, non so come; per farmi un maglione, filò la lana di un cuscino e il maglione me lo fece con gli aghi per lavorare a maglia; il caffè si faceva con l’orzo, tanto che il mitico caffè di una volta si chiamava caffè-caffè; i sandali si facevano con teli di copertone, sotto e sopra; il pane con la farina di fave o di carrube, una cosa schifosa; parecchie donne normali, pur di nutrire la famiglia, si dettero alla prostituzione con gli invasori, quando arrivarono; tutti andavano in giro come militari, con i giubbotti dismessi dagli americani e dagli inglesi. Unico vantaggio, dal panorama sparirono gli obesi. Tutto un mondo di miseria, di fame, di stenti e di pericoli inimmaginabili, per chi crede che il delirio merceologico di un grande supermercato sia la normalità.
Meglio che smetta qui. Tanto, lo so, non mi crede nessuno. Ma intendo dire questo: vorrei tanto che il miliardario si godesse il suo yacht, dopo che l’ha pagato, ma non dimenticasse che si può desiderare ardentemente un pezzo di pane: e non averlo.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
11 agosto 2021

LA REALTA’ SOTTOSTANTEultima modifica: 2021-08-11T15:42:15+02:00da gianni.pardo
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2 pensieri su “LA REALTA’ SOTTOSTANTE

  1. Egregio Wilson,
    non sono sicuro di capire tutto, e il suo commento è piuttosto lungo.
    Non conosco i giochi televisivi e i giochi di guerra. Ma, mi creda, la guerra non è un gioco. Quelli televisivi sono spettacoli ai quali si partecipa, un po’ come poter salire sullo schermo e partecipare al film che si vedeva. Ma senza correre nessun rischio. E dunque senza capire sul serio la guerra. Come si dice, un conto è parlar di morte, e un conto è morire. E aggiungerei: un conto è parlar di fame, un altro soffrire la fame.
    Lei parla di competizione. Ma la competizione è fra chi ha già un mestiere, chi spera in un avanzamento, economico e sociale. E dimentica la massa di coloro che non possono sperare in un avanzamento (gli operai, i professori) e soprattutto di quelli che, come tanti giovani attuali, “non studiano e non lavorano”. E molti di questi ultimi vivono serenamente, pensando che qualcuno si occuperà di loro, in un modo o nell’altro. Dice niente il reddito di cittadinanza?
    Lei mi dichiara machiavellico e prende una cantonata. Io penso che l’atteggiamento machiavellico è assolutamente doveroso nella politica internazionale, e assolutamente nocivo nella vita privata. A scuola prendevo sette ma sapevo che avrei preso otto se avessi copiato un po’. Era facile. Ciò malgrado non ho mai copiato, ed ero un adolescente. Come machiavellico mi pare che albeggiassi male.
    Quanto alla “violenza repressa e pronta a scoppiare” posso essere d’accordo con lei, perché l’uomo non cambia. Ed ad una società affetta da buonismo si può reagire con la crudeltà. Infatti ambedue sono aberrazioni.

  2. Gianni:
    “Come se la caveranno invece gli “occidentali” attuali che conoscono soltanto una realtà levigata”

    Guardi che il business dei giochi di guerra su computer ha superato da almeno un decennio quello di ogni altro tipo di intrattenimento cinema compreso, e funzionano allo stesso identico modo in cui si tende a fare la guerra oggi. Stanno alla guerra vera come i simulatori di volo, che vengono usati per addestrare i piloti, stanno al volo vero. Se non erro vi gioca abitualmente meta’ della popolazione, maschi e femmine. E sono giochi, in quanto virtuali per cui non si muore mai sul serio, di una ferocia inaudita, in perfetta realta’ virtuale per cui sembra di essere sul campo di battaglia sul serio, contro altri giocatori/lottatori/soldati il cui solo scopo e’ far fuori tutti gli altri. Premendo un bottone.

    Senza considerare che la nostra occidentale e’ una societa’ arrivistica di massa, dove la competizione per il posto al sole e’ feroce e comincia fin dai primissimi anni di vita, a scuola e nello sport, dove la graduatoria, l’essere ai primi posti in classifica, e’ tutto per il successo sociale.

    Lei stesso e’, forse senza rendersene conto, un tenace sostenitore della necessita’ di tale andazzo, dell’importanza suprema del cinismo machiavellico in cui l’unica cosa che conta e’ l’uso di tutti i mezzi di cui si dispone per emergere realizzando i propri scopi, senza curarsi di usare gli altri come degli strumenti. Lo sta facendo anche adesso. Ma paradossalmente, essendo una persona che nella sua vita, presumibilmente, e’ vissuta felicemente e orgogliosamente nel modo diametralmente opposto.

    Dunque, eventualmente, la inviterei a considerare che questo e’ talmente il brodo culturale in cui siamo costantemente immersi, un indottrinamento cosi’ pervadente e totalitario, che la gente non se ne avvede neanche e crede di vivere in una societa’ pacifica e imbelle.

    Di fronte a tanta violenza repressa ma pronta a scoppiare, con la potenza distruttiva delle armi che abbiamo gia’, o siamo in grado di costruire in brevissimo tempo in caso di conflitto, piuttosto vedrei pericolante la sopravvivenza della civilta’ mondiale come la conosciamo a medio termine: perche’ ad essere sicuramente vero e’ che non siamo piu’ in grado di sopravvivere senza l’immane apparato tecnologico che estende oltremodo le nostre capacita’ di azione collettiva e individuale, e che sparirebbe in un battibaleno in caso di collasso del sistema ipercomplesso che nessuno singolarmente e’ piu’ in grado di comprendere, padroneggiare, mantenere o ricostruire, in cui ci siamo cacciati. Basta che manchi la corrente elettrica per una settimana e crolla tutto, la gente comincerebbe a morire di fame perche’ non in grado di procurarsi il cibo direttamente, ne’ funzionerebbero piu’ i mezzi di pagamento per acquistarlo. Gia’ solo la complessita’ del gioco economico e’ fuori controllo da tempo ormai, si va avanti un colpo al cerchio e uno alla botte sperando che duri.

    A non accorgersi di nulla e continuare a campare tranquilli come hanno sempre fatto da centinaia di migliaia di anni resterebbero solo quelli che chiamiamo spregiativamente selvaggi. Che in qualche modo, per concludere con un ultimo paradosso, assomigliano a lei che e’ cosi’ culturalmente sofisticato molto piu’ che a qualsiasi altro dei suoi concittadini.

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